Monthly Archives: Giu 2019

GIORNALI2019

Il Foglio, 20 giugno 2019 – “Il bipolarismo non tornerà. È ora di rompere con questo Pd”

“I progressisti hanno sepolto la vocazione maggioritaria. Perché è necessario un nuovo soggetto politico. Un manifesto”.

Il post su Fb con cui Carlo Calenda, a pochi giorni dalla sua elezione al Parlamento Europeo, rinunciava ad impegnarsi a costruire la seconda gamba della coalizione progressista, poi ribadita nel recentissimo intervento sul Corriere della Sera, riassume tutta la rassegnazione che regna da quelle parti – che sono poi anche le nostre – nell’immaginare il futuro prossimo venturo della politica italiana. Da un lato il promotore di “Siamo Europei” rimprovera a Zingaretti (e non solo) di comprendere che occorre ampliare la coalizione, ma di non saper indicare “come” e, dall’altro, afferma che manca una sponda liberaldemocratica alla politica italiana, ma poi, lui (che avrebbe tutte le qualità per esserne il leader) decide di rinunciare a ulteriori tentativi e di rimanere “prigioniero”, a “occuparsi di Europa in Europa”, in uno dei Gruppi politici (i socialisti) su cui ricade una buona fetta di responsabilità, al pari dei popolari, per quanto “non si è fatto” in questi anni nell’UE per ridurre lo strapotere del Consiglio europeo sulla Commissione e sul Parlamento.

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GIORNALI2019

Il Foglio, 12 giugno 2019“ – Non serve un Berlinguer a capo del Pd”

Molte delle difficoltà nel costruire un partito nuovo e libero dall’eredità comunista derivano proprio dall’incapacità di fare i conti con l’ombra dello storico segretario

Sarà, come scriveva Vladimir Nabokov, che “nel proprio passato ci si sente sempre a casa”, fatto sta che il richiamo ai bei tempi andati, a quella mitica età dell’oro che la postmodernità e la globalizzazione ci avrebbero rubato, è diventato la principale caratteristica della politica italiana. Specie a sinistra, dove il dibattito si avvita sempre su questioni identitarie e affettive e sembra ancora che, come ai tempi della “svolta”, il confronto sia tra chi amava e rimpiange il Pci e chi, invece, no.

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IN PRIMO PIANO

“Non serve un Berlinguer a capo del Pd” – Il Foglio, 12 giugno 2019

Molte delle difficoltà nel costruire un partito nuovo e libero dall’eredità comunista derivano proprio dall’incapacità di fare i conti con l’ombra dello storico segretario

Sarà, come scriveva Vladimir Nabokov, che “nel proprio passato ci si sente sempre a casa”, fatto sta che il richiamo ai bei tempi andati, a quella mitica età dell’oro che la postmodernità e la globalizzazione ci avrebbero rubato, è diventato la principale caratteristica della politica italiana. Specie a sinistra, dove il dibattito si avvita sempre su questioni identitarie e affettive e sembra ancora che, come ai tempi della “svolta”, il confronto sia tra chi amava e rimpiange il Pci e chi, invece, no.

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Il Foglio, 7 giugno 2019 – «CHI HA CREATO LA REPUBBLICA DEI PM»

I social network, si sa, brulicano di hater che, celati sotto i nickname più inverosimili, avvelenano le discussioni on line con un atteggiamento aggressivo e sovente con insulti improntati a un odio feroce e immotivato. Non risparmiano nessuno: attaccano politici, artisti, scrittori, manager, professionisti, atleti e star dello spettacolo, come se non ne tollerassero il successo. Fateci caso, solo una categoria sembra sfuggire alla tendenza vendicativa dei social che trasforma, sul web, il garbato vicino di casa in un fustigatore dei poteri forti: i magistrati, che sembrano (buon per loro e per tutti noi) immuni all’ostilità che avvelena i social media. Anche di fronte alle «degenerazioni correntizie», ai «giochi di potere» e ai «traffici venali» denunciati dal vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, dopo che l’indagine per corruzione avviata dalla procura di Perugia nei confronti dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara ha svuotato di ogni autorevolezza il vecchio e austero Csm e costretto ben cinque dei suoi componenti a fare un passo indietro.

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«CHI HA CREATO LA REPUBBLICA DEI PM» – Il Foglio, 7 giugno 2019

I social network, si sa, brulicano di hater che, celati sotto i nickname più inverosimili, avvelenano le discussioni on line con un atteggiamento aggressivo e sovente con insulti improntati a un odio feroce e immotivato. Non risparmiano nessuno: attaccano politici, artisti, scrittori, manager, professionisti, atleti e star dello spettacolo, come se non ne tollerassero il successo. Fateci caso, solo una categoria sembra sfuggire alla tendenza vendicativa dei social che trasforma, sul web, il garbato vicino di casa in un fustigatore dei poteri forti: i magistrati, che sembrano (buon per loro e per tutti noi) immuni all’ostilità che avvelena i social media. Anche di fronte alle «degenerazioni correntizie», ai «giochi di potere» e ai «traffici venali» denunciati dal vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, David Ermini, dopo che l’indagine per corruzione avviata dalla procura di Perugia nei confronti dell’ex presidente dell’Anm Luca Palamara ha svuotato di ogni autorevolezza il vecchio e austero Csm e costretto ben cinque dei suoi componenti a fare un passo indietro.

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