Monthly Archives: Giu 2016

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Per neutralizzare la paura della globalizzazione bisogna occuparsi dei losers

L’inquietudine che percorre l’Europa e l’America e che si traduce in incertezza politica, crisi istituzionale, perdita di consenso delle élite, ascesa dei partiti del rancore, ha ovviamente che fare con la globalizzazione economica, il dissolversi delle frontiere e l’aumento dei flussi migratori. E la Brexit, la rottura del patto tra Regno Unito e Unione europea, fa parte (e per certi versi è il risultato) di questo stato d’animo.

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GIORNALI2016

Messaggero Veneto, 28 giugno 2016 – L’ITALICUM E LA LEZIONE SPAGNOLA

«Triste victoria del Pp en un escenario desolador», scrive El País a proposito delle elezioni spagnole che, dopo sei mesi di inutili trattative, non hanno sciolto il rebus che attende una soluzione dalle precedenti elezioni del dicembre scorso: i quattro partiti principali si sono spartiti i seggi senza lasciar intravedere alcun governo possibile. Il rischio è che si ripropongano le stesse dinamiche sterili che hanno portato al fallimento dei negoziati nei mesi scorsi. Come sei mesi fa, il leader di Podemos, Pablo Iglesias, cercherà di convincere i socialisti a dare vita, insieme a lui, ad un «governo del cambiamento», mentre il leader dei Popolari Mariano Rajoy chiederà responsabilità per la formazione di un governo di larghe intese che garantisca la governabilità del paese. Anche il voto spagnolo, insomma, dimostra come in una situazione che non è più bipolare (come quella che aveva caratterizzato la Spagna fin dal suo approdo alla democrazia), se non si individua un sistema elettorale che consenta ai cittadini di scegliere da chi essere governati, come avviene col doppio turno, o si aprono le porte a larghe intese o si condanna la democrazia all’impotenza. L’esito del voto per i sindaci aveva, del resto, già mostrato come il ballottaggio sia indispensabile per dare al paese un governo stabile, sorretto dal voto di una maggioranza. Cosa sarebbe successo, in un sistema partitico tripolare (o quadripolare) com’è ormai il nostro, se nei giorni scorsi, i sindaci fossero stati scelti, non dai cittadini, come avviene dal 1993, ma eletti dai consigli comunali come avveniva un tempo, quando erano le trattative tra i partiti a decidere sindaco e giunta, magari a mesi di distanza dalle elezioni, e quando il mandato amministrativo nei comuni rappresentava una sorta di intermezzo tra una crisi e l’altra? E cosa sarebbe accaduto se avessimo votato per il Parlamento (con due Camere con due legge elettorali diverse) senza il ballottaggio? Come in Spagna ci sarebbero tre o quattro “poli”, ciascuno tra il 20 e il 30 per cento dei voti, che si guardano in cagnesco, e non ci sarebbe modo di dar vita ad un governo in grado di durare per più di sei mesi. Il pericolo per l’Italia non è la dittatura (il vento cambia con facilità e, come abbiamo visto, le autonomie locali sono un contrappeso formidabile al governo centrale) ma l’impossibilità di un governo stabile. E il ballottaggio e il premio di maggioranza sono assolutamente necessari. Quella spagnola è una lezione che sarebbe bene tenere a mente quando, in autunno, voteremo il referendum costituzionale. Se voteremo “sì” alla riforma avremo un sistema che consente ai cittadini di decidere chi debba governare. Si supera, infatti, il bicameralismo paritario, si assegna alla sola Camera il potere di dare e togliere la fiducia al governo e si prevede (in coerenza con il testo costituzionale), una legge elettorale maggioritaria a doppio turno, l’Italicum appunto. Se invece vinceranno i “no”, ci terremo il Senato attuale, un «inutile doppione» della Camera (come sosteneva Mortati) e prenderà corpo uno scenario spagnolo. In queste condizioni, è probabile che alle prossime elezioni non vinca nessuno, che addirittura si determinino maggioranze diverse in ciascuna Camera, e che l’unica prospettiva percorribile resti quella di governi di coalizione tra forze eterogenee o quella di governi tecnici, deboli, instabili e non decisi dagli elettori. Diciamoci la verità: in un momento difficile come quello che, con tutta l’Europa, stiamo attraversando, non è proprio il massimo.

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Una, Nessuna e Centomila Costituzioni – Lunedì 4 luglio 2016, Teatro Lo Spazio, Roma

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L’ITALICUM E LA LEZIONE SPAGNOLA – Messaggero Veneto, 28 giugno 2016

«Triste victoria del Pp en un escenario desolador», scrive El País a proposito delle elezioni spagnole che, dopo sei mesi di inutili trattative, non hanno sciolto il rebus che attende una soluzione dalle precedenti elezioni del dicembre scorso: i quattro partiti principali si sono spartiti i seggi senza lasciar intravedere alcun governo possibile. Il rischio è che si ripropongano le stesse dinamiche sterili che hanno portato al fallimento dei negoziati nei mesi scorsi. Come sei mesi fa, il leader di Podemos, Pablo Iglesias, cercherà di convincere i socialisti a dare vita, insieme a lui, ad un «governo del cambiamento», mentre il leader dei Popolari Mariano Rajoy chiederà responsabilità per la formazione di un governo di larghe intese che garantisca la governabilità del paese. Anche il voto spagnolo, insomma, dimostra come in una situazione che non è più bipolare (come quella che aveva caratterizzato la Spagna fin dal suo approdo alla democrazia), se non si individua un sistema elettorale che consenta ai cittadini di scegliere da chi essere governati, come avviene col doppio turno, o si aprono le porte a larghe intese o si condanna la democrazia all’impotenza. L’esito del voto per i sindaci aveva, del resto, già mostrato come il ballottaggio sia indispensabile per dare al paese un governo stabile, sorretto dal voto di una maggioranza. Cosa sarebbe successo, in un sistema partitico tripolare (o quadripolare) com’è ormai il nostro, se nei giorni scorsi, i sindaci fossero stati scelti, non dai cittadini, come avviene dal 1993, ma eletti dai consigli comunali come avveniva un tempo, quando erano le trattative tra i partiti a decidere sindaco e giunta, magari a mesi di distanza dalle elezioni, e quando il mandato amministrativo nei comuni rappresentava una sorta di intermezzo tra una crisi e l’altra? E cosa sarebbe accaduto se avessimo votato per il Parlamento (con due Camere con due legge elettorali diverse) senza il ballottaggio? Come in Spagna ci sarebbero tre o quattro “poli”, ciascuno tra il 20 e il 30 per cento dei voti, che si guardano in cagnesco, e non ci sarebbe modo di dar vita ad un governo in grado di durare per più di sei mesi. Il pericolo per l’Italia non è la dittatura (il vento cambia con facilità e, come abbiamo visto, le autonomie locali sono un contrappeso formidabile al governo centrale) ma l’impossibilità di un governo stabile. E il ballottaggio e il premio di maggioranza sono assolutamente necessari. Quella spagnola è una lezione che sarebbe bene tenere a mente quando, in autunno, voteremo il referendum costituzionale. Se voteremo “sì” alla riforma avremo un sistema che consente ai cittadini di decidere chi debba governare. Si supera, infatti, il bicameralismo paritario, si assegna alla sola Camera il potere di dare e togliere la fiducia al governo e si prevede (in coerenza con il testo costituzionale), una legge elettorale maggioritaria a doppio turno, l’Italicum appunto. Se invece vinceranno i “no”, ci terremo il Senato attuale, un «inutile doppione» della Camera (come sosteneva Mortati) e prenderà corpo uno scenario spagnolo. In queste condizioni, è probabile che alle prossime elezioni non vinca nessuno, che addirittura si determinino maggioranze diverse in ciascuna Camera, e che l’unica prospettiva percorribile resti quella di governi di coalizione tra forze eterogenee o quella di governi tecnici, deboli, instabili e non decisi dagli elettori. Diciamoci la verità: in un momento difficile come quello che, con tutta l’Europa, stiamo attraversando, non è proprio il massimo.

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L’Italicum e la lezione spagnola

«El PP se refuerza y el bloque de la izquierda se debilita», titola oggi El País. Secondo il giornale «el escenario es distinto al del 20 de diciembre, pero las novedades no son suficientes como para que una sola fuerza política pueda asegurar el futuro Gobierno. La prioridad absoluta es la de hacer posible un pacto que garantice rápidamente un Ejecutivo estable, corrigiendo así la peor consecuencia de la legislatura precedente. Ahora se necesitan soluciones, aunque para ello sea preciso pasar por encima de los intereses partidistas o personales más concretos. De ningún modo puede repetirse la esterilidad del periodo anterior ni acudir al irresponsable expediente de dejarse llevar hasta unas terceras elecciones».

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GIORNALI2016

Messaggero Veneto, 23 giugno 2016 – Maran: la rottamazione deve continuare

Il renzismo non è morto e il Pd per rialzare la testa deve proseguire, con ancora maggiore forza, nel percorso di rinnovamento e di “rottamazione” inaugurato dal premier rifiutandosi di ritornare ad arroccarsi sui “valori di riferimento” della sinistra tradizionale. Parola di Alessandro Maran, vicecapogruppo Pd al Senato e renziano della prima ora, che si rifiuta di suonare le campane a lutto dopo la scoppola delle Comunali e invita a ritornare con coraggio all’essenza del progetto che ha portato l’ex sindaco di Firenze a guidare prima il partito e poi il Paese.
Senatore si è fatto un’idea dei perché della vostra sconfitta alle elezioni?
«Il voto non è affatto omogeneo. E anche il risultato del M5s non è ancora un risultato nazionale. Dunque nulla di irreparabile o di compromesso. Si tratta di fare tesoro della lezione. In molte città un certo modello di governo locale si era esaurito da tempo. Andava ripensato e abbiamo mancato di progettualità. Si è dovuta gestire anche una riduzione significativa delle risorse senza aver dato vita a un modello più efficiente di spesa e di servizio ai cittadini. Poi ci sono situazioni in cui paghiamo il fallimento del governo locale, come a Roma, o la lunga permanenza al governo, come a Torino. E c’è anche la mancata apertura del Pd, il ritardo del rinnovamento della classe dirigente, lo scontro profondo tra un’idea di partito a vocazione maggioritaria e quello dei territori a vocazione correntizia».
In Fvg le sconfitte a Pordenone e Trieste pesano più che altrove. Quali errori avete compiuto?
«Bisognerà interrogarsi sugli sbagli commessi senza perder tempo con i necrologi e le autocommiserazioni. Gli italiani hanno preso molto sul serio la scommessa di Renzi e da lui si aspettano innovazione e discontinuità anche nelle amministrazioni locali. Quando non c’è, si rivolgono altrove».
Secondo lei si è sottovalutato il valore del centrodestra?
«Probabilmente sì. Ma la capacità del centrodestra di ristrutturarsi, dal punto di vista del sistema politico, non è una cattiva notizia».
Quali “colpe” ha – se ci sono – Debora Serracchiani nelle sconfitte alle amministrative in Fvg?
«Quando si perde nessuno può chiamarsi fuori. Ma se vuole risolvere i problemi, e non aggravarli, il Pd deve dimostrarsi solido e non avvitarsi in una spirale autodistruttiva. Inoltre, si paga sempre un prezzo quando si fanno le riforme. Ma si paga il doppio se non le si porta a termine. Un partito deve mostrare attenzione e umiltà nei confronti del Paese, ma anche una certa fermezza. La rivoluzione renziana si vince o si perde sul terreno dell’innovazione, della ripartenza dell’Italia».
È plausibile, secondo lei, che Serracchiani lasci la vicesegreteria per concentrarsi maggiormente sulla Regione?
«Non spetta a me dare consigli. Soprattutto se non sono richiesti».
Visto il risultato finale, a Trieste aveva ragione Russo quando ha preteso le primarie?
«È evidente che ci fossero dei problemi. Ma sbarazzarsi del sindaco uscente, peraltro una brava persona, è un escamotage, come dimostra Pordenone. Se qualcosa non ha funzionato nell’esperienza di governo, chi l’ha sostenuta non può pensare di chiamarsi fuori. Forse dovremmo imparare un approccio più capace di ascolto e a sostenere le nostre ragioni nel confronto con la gente».
In vista delle regionali e delle politiche 2018 da cosa deve ripartire il Pd per non perdere?
«Continuare a rivoluzionare geneticamente la sinistra italiana, con un mix fatto di riforme strutturali (meno tasse, spesa pubblica, debito, minore timidezza sulla giustizia e sulla Pa) e ricambio generazionale, schivando la tentazione di tornare ai “valori di riferimento” della sinistra tradizionale».
Ma saranno possibili aperture nei confronti della minoranza?
«Immagino di sì. Verrà chiesto al segretario del Pd qualche intervento sul partito, ma allo stesso tempo i dati sul ballottaggio (e quelli in Europa) ci dicono anche che la famosa sinistra che fa la sinistra non arriva lontano».
Insomma il vento rottamatore non si è placato…
«La notizia della morte del renzismo è ampiamente esagerata, come scriveva Twain. Ed è tempo di dimostrarlo. Al referendum mancano 100 giorni e non possiamo fallire, per il bene del Paese».

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Maran: la rottamazione deve continuare – Messaggero Veneto, 23 giugno 2016

Il renzismo non è morto e il Pd per rialzare la testa deve proseguire, con ancora maggiore forza, nel percorso di rinnovamento e di “rottamazione” inaugurato dal premier rifiutandosi di ritornare ad arroccarsi sui “valori di riferimento” della sinistra tradizionale. Parola di Alessandro Maran, vicecapogruppo Pd al Senato e renziano della prima ora, che si rifiuta di suonare le campane a lutto dopo la scoppola delle Comunali e invita a ritornare con coraggio all’essenza del progetto che ha portato l’ex sindaco di Firenze a guidare prima il partito e poi il Paese.
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L’ISIS E L’EUROPA – VENERDI 24 GIUGNO ORE 20.30 AD AZZANO X° (PN) CASA DELLO STUDENTE, VIA DON MILANI

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FIM CISL VENETO – REFERENDUM COSTITUZIONALE: CONFRONTO TRA LE RAGIONI DEL SI E DEL NO – LUNEDÌ 20 GIUGNO, ZELARINO (VE)

Lunedì 20 giugno la FIM CISL Veneto mette a confronto le ragioni del SI e del NO al referendum costituzionale e convoca il Consiglio generale regionale della Federazione Italiana Metalmeccanici sui contenuti della riforma Renzi-Boschi. Illustrerò le ragioni del SI e il sen. Marco Marin (PDL) sosterrà le ragioni del NO. Il confronto si terrà dalle ore 9.30 alle 13.30 presso l’Istituto Cardinal Urbani in Via Visinoni, 4/c a Zelarino (VE).

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LA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE – Incontro a Portogruaro (VE) , sabato 18 giugno ore 10.30

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