Domenica c’ė stato un altro attentato, questa volta in Pakistan. Lontano da casa nostra. I talebani hanno colpito di nuovo, la domenica di Pasqua. Il gruppo Jamaat-e-Ahar ha rivendicato l’attentato suicida di Lahore, in un parco frequentato dalle famiglie, che ha ucciso oltre 70 persone ne ha ferite più di 300.
Questa volta le bombe sono esplose a Bruxelles. Col tempo probabilmente sapremo come ha fatto l’ISIS (che ha rivendicato l’attacco) a progettare l’attentato e se è stato una ritorsione per l’arresto della scorsa settimana. A ben guardare, però, si tratta di dettagli rispetto a quel che davvero conta: Bruxelles, l’Europa ed il mondo devono attrezzarsi per fare fronte ad uno scontro di lunga durata contro il terrorismo. Il che significa intensificare le attività di controterrorismo, giungere ad un grado di cooperazione ben più consistente tra le nazioni minacciate; significa coraggio e fermezza di fronte a una minaccia che impiegheremo anni per eliminare. Niente a che vedere, ovviamente, con l’allarmismo isterico del genere a cui hanno dato voce immediatamente i politici alla Salvini (o alla Trump).
Ormai, a sostenere il presidente Obama (a parte Giorgio Tonini e il sottoscritto: LIBERTÀeguale Magazine, 7 gennaio 2016 – Usa: la politica estera che ha cuore l’ordine liberale) non siamo rimasti in molti. Anche la recente intervista di Jeffrey Goldberg sull’Atlantic con Barack Obama ha suscitato uno tsunami di critiche, che prendono di mira la combinazione di avversione al rischio e parole ispirate. Sono in parecchi, si sa, anche in Europa e non solo in Medio Oriente, ad aborrire la prima (in Europa, di solito, solo a chiacchiere) e a disprezzare le seconde.
«Che linguaggio sciocco e risentito, signora mia», ha scritto Giuliano Ferrara nei suoi «appunti sul metodico delirio di Max» (Renzi spiegato facile a D’Alema), a proposito dell’intervista di Massimo D’Alema (D’Alema: «Il partito della Nazione già c’è ma perderà. Il malessere può creare una nuova forza» – Corriere.it).
Sappiamo da tempo che «esiste un ecosistema della disinformazione on line in crescita che produce false notizie sempre più velocemente». Ne ha parlato Craig Silverman, un giornalista esperto di meccanismi dell’informazione online (in particolare di disinformazione nelle testate giornalistiche online), che ha scritto: «Nel giro di qualche minuto o di qualche ora, una storia può così trasformarsi da singolo tweet o racconto infondato a notizia ripetuta da dozzine di siti di news, che genera decine di migliaia di condivisioni. E una volta raggiunta una certa massa critica, la sua ripetizione comincia a esercitare un effetto significativo sulla persuasione: agli occhi dei lettori, il rumor diventa attendibile semplicemente in virtù della sua ubiquità» (Il Post ha tradotto in italiano il libro di Silverman che si può scaricare e leggere qui, in PDF).
Il cessate il fuoco negoziato dal segretario di stato John Kerry e dalla sua controparte russa, il ministro degli esteri Sergei Lavrov, tra il governo del presidente Bashar al-Assad e una moltitudine di gruppi di insorti che gli si oppongono (e che comprende quelli sostenuti dagli Stati Uniti e dai loro alleati), sembra reggere. Anche se l’intesa non include le operazioni contro due delle formazioni ribelli più forti, lo Stato Islamico e la «succursale» di Al Qaeda, Jabhat al-Nursa.