Monthly Archives: Mag 2015

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UNA CITTA’ IN COMUNE

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E’ iniziata la raccolta firme per la petizione popolare per indire il referendum per la fusione di Monfalcone, Ronchi e Staranzano. Il mio punto di vista:

Il progetto Città Comune ha il merito di riproporre un problema strategico per il buongoverno locale. Tra le riforme possibili, quella davvero annosa, di un accorpamento (naturalmente democratico, graduale, non autoritativo) dei Comuni di Monfalcone, Ronchi e Staranzano, è ormai giunta a maturazione. Del resto, quello di «unire le forze» attraverso l’integrazione tra più città è più sistemi locali, è un progetto al quale in passato avevamo lavorato in molti, senza esito. Ricordo solo l’idea della Città Mandamento e l’impegno dei compianti Adriano Cragnolin e Enzo Novelli. E’ tempo perciò di imboccare con energia una strada che può portare a gestioni più forti e più attente ai bisogni della gente. Non deve essere solo l’esigenza di contenere la spesa a muovere in questa direzione, c’è il dovere di adattare la dimensione istituzionale ai cambiamenti (economici, demografici, regolamentari, ecc.) e di fornire ai cittadini tutti i servizi di cui godono i cittadini delle città più grandi. Uno sbocco che può rappresentare un esempio per tutti e un riferimento per successive integrazioni.

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GIORNALI2015

Il Piccolo, 26 maggio 2015 – Riunire le forze con «Città Comune»

Non deve essere solo l’esigenza di contenere la spesa a muoversi in questa direzione, si deve adattare la dimensione istituzionale ai cambiamenti

Il progetto Città Comune ha il merito di riproporre un problema strategico per il buongoverno locale. Tra le riforme possibili, quella davvero annosa, di un accorpamento (naturalmente democratico, graduale, non autoritativo) dei Comuni di Monfalcone, Ronchi e Staranzano, è ormai giunta a maturazione. Del resto, quello di “unire le forze” attraverso l’integrazione tra più città è più sistemi locali, è un progetto al quale in passato avevamo lavorato in molti, senza esito. Ricordo solo l’idea della Città Mandamento e l’impegno dei compianti Adriano Cragnolin e Enzo Novelli. E’ tempo perciò di imboccare con energia una strada che può portare a gestioni più forti e più attente ai bisogni della gente. Non deve essere solo l’esigenza di contenere la spesa a muovere in questa direzione, c’è il dovere di adattare la dimensione istituzionale ai cambiamenti (economici, demografici, regolamentari, ecc.) e di fornire ai cittadini tutti i servizi di cui godono i cittadini delle città più grandi. Uno sbocco che può rappresentare un esempio per tutti e un riferimento per successive integrazioni. La dimensione territoriale dei comuni italiani è ancora quella del Medioevo: la distanza che si poteva percorrere a piedi sulle strade di allora nelle ore di luce. Ma oggi l’economia del Paese ha bisogno di avviare grandi trasformazioni e il ripensamento di un’organizzazione territoriale finora dispersa costituisce forse il capitolo più importante di questo progetto. Le città, infatti, stanno mutando funzioni, posizione e funzionamento interno in tutta Europa e l’organizzazione della produzione e dei servizi, per tutte le cose di qualità, sta sempre più uscendo dal tradizionale spazio urbano, divenuto troppo limitato, per approdare ad aree più estese. Non per caso, in tutta Europa, negli anni ’90, c’è stato un grande fervore riformatore per definire un nuovo ordine territoriale. In Germania i comuni erano addirittura 24.476 e ogni Land ha usato le ricette più convenienti per gli accorpamenti. Nel Canton Ticino 45 comuni si sono uniti in 15 nuove aggregazioni, in Danimarca hanno ridotto i Comuni da 1388 a 275, in Belgio da oltre 2500 a meno di 600, in Inghilterra da 1830 a 486. E potrei continuare. Non per caso, fin dal 1990, la legge contempla (“in previsione di una loro fusione”) l’unione di comuni “per l’esercizio di una pluralità di funzioni”. Il guaio è che non si è fatto nulla. E’ tempo, perciò, di prendere il toro per le corna. So bene che quello delle cento città è un mito antico della politica italiana, ma questa deve rinnovare le sue parole d’ordine se vuole affrontare le sfide del futuro. E chiamare la gente a decidere è il modo migliore per farlo.

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«All’Expo sarebbe meglio parlare di fame, piuttosto che di cibo», sostiene Amartya Sen

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15 maggio 2015

Questa settimana raccomando anzitutto l’intervista del premio Nobel Amartya Sen sul Corriere della Sera. «All’Expo sarebbe meglio parlare di fame, piuttosto che di cibo» ha detto il professore di Filosofia ed Economia di Harvard. Secondo Amartya Sen, è positivo che la manifestazione milanese metta al centro del discorso l’alimentazione in un mondo sempre più popolato. E sul come farlo ha idee precise, in contrasto con la demonizzazione delle innovazioni in agricoltura. Quando gli chiedono  un giudizio sulle posizioni anti Ogm di Vandana Shiva, la militante indiana che ha un ruolo di rilievo all’Expo non ha esitazioni: «La apprezzo per la sua preoccupazione riguardo al benessere degli altri. Ha ragione nell’invitare a stare attenti quando si aumentano le rese agricole attraverso gli Ogm, perché si possono creare problemi all’ambiente. Ma le conclusioni che ne trae, la sua opposizione alle nuove varietà non sono logiche, conseguenti. A creare problemi non sono le tecnologie ma la cattiva gestione del territorio. Possiamo benissimo combinare le nuove tecnologie con il rispetto della biodiversità. Se non vogliamo chiamarli Ogm, chiamiamoli nuove varietà». E anche in merito al chilometro zero è tranchant: «Dal punto di vista dell’economia, è un concetto che non so da dove venga. Certo, ogni sabato vado al farmer’s market, ci trovo prodotti buonissimi che i contadini portano direttamente. Ma non ho niente contro un buon pane fatto con grano canadese» (Milano Expo, «sì agli Ogm contro la povertà. Si parli di economia e fame» ).

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LEZIONI D’INGLESE

10 maggio 2015

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Dall’Inghilterra (patria del governo parlamentare, dove il capo dello stato ha un valore simbolico, dove non esiste una Corte costituzionale, dove non ci sono referendum abrogativi, dove i magistrati sono funzionari del governo, dove la Camera dei Lords non è, ovviamente, elettiva, dove la democrazia funziona come funziona perché l’opposizione ragiona e si muove con la logica che oggi non si governa ma domani forse sì) vengono almeno due lezioni che non sarebbe male mandare a memoria.

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«Quelque chose a changé. Vraiment». Parola di Le Monde

6 maggio 2015

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«Quelque chose a changé. Vraiment», scrive oggi Le Monde. «Lundi 4 mai, au terme d’une quatrième lecture, les députés ont adopté une nouvelle loi électorale pour les élections législatives, qui mettre fin à une des particularités de la politique péninsulaire: l’instabilité gouvernementale». Infatti, anche El País rimarca: «La aprobación de la reforma electoral en Italia constituye una buena noticia para su impulsor, el primer ministro, Matteo Renzi, para el país transalpino y para toda Europa». Una volta esaurito il lungo elenco di sciocchezze elettorali (fascismo, golpe, dittatura, democratura, ecc.) può darsi che anche da noi si faccia strada quello che, in Europa, è evidente a tutti. Ma se il problema fosse proprio questo, una democrazia che decide?

«L’Italicum – ha detto ieri con sincerità il deputato grillino Danilo Toninelli in un’intervista all’Avvenire – è stato elaborato per distruggerci… Con questa legge, vincere le elezioni sarebbe una missione quasi impossibile… Sono convinto che la maggioranza degli elettori di centrodestra se costretta a scegliere tra Renzi e noi al ballottaggio opterebbe per il primo».

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UN PERICOLO PER LA DEMOCRAZIA?

29 aprile 2015

Matteo Renzi ha superato senza troppe difficoltà i primi voti sull’Italicum alla Camera (quelli sulle pregiudiziali di costituzionalità e di merito presentate dalle opposizioni) ed ha deciso di blindare la nuova legge elettorale e di chiedere la fiducia:«Sono passati 14 mesi – ha detto ieri al Tg1 – dall’inizio della discussione di questa legge elettorale. Ora dobbiamo dire sì o no». L’annuncio è stato accolto dalle proteste delle opposizioni. Il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta, ha parlato di «fascismo renziano» e citato Mussolini («non consentiremo di trasformare quest’aula in un bivacco di manipoli»). Il richiamo al fascismo è arrivato anche da Beppe Grillo, via Facebook, e secondo il leader di Sel, Nichi Vendola, la fiducia sulla legge elettorale «è un atto di squadrismo elettorale». Intanto, l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, e l’ex presidente del Consiglio, Enrico Letta, hanno annunciato che non voteranno la fiducia.

In una lettera aperta i costituzionalisti Augusto Barbera, Stefano Ceccanti e Francesco Clementi hanno ricordato all’ex-Presidente del Consiglio che i contenuti della riforma elettorale – da lui oggi rifiutata – corrispondono sostanzialmente all’elaborazione programmatica della stessa “Commissione Letta” nel 2013. Letta ha risposto che il dissenso riguarda soltanto il metodo e i tre costituzionalisti hanno replicato che ora azzerare tutto per le bizze di Forza Italia non sarebbe un buon servizio al Paese. Anche perché, come ha chiarito Augusto Barbera sul Mulino, l’Italicum ha più pregi che difetti e, in ogni caso, non è affatto un pericolo per la democrazia (il mio punto di vista: Seduta del 27/01/2015).
Detto questo, trovo che la lettera che ieri un lettore del Foglio ha indirizzato al direttore descriva alla perfezione lo stato d’animo (e l’esasperazione) di quanti le riforme vorrebbero farle. Scrive il lettore:«A differenza di Barbera non sono un costituzionalista, solo uno storico, e tuttavia le allegre, disinvolte (e ormai quotidiane) accuse di dittatura rivolte a riforme che mirano a un sistema elettorale semi-maggioritario, alla riduzione del numero dei partiti o al rafforzamento dell’esecutivo mi stanno riducendo a uno stato di esasperazione. Ormai ho esaurito tutti gli argomenti ragionevoli (la costituzione inglese, la governabilità, la trasparenza…) e mi vengono in mente solo risposte politicamente scorrette, tipo: vi piacerebbe provare una dittatura, una vera, magari solo per un paio di mesi? un’estate di terrore rivoluzionario? un paio di decenni di dispotismo illuminato, giusto per vedere come si sta? Perdoni lo sfogo di un settecentista fuori della grazia di Dio». L’esempio del direttore, Claudio Cerasa, nella sua risposta, chiude la discussione: «Ha ragione. Per non parlare poi del fatto che le opposizioni non perdono occasione per mostrare la loro posizione un filo strumentale. Le faccio un esempio. Nel 2007 venne presentato un referendum per abrogare la vecchia legge elettorale (il Porcellum). Quel referendum (Guzzetta-Segni) prevedeva l’introduzione di una nuova legge elettorale con premio alla lista (e non alla coalizione). Lo stesso premio che oggi viene previsto all’Italicum. Lo sa chi firmò, nel 2007, per quel referendum? Qualche nome per farle capire: Renato Brunetta, Gianni Cuperlo, Ferdinando Imposimato, Daniele Capezzone, Gad Lerner, Michele Ainis. Praticamente, tutto l’arco costituzionale (ed editoriale) che oggi dice che il premio alla lista è un pericolo per la democrazia. Che dire?».
Aggiungo che allora Rosy Bindi criticò duramente Walter Veltroni, in quel tempo segretario del Pd, per non aver firmato il referendum che dava il premio solo alla lista. Sarebbe divertente se qualcuno intervistasse Uolter.
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QUANDO LE PREFERENZE ERANO IL MALE ASSOLUTO…

Preferenze

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LA LETTERA DI BARBERA, CECCANTI E CLEMENTI A ENRICO LETTA

Caro Enrico,

i mezzi di informazione danno oggi risalto a Tue perplessità sull’approvazione dell’Italicum. Non conosciamo le motivazioni politiche di questa Tua posizione, che naturalmente rispettiamo.

Ci teniamo comunque a sottolineare che le linee principali di detta riforma (premio di maggioranza al 40%, ballottaggio fra le due prime liste, liste bloccate corte in alternativa però a possibili voti di preferenza ) riflettono le conclusioni della Commissione dei 35 esperti da Te fortemente voluta e insediata (capitolo V, punti 7 e 8, della Relazione finale , ma anche importante il capitolo IV punto 4), sotto l’efficace regia del Ministro Quagliariello e di Luciano Violante, con il solo dissenso dei colleghi Cheli, Onida, Dogliani, Olivetti. L’unica differenza riguarda i destinatari del premio che la Commissione individuava non solo nella lista più votata ma anche in una possibile coalizione di liste. Siamo sicuri che non sia questo il principale motivo di dissenso avendoti visto fra i firmatari del referendum Guzzetta nel 2007 (svoltosi poi nel 2009) che tendeva a riservare il premio alla lista più votata (e anche Tu avrai sofferto, anche più di tutti noi, visto che svolgevi il ruolo di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, nel vedere all’azione con il governo Prodi II una coalizione che andava da Mastella a Turigliatto). Anche la riforma costituzionale del resto riprende , come sai, nelle grandi linee le conclusioni – sia pure a maggioranza – della Commissione Letta, che anzi erano addirittura più ampie ed incisive.

Conoscendoci reciprocamente da tempo, siamo sicuri che non avrai difficoltà nel consentirci di diffondere questa nostra lettera

Ti salutiamo molto cordialmente

Augusto Barbera, Stefano Ceccanti,Francesco Clementi

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TROPPE E MAL GESTITE, LE FORZE DI POLIZIA IN ITALIA VANNO RIFORMATE. COSÌ.

Il Foglio, 18 aprile 2015

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Più o meno in tutti i paesi dell’Unione europea c’è una forza di polizia per il controllo capillare del territorio e una per il contrasto della grande criminalità. La Germania dispone della Landespolizei nei Lander e della Bundespolizei a livello nazionale; in Francia i compiti di polizia sono svolti dalla Police Nationale cui si affianca la polizia municipale di periferia; in Spagna oltre alla polizia territoriale, esiste il solo Cuerpo Nacional de Policía (sia la Francia che la Spagna vanno verso l’istituzione di un’unica forza di polizia a ordinamento civile) e l’Inghilterra, come forza di polizia dell’enorme area della Contea di Londra, dispone della Metropolitan Police Service e, per il controllo del cuore della city, del corpo (ristretto) della City of London Police.

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RIFORMA ELETTORALE: L’AUDIZIONE DI AUGUSTO BARBERA ALLA CAMERA

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Scrive oggi Claudio Cerasa sul Foglio: «Non fidatevi di chi vi dice oh Madonna mia crollerà tutto, aiuto, moriremo tutti, il Pd è sull’orlo di una scissione». Non fidatevi perché «la minoranza del Pd non potrà fare nulla di quello che velatamente minaccia: non può far saltare la legge elettorale perché sennò salterebbe il governo, salterebbe il Pd e salterebbe anche la minoranza del Pd; e non può uscire dal Pd perché, più semplicemente, salterebbero i nervi agli elettori dello stesso Pd, i quali difficilmente capirebbero che un partito che ha preso il 41 per cento alle ultime elezioni, e che si appresta a vincere le prossime regionali, è qui che si spacca perché la minoranza della minoranza interna chiede il listino bloccato al posto dei capilista bloccati e qualche preferenza in più nella legge elettorale. Il tutto, poi, in un contesto surreale in cui gli stessi dirigenti che oggi chiedono più preferenze e che ringhiano pensando al dramma di avere una legge elettorale con il premio alla lista sono gli stessi, ma proprio gli stessi, dirigenti del Pd che anni fa ringhiavano chiedendo di rottamare le preferenze (da Bersani a D’Alema) e che anni fa chiedevano di sbarazzarsi il prima possibile dell’orrendo premio alla coalizione (andatevi a rivedere nel 2007 chi furono i campioni del Pd appena nato che misero la propria firma sotto il referendum presentato da Guzzetta e da Segni per eliminare dalla legge elettorale il premio di coalizione, e tra quei nomi troverete anche quelli di Rosy Bindi ed Enrico Letta)».

E la posizione che rende meglio di ogni altra l’idea del vicolo cieco in cui si è cacciata l’opposizione è quella di Forza Italia.«Partito che – scrive ancora Cerasa -, dopo aver scritto e votato la stessa legge elettorale che sarebbe oggi l’oggetto di un golpe, per scongiurare l’imminente golpe si appella a un presidente della Repubblica che non ha votato, che ha accusato di essere arrivato al Quirinale a seguito di un altro golpe e che dovrebbe essere ora la persona giusta per frenare il golpe renziano. Deliziosi» (Opposizione senza Speranza).

Va da sé che le accuse di attentato alla democrazia che, come al solito, vengono mosse al disegno di legge approvato dal Senato e ora in terza lettura alla Camera, non stanno in piedi (semmai, il rischio incombente è quello di lasciare il paese privo di una legge elettorale praticabile): segnalo gli appunti del costituzionalista Augusto Barbera per la sua esposizione di lunedì scorso davanti alla Commissione Affari costituzionali della Camera dei deputati.

Segnalo inoltre – vista la (interminabile) discussione in corso sulla «specialità» della nostra regione – che anche la Sardegna ha fatto proprio il modello della Regione Lazio per l’attivazione del nuovo sistema di cooperazione tra servizio pubblico per l’impiego e agenzie specializzate (come già a gennaio la Sicilia): leggi le due lettere del Direttore generale dell’Assessorato al Lavoro; in coda il testo della Delibera della Giunta Regionale.

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