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Cosa penso, da democratico, delle prime mosse di Donald Trump – formiche.net, 5 febbraio 2017

L’intervento del senatore Pd, Alessandro Maran

Bisogna riconoscere che, tra un tweet e l’altro, nella sua prima settimana in carica, il presidente Donald Trump ha tratteggiato un quadro di politica estera coerente e, immagino, accuratamente progettato. Gli executive order di Trump delineano, infatti, in linea con lo slogan “l’America prima di tutto”, il cambiamento più importante nella politica estera americana dall’attacco giapponese a Pearl Harbor nel dicembre del 1941.

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Maran, il dissidente renziano «Congresso prima del voto» – MessaggeroVeneto, 2 febbraio 2017

Il vicecapogruppo Pd al Senato si muove in controtendenza rispetto all’ex premier

«La questione centrale non è la data, ma come si presenterà il partito agli italiani»

di Mattia Pertoldi – UDINE

C’è un renziano, di ferro e della prima ora, che dal cuore del Friuli frena sulla data delle elezioni. E il piede levato dall’acceleratore non è quello di un renziano qualsiasi, bensì porta il nome il cognome di Alessandro Maran, senatore e vicecapogruppo Pd a palazzo Madama. Ex segretario dei Ds, ideatore del referendum sull’elezione diretta del presidente della Regione che anticipò la vittoria di Riccardo Illy, dopo lo strappo con il Pd di Pierluigi Bersani e la candidatura con i centristi di Mario Monti alle ultime Politiche ha fatto ritorno a febbraio di due anni or sono nelle fila democratiche guidate da Matteo Renzi.

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Verso un “Governo della nazione”?

La valanga di no del 4 dicembre prima, e la decisione della Corte costituzionale poi, hanno seppellito (almeno per un bel pezzo) il sogno maggioritario che abbiamo fin qui coltivato. Infatti, dal crollo della Prima repubblica, consentire ai cittadini di scegliere col voto un leader e una maggioranza, è stata la fonte principale di forza e di legittimazione di tutta la strategia riformista sul tema della forma di governo e delle leggi elettorali: l’elezione diretta del sindaco, la prima e finora la più felice delle riforme, è appunto del 1993.  Ora, invece, al posto di un grande “Partito della nazione” si intravede, ben che vada, un “Governo della nazione”. La mia opinione sulla piattaforma informativa russa sputniknews.com:
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Un incubo?

Diciamoci la verità: la sentenza della Corte costituzionale ha archiviato (in un comunicato di quindici righe) la cosiddetta Seconda Repubblica. Il fatto è che, come sottolinea oggi Claudio Cerasa, “il vero vincitore del referendum coincide con il profilo del nostro amico Pomicino e il ritorno violento, tosto e poderoso della democrazia parlamentare”. O meglio della vecchia concezione assembleare della democrazia, fondata sulla cosiddetta centralità del Parlamento, propria della peculiarità italiana del Dopoguerra; parte cioè dell’anomalia di un sistema politico caratterizzato dalla mancanza di alternanza. “La Consulta – prosegue Cerasa – ha semplicemente fatto il suo dovere e certificato ciò che già aveva anticipato l’esito del referendum. Non c’è nulla di più lineare in una democrazia parlamentare governata dalle oscure burocrazie parruccone che andare al voto con un sistema proporzionale scelto da uno dei simboli della democrazia rappresentativa: la Corte”.

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Si può fare ora una legge maggioritaria come si deve?

Provo a riassumere. Ora la legge c’è. Si tratta di una legge proporzionale con una correzione maggioritaria esplicita alla Camera (dove il premio scatta al 40 per cento) e implicita al Senato (dove la soglia di sbarramento è al 20 per cento per le coalizioni su base regionale e all’8 per cento per chi corre da solo). Dunque, come scrive Stefano Ceccanti, “i sistemi di voto tra le due Camere sono meno difformi di quanto possa sembrare”.

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L’ultimo discorso di Obama

L’America di Barack Obama è uscita di scena martedì sera nel Centro congressi di Chicago. Nel suo discorso d’addio, Barack Obama ha difeso in modo energico la democrazia americana ed il pluralismo. “Our Constitution is a remarkable, beautiful gift,” ha detto Obama. “But it’s really just a piece of parchment. It has no power on its own. We, the people, give it power—with our participation, and the choices we make. Whether or not we stand up for our freedoms. Whether or not we respect and enforce the rule of law.  America is no fragile thing. But the gains of our long journey to freedom are not assured.” È un discorso molto bello, che vale la pena di ascoltare (President Obama’s Farewell Address | The White House).

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La politica deve essere sempre sotto schiaffo: se fa le riforme sono fatte male; se non le fa è latitante.

È passato un mese dal referendum del 4 dicembre. E, puntualmente, il Corriere della Sera denuncia una democrazia incapace di decidere. Eppure, proprio il Corriere si è speso contro una riforma costituzionale che non andava bene perché avrebbe dato, appunto, più poteri (troppi) al governo.

Insomma, siamo alle solite. Lo spiega Stefano Ceccanti, che nella sua rassegna di oggi si sofferma sulla linea editoriale del Corriere della Sera: «interessante nella sua doppiezza». «Prima del referendum – annota Ceccanti – ha fatto una campagna abbastanza esplicita per il No con argomenti tecnici e benaltristi. Da qualche giorno fa invece pezzi di critica alla politica perché non fa le riforme, che spesso coincidono con quelle bocciate: ieri Rizzo ha attaccato la mancata abolizione delle province ed oggi la mancata soppressione ai finanziamenti dei gruppi regionali. Il tutto si salda con l’editoriale di Galli per cui la politica è poco coraggiosa perché poco decisionista. Insomma, al di là delle cause del momento, si vuole comunque una politica sotto schiaffo: se fa le riforme devono essere sbagliate, altrimenti va criticata perché non le fa. Tutto questo la dice lunga su quanto una parte della classe dirigente preferisca una politica impotente, chiamata a riverire i poteri “forti”». Tutto qua.

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Uno vale uno?

La vignetta mostra un passeggero di un aereo (con la maglietta nera) che si rivolge agli altri passeggeri, dicendo: «Questi piloti snob e arroganti non sanno più riconoscere i bisogni dei passeggeri normali come noi. Chi pensa che dovrei guidare io l’aereo?». E diversi altri passeggeri alzano la mano.

L’ha pubblicata il New Yorker e sta circolando online. La vignetta sintetizza benissimo l’aria che tira. Di questi tempi, i leader populisti spuntano come i funghi dappertutto. E come il passeggero della vignetta, cercano di far leva sul risentimento nei confronti della classe dirigente (i piloti, stavolta) per emergere. Ovviamente, senza nessuna esperienza e spesso senza particolari qualità. Uno vale uno, no?

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Oltre alla guerra, la Russia è ora in grado di fare anche la pace?

C’è stato qualche scontro ma per ora il cessate il fuoco sembra reggere. A dire il vero, l’annuncio di un nuovo cessate il fuoco in Siria è stato accolto la scorsa settimana con una certa diffidenza. In sei anni di combattimenti, sono state uccise più di 400.000 persone ed intere città sono state distrutte. Si tratta, oltretutto, di un conflitto che non sarebbe iniziato (e non sarebbe durato così a lungo) se non fosse stato per la brutalità, la violenza e la crudeltà ciniche del presidente Bashar al-Assad e dei suoi principali alleati, Russia ed Iran.

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Il problema? La paralisi dell’Europa. Ma per problemi comuni, servono soluzioni comuni.

Alla vigilia del referendum in Italia e delle elezioni presidenziali in Austria, la rubrica di Bagehot dell’Economist aveva messo in guardia dalla tentazione di interpretare, dopo l’8 novembre, qualunque cosa succeda nel mondo in relazione al trionfo di Donald Trump. Non passa giorno – avvertiva l’opinionista che scrive sotto pseudonimo – senza che un evento politico da qualche parte nel mondo non sia collegato alla vittoria sconvolgente di Trump e all’ascesa della populismo di destra. E certamente, quello di ricondurre ogni cosa ad un unico fenomeno che sarebbe in grado di dare una spiegazione a tutto, è un pericolo che, mentre l’anno sta per finire, dovremmo tenere a mente, specie se si considera l’esito delle due più recenti votazioni in Europa. Del resto, come diceva il professor Keating nel film «L’attimo fuggente», «è proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva».

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