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“La difficoltà di costruire un’alternativa ai due populismi” – Il Messaggero Veneto, 28 maggio 2023

Che costruire uno spazio alternativo ai due populismi non fosse facile, si sapeva. Ma continuo a pensare che il nostro Paese di quello spazio abbia bisogno. L’Italia è diventata un paese vecchio, immobile e impaurito. In tutto l’occidente viviamo in società che guardano al passato invece che al futuro e in cui il passato pesa più di quanto sia mai accaduto. Di conseguenza, le nostre, come ha scritto Andrea Graziosi, sono società spontaneamente “reazionarie”. E i mutamenti degli ultimi decenni (immigrati, evoluzione dei ruoli di genere, ecc.) non hanno fatto che alimentare l’avversione al nuovo e alle riforme. Così il futuro è sparito dal nostro orizzonte.

Nell’ultimo biennio l’Italia ha dimostrato una inattesa reattività: il Pil italiano ha superato le previsioni di crescita del FMI, nel 2022 l’export ha toccato il record storico e l’occupazione è tornata a crescere. Ma negli ultimi vent’anni l’economia italiana non è cresciuta, con il più basso dinamismo del Pil in Europa e con una riduzione dei salari e del potere d’acquisto dei cittadini, anche a causa di un forte gap di produttività rispetto ad altri Stati europei. Anche il Friuli Venezia Giulia ha recuperato velocemente i livelli prepandemici. Ma il calo drastico delle nascite, il continuo invecchiamento, la bassa occupazione femminile, la scarsa immigrazione, la fuga dei cervelli, rappresentano un disastro demografico, economico e sociale. E stando alla Fondazione Nord Est, negli ultimi 20 anni, mentre il Pil del Trentino Alto Adige è cresciuto del 20% e quello della Lombardia del 12%, il Pil del Friuli Venezia Giulia è cresciuto solo dello 0,6%. Perché? Perché manca il terziario avanzato, quella parte dell’economia ad alta intensità di conoscenza. 

Come reagire al declino? Scommettendo anzitutto sull’innovazione. Come ha fatto l’Olanda, un paese grande meno della somma di Lombardia ed Emilia Romagna che, puntando sull’innovazione tecnologica (le coltivazioni idroponiche), è diventato il primo esportatore mondiale di pomodori (e il secondo esportatore mondiale di cibo dopo gli Stati Uniti, 236 volte più grandi). 

In secondo luogo, bisogna trattenere ed attrarre i giovani, valorizzandone le capacità. La Fondazione Nord Est ha stimato che, tra il 2011 e il 2019, l’Italia ha perso più di 100mila laureati, con un’emorragia di capitale umano pari a 29,3 miliardi. Che in un mercato europeo di mezzo miliardo di persone ci si sposti per cogliere le migliori opportunità di lavoro o di studio è normale. Anche molti giovani tedeschi con un livello di istruzione elevato lasciano la Germania. Ma in Germania sono molti anche gli arrivi. Come mai da noi non viene nessuno? Questa è la domanda. 

Dobbiamo inoltre lottare contro la cultura del “No se pol”. Non sarà l’intervento massiccio dello Stato a sistemare le cose. La ricchezza si crea nel settore privato e nell’impresa. Dipenderà come sempre da quei “matti” che credono di vedere cose che altri non vedono, investono, rischiano e producono. Dipenderà dal loro entusiasmo e dal loro ottimismo. E dobbiamo aiutarli.

Bisogna, infine, puntare sull’immigrazione (regolare). C’è bisogno di una forte infusione di lavoratori stranieri nel tessuto economico di tutti i paesi avanzati. E l’Italia non fa eccezione. La Germania ha deciso di “aprirsi al mondo” e prevede, ad esempio, di introdurre un nuovo “sistema a punti” sul modello del sistema di immigrazione canadese per facilitare l’ingresso di lavoratori qualificati. Si tratta di una politica (sperimentata in Australia, in Nuova Zelanda e nel Regno Unito) basata sulla valutazione dei candidati secondo un “punteggio” assegnato loro valutando la loro funzionalità alla società canadese. 

Si tratta di cose perfino banali. Ma stentano a trovare il sostegno popolare necessario. Perché lo squilibrio demografico e la crescente prevalenza della popolazione anziana incidono ormai anche sulla capacità di far fronte ai cambiamenti in modo razionale. Meglio perciò limitarsi ai bonus a pioggia. In fondo, c’è sempre più gente disposta a votare chi promette di tenere a bada le forze del cambiamento culturale e sociale. Ma così si restringono progressivamente orizzonti, scelte e speranze (la perdita di centralità dei giovani é evidente). Il Terzo Polo è naufragato, ma il Paese ha più che mai bisogno di un partito in grado di presidiare il terreno dell’apertura e della modernità. In fondo, le cause che vale la pena difendere sono quelle perse. Per far vivere una speranza, per mantenere aperta una prospettiva, per un’idea.

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