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Il Gazzettino, 17 dicembre 2013 – CAMBIARE PER DAVVERO IL PD È MISSIONE IMPOSSIBILE MA CONVIENE A TUTTI TIFARE RENZI

Matteo Renzi si è preso il Pd, asfaltando la vecchia «ditta». Solo un anno fa, a sostenerlo eravamo in quattro gatti. Solo un anno fa, votare Matteo Renzi alle primarie del Partito democratico fu, nell’interpretazione più diffusa, come tentare con l’inganno di distruggere la sinistra italiana per conto di Silvio Berlusconi. Oggi, invece, il sindaco d’Italia piace a tutti. Anche a quei giornali che, solo un anno fa, riservavano gli stessi aggettivi altisonanti che oggi dedicano a Renzi, al suo rivale di allora, lo smacchiatore di giaguari. Tutti lo vogliono, tutti lo chiedono: «donne, ragazzi, vecchi, fanciulli». Come Figaro. Secondo il Guardian, la vittoria di Renzi rappresenta «the end of grey power» e non c’è dubbio che la forza di Renzi sia questa: la speranza di veder sparire i Bersani, le Rosy Bindi, i D’Alema. Ma il popolo del Pd (che prima lo guardava con un misto di sospetto e di  repulsione) lo segue anche perché vorrebbe vincere le prossime elezioni; lo segue, insomma, perché sembra il candidato vincente, non perché condivide le sue idee. E il fatto che Matteo Renzi sia il quinto segretario del Pd in cinque anni, la dice lunghissima sui nodi che dovrà sciogliere in fretta.  A dire la verità, non credo che il Pd sia davvero riformabile. Per due solide ragioni contro le quali abbiamo sbattuto la testa moltissime volte: la cultura del gruppo dirigente e gli interessi materiali di una vasta parte del partito e dei gruppi sociali che ad esso fanno riferimento. Ma per la delusione c’è tempo. Perché fare gli schizzinosi adesso? Mi ha scritto una giovane elettrice (che alle elezioni ha votato Monti e domenica scorsa è andata a votare Renzi):«la sua investitura dà un po’ di ottimismo al paese e di questo c’è tanto bisogno. Siamo stufi di sentire che va male e andrà pure peggio». Coraggio, allora. Il Pd è stato ultimamente il più conservatore tra i partiti italiani. Lo ha documentato Pietro Ichino nella lettera aperta che ha indirizzato al neo-segretario del Pd:«È il Pd che nel giugno 2012 rifiutò la proposta di riforma elettorale e istituzionale alla francese avanzata dal Pdl, che oggi viene (opportunamente) riproposta dal gruppo di lavoro bi-partisan guidato dal ministro Gaetano Quagliariello. È il Pd che, per paura di toccare i vecchi tabù, ormai da un anno sta bloccando persino la sperimentazione più limitata di qualsiasi modifica del diritto del lavoro vigente che possa favorire il rilancio dell’occupazione nel periodo più nero della crisi economica più grave del secolo. È stato il Pd il principale sostenitore del decreto “stabilizzazioni” ideato dal ministro D’Alia, che costituisce l’esatto contrario di quello che andrebbe fatto secondo i principi della spending review e di quanto andrebbe fatto per offrire una prospettiva di occupazione seria alle decine di migliaia di precari delle amministrazioni pubbliche. È il Pd il principale sostenitore del disegno del ministro della Difesa mirato a prepensionare 27.000 militari a 50 anni, ignorando le esperienze – tra cui quelle, eccellenti, britannica e australiana – che mostrano come mediante i buoni servizi di outplacement e il metodo del “contratto di ricollocazione” si possa, reinserire decine di migliaia di militari nel tessuto produttivo generale». E l’elenco potrebbe continuare. Trasformare il Pd da freno a mano tirato in motore delle riforme è indispensabile; ma non sarà una passeggiata. Se poi vuole riuscire a fare anche tutto il resto, è essenziale che il neo-segretario metta al primo posto la riforma istituzionale. E chiunque (di sinistra, di centro o di destra) abbia a cuore la “riforma europea” dell’Italia, non può che auspicare il suo successo.

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