“I progressisti hanno sepolto la vocazione maggioritaria. Perché è necessario un nuovo soggetto politico. Un manifesto”.
Il post su Fb con cui Carlo Calenda, a pochi giorni dalla sua elezione al Parlamento Europeo, rinunciava ad impegnarsi a costruire la seconda gamba della coalizione progressista, poi ribadita nel recentissimo intervento sul Corriere della Sera, riassume tutta la rassegnazione che regna da quelle parti – che sono poi anche le nostre – nell’immaginare il futuro prossimo venturo della politica italiana. Da un lato il promotore di “Siamo Europei” rimprovera a Zingaretti (e non solo) di comprendere che occorre ampliare la coalizione, ma di non saper indicare “come” e, dall’altro, afferma che manca una sponda liberaldemocratica alla politica italiana, ma poi, lui (che avrebbe tutte le qualità per esserne il leader) decide di rinunciare a ulteriori tentativi e di rimanere “prigioniero”, a “occuparsi di Europa in Europa”, in uno dei Gruppi politici (i socialisti) su cui ricade una buona fetta di responsabilità, al pari dei popolari, per quanto “non si è fatto” in questi anni nell’UE per ridurre lo strapotere del Consiglio europeo sulla Commissione e sul Parlamento.