Monthly Archives: Apr 2016

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Mission Impossible

Ieri, nel suo primo discorso articolato sulla politica estera, dopo tanti indizi contraddittori sparsi lungo il percorso elettorale, Donald Trump ha detto che «America First (l’America prima di tutto) sarà il tema principale della sua amministrazione» e che il suo obiettivo sarà quello di «togliere la ruggine» a una politica estera che ha fallito. Vi segnalo, a questo proposito, un libro che ho appena letto e che sarà sicuramente piaciuto a Trump (e certamente anche ad Obama). Si intitola «Mission Failure: America and the World in the Post-Cold War Era» e lo ha scritto Michael Mandelbaum, il direttore dell’American Foreign Policy program alla Johns Hopkins University.

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Il punto di forza del progetto renziano secondo Cerasa

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Naturalmente, la batosta referendaria non fermerà la compagine variopinta del «No a tutto» che unisce M5S, Lega, Sel, Fratelli d’Italia, parte di FI e della Cgil, minoranza dem, professori, magistrati, attori e cantanti, ecc.; non finiranno neppure i sogni di rivalsa di chi pensa di riconquistare il partito passando prima per sconfitta di Beppe Sala a Milano a giugno e poi per quella del referendum confermativo ad ottobre. È chiaro che prossimo appuntamento di quest’armata Brancaleone sarà appunto il referendum costituzionale. La madre di tutte le battaglie, perché, come ha detto il presidente del Consiglio, «mi gioco tutto e se non passa mi dimetto».

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Il caso Sauvignon

Ieri, al Senato, il presidente del Consiglio è stato bravo a denunciare «la barbarie del giustizialismo in Italia» e a ricordare che i processi si fanno nelle aula dei tribunali e non sui mezzi di comunicazione. Raccomando, a questo proposito, la lettura del libro di Mauro Nalato, «IL CASO SAUVIGNON IN FRIULI. QUANDO LA GIUSTIZIA FA PAURA».

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GIORNALI2016

Il Foglio, 15 aprile 2016 – «Non si può spacciare lo sputtanamento per libertà di stampa»

“L’ITALIA HA BISOGNO DI UNA RIFORMA SULLE INTERCETTAZIONI, PRATICA SOPRAVVALUTATA CHE TRASFORMA LA MELMA IN ORO”

Al direttore – E’ da un pezzo che l’Italia ha bisogno di una seria riforma che impedisca una volta per tutte di trascrivere negli atti giudiziari telefonate penalmente irrilevanti che riguardano persone che non c’entrano nulla con l’indagine e spacciare la libertà di sputtanamento per libertà di stampa. Non per caso, un anno fa, prima che l’argomento tornasse alla ribalta, ho ripresentato, con i dovuti accorgimenti, il ddl sulle intercettazioni approvato dalla Camera dei deputati il 17 aprile 2007 e che non vide l’approvazione definitiva a causa dell’interruzione anticipata della legislatura. Il problema, affrontato dal testo, è presto detto: sia le esigenze investigative che quelle di pubblica informazione in occasione di vicende giudiziarie di pubblico interesse, devono trovare il giusto bilanciamento con il diritto dei cittadini a vedere tutelata la loro riservatezza, soprattutto se estranei al procedimento. Il diritto al rispetto della vita privata e familiare e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee costituiscono infatti valori tutelati, oltre che dalla Carta costituzionale (articoli 13 e 15), anche dagli articoli 8 e 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Eppure, ogni volta il discorso finisce per concentrarsi, in modo fuorviante, unicamente sulla “limitazione dei mezzi in capo ai magistrati per scovare reati”. Lo strumento della captazione di conversazioni e comunicazioni, anche telematiche, costituisce uno dei cardini dell’attività investigativa, si sa. Ma non deve diventare un mezzo per diffondere notizie che, come quelle lette in questi giorni, con il reato non hanno nulla a che vedere e consacrare la disparità morale tra accusati e accusatori. Insomma, bisogna creare un vero filtro per evitare che la condanna mediatica preceda quella (eventuale) giudiziaria; scremare le conversazioni ritenute irrilevanti, custodendo le stesse in archivi riservati e coperti da segreto istruttorio; e prevedere autonome fattispecie criminose per l’illecita divulgazione di notizie.

Aggiungo che l’intercettazione è una tipetta parecchio sopravvalutata. Se può “trasformare la melma in oro”, è proprio perché, come sostiene Steven Pinker, docente di psicologia alla Harvard University, “la conversazione reale è molto lontana da ‘il cane ama il gelato’” e “ci vuol molto di più dell’analisi per capire un enunciato”. Qualcuno ricorderà il colloquio che ebbe luogo il 17 marzo 1973 tra il presidente Richard Nixon, il suo consigliere John W. Dean e il suo capo di gabinetto H. R. Haldeman. Howard Hunt, che lavorava alla campagna di rielezione di Nixon nel giugno del 1972, aveva guidato un’irruzione nel quartier generale del Partito democratico nell’hotel Watergate, in cui i suoi uomini avevano messo sotto controllo i telefoni del capo del partito e di altri impiegati; ed erano in corso indagini per chiarire se l’operazione era stata ordinata dalla Casa Bianca, da Haldeman o dal procuratore generale John Mitchell. I tre stavano discutendo se pagare 120 mila dollari come prezzo del silenzio a Hunt prima che testimoniasse in tribunale. Il dialogo è disponibile perché Nixon, sostenendo di agi- re per il bene dei futuri storici, aveva fatto installare un microfono spia nel proprio ufficio e aveva cominciato a registrare segretamente tutte le conversazioni che vi si svolgevano. Nel febbraio 1974 la Commissione giudiziaria della Camera dei rappresentanti chiese formalmente che i nastri fossero ascoltati per contribuire alla decisione sull’impeachment di Nixon. In gran parte sulla base di questo colloquio il comitato chiese l’impeachment, e nell’agosto 1974 Nixon diede le dimissioni.

I nastri del Watergate sono le più famose e più lunghe trascrizioni mai pubblicate di una conversazione realmente avvenuta. Quando furono pubblicate, gli americani ne furono scioccati, anche se non tutti per la stessa ragione. Un piccolo numero di persone “si stupì – scrive Pinker – che Nixon avesse preso parte a una cospirazione per ostacolare la giustizia. A qualche altro parve strano che il leader del mondo libero si esprimesse come uno scaricatore di porto. Ma a rappresentare una sorpresa per tutti fu come appare una conversazione quando viene riportata parola per parola. La conversazione fuori dal contesto è praticamente incomprensibile. Parte del problema deriva dal fatto stesso che la voce viene trascritta: vanno perse l’intonazione e il ritmo che delineano i sintagmi; inoltre la qualità tecnica dei nastri che non siano di altissima fedeltà è inaffidabile (…) Ma anche quando viene trascritta perfettamente, la conversazione è difficile da interpretare. Le persone parlano per lo più a frammenti, interrompendosi a metà degli enunciati per riformulare il pensiero o cambiare il soggetto. Spesso non è chiaro di chi o di che cosa si stia parlando, perché i conversatori usano pronomi (‘lui’, ‘loro’, ‘questo’, ‘quello’, ‘noi’, ‘loro’, ‘esso’, ‘uno’), parole generiche (‘fatto’, ‘successo’, ‘la cosa’, ‘la situazione’, ‘quel punto’, ‘queste persone’, ‘qualsiasi’) ed ellissi (‘il volere della Procura degli Stati Uniti’, e ‘Ecco perché’). Le intenzioni sono espresse indirettamente. In questo episodio, che un uomo finisse l’anno come presidente degli Stati Uniti o come criminale giudicato colpevole dipendeva letteralmente dal fatto che ‘Di cosa avete bisogno?’ fosse inteso come una richiesta di informazioni piuttosto che un’offerta implicita di dare qualcosa”. L’inintelligibilità della conversazione trascritta è un ingrediente della formula che permette all’intercettazione di trasformare la melma in oro. Ma senza prove concrete, indizi circostanziati e pistole fumanti, la melma resta melma. Motivo in più per riprendere in mano il progetto di riforma

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«Non si può spacciare lo sputtanamento per libertà di stampa» Il Foglio, 15 aprile 2016

“L’ITALIA HA BISOGNO DI UNA RIFORMA SULLE INTERCETTAZIONI, PRATICA SOPRAVVALUTATA CHE TRASFORMA LA MELMA IN ORO”

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#ConflittoInteressi. Con relazione sen. @MaranAlessandro è iniziato esame ddl n. 2258 in 1a Commissione.

Martedì scorso è iniziato in Commissione Affari Costituzionali del Senato, con la mia relazione, l’esame del ddl che reca “Disposizioni in materia di conflitti di interessi”. Riporto, di seguito, il resoconto sommario della seduta del 12/04/2016:
(2258) Disposizioni in materia di conflitti di interessi, approvato dalla Camera dei deputati in un testo risultante dall’unificazione dei disegni di legge d’iniziativa dei deputati Bressa; Fraccaro ed altri; Civati ed altri; Irene Tinagli ed altri; Fabiana Dadone ed altri; Rizzetto ed altri; Scotto ed altri; Simonetta Rubinato e Floriana Casellato

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GIORNALI2016

www.stradeonline.it, 8 aprile 2016 – CONTRO I POVERI, MA NON CONTRO LA POVERTÀ: IL PROTEZIONISMO DI BERNIE SANDERS

di Alessandro Maran

 

Stando al Washington Post, la recente intervista di Bernie Sanders con il New York Daily News è stata un disastro: sollecitato ad andare oltre la consueta retorica sulle nefandezze di Wall Street e a dire concretamente come intende «spacchettare» e riorganizzare le grandi banche, il senatore del Vermont, ha farfugliato qualche frase di circostanza. Ma la sua intervista sta facendo discutere anche per altre ragioni, che ci riguardano da vicino. Bernie Sanders (che pure non è Matteo Salvini) ha detto praticamente che gli USA non dovrebbero commerciare con i paesi nei quali i salari dei lavoratori sono (molto) più bassi di quelli americani. Una dichiarazione terrificante per tutto il mondo in via di sviluppo.

«So you have to have standards – ha detto Sanders – And what fair trade means to say that it is fair. It is roughly equivalent to the wages and environmental standards in the United States». Con queste parole, di fatto, Bernie Sanders ha «rottamato» gli scambi commerciali con qualunque paese che non sia già ricco e florido. Il che è semplicemente disumano. Una cosa è sostenere che non bisogna fare affari con i paesi che cercano di manipolare le loro monete (i tassi di cambio dovrebbero essere il meccanismo principale per riequilibrare il commercio); è poi del tutto ragionevole sostenere i diritti dei lavoratori di quei paesi, la loro sindacalizzazione, o premere per tutele ambientali più severe, e battersi affinché servitù e schiavitù siano spazzate dalla faccia della terra. Si tratta di questioni che gli accordi commerciali devono affrontare. Ma il divieto assoluto ad esercitare un commercio con le nazioni a bassi salari è un altro paio di maniche.

La sostanza del commercio sta nel fatto che i paesi devono puntare sui loro vantaggi competitivi, il che rende l’intera economia globale più efficiente. Se un paese ha una popolazione molto istruita, mercati dei capitali fiorenti e buone competenze high tech, come gli Stati Uniti o la Germania, esporterà al resto del mondo servizi di alto livello, (come i servizi finanziari) e prodotti manifatturieri avanzati (come le automobili o gli aeroplani). Se invece l’unico vantaggio di un paese è l’abbondanza di manodopera relativamente poco qualificata, disposta a lavorare per 65 centesimi l’ora, allora probabilmente si ricaverà una nicchia nel tessile o nell’assemblaggio di prodotti elettronici, per poi costruire gradualmente un certo know how e lavorare a qualcosa di più redditizio.

Ma se, come scrive Jordan Weissman su Slate, ora arrivano gli Stati Uniti e dicono: «Scusa Vietnam, a meno che i tuoi operai non comincino a guadagnare 5 o 7 dollari l’ora, siamo intenzionati a comprare le magliette da qualcun altro», gli operai di Hanoi non otterranno improvvisamente un aumento. Verosimilmente, le fabbriche chiuderanno e la produzione si trasferirà in un paese i cui lavoratori saranno produttivi abbastanza da giustificare i salari del mondo sviluppato – che poi significa generalmente «il» mondo sviluppato. E gli Stati Uniti avranno appena pregiudicato l’unico vantaggio relativo del Vietnam.

Non si capisce, scrivono i giornali americani, se Sanders semplicemente non afferra la questione o non gli importa nulla del problema. Forse pensa che l’unica ragione per cui i camiciai del Vietnam non guadagnano di più è che non hanno abbastanza potere contrattuale. O forse è più preoccupato del benessere di un numero relativamente piccolo di operai americani di quanto non lo sia del resto del mondo. Ora, senza dubbio il commercio con la Cina ha colpito alcune categorie di lavoratori americani (e nel frattempo avvantaggiato delle altre), ma limitare il commercio con i paesi che hanno bassi salari così rigidamente come vuole Sanders, colpirebbe i più poveri della terra. E parecchio.

Il libero commercio è uno degli strumenti migliori che abbiamo per combattere la povertà estrema. Dalla fine della seconda guerra mondiale, come noi per primi dovremmo ricordare, è stato il grande motore che ha letteralmente sollevato centinaia di milioni di persone dalla miseria, più di qualunque programma di aiuti. E la ricetta del senatore del Vermont finirebbe per ridurre in miseria milioni di persone già misere. Senza contare che la proposta di Sanders di fare marcia indietro rispetto agli accordi commerciali in essere potrebbe condurre a gravi rappresaglie da parte dei paesi interessati. L’opposizione di Bernie Sanders al commercio va molto oltre i nuovi accordi come il TPP (Trans-Pacific Partnership) o il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership). Il suo sito promette di «ribaltare» il Nafta (North American Free Trade Agreement) e l’accordo con l’America Centrale (Central America Free Trade Agreement). Inoltre promette di svincolarsi dalle normali relazioni con la Cina, un lascito dell’era Clinton.

Se gli USA dovessero abbracciare il protezionismo, ovviamente gli altri paesi seguirebbero a ruota, con il rischio di dare avvio a quel genere di guerra commerciale che abbiamo visto nei primi anni della Grande depressione. Gli altri paesi, infatti, non se ne staranno con le mani in mano senza rispondere. E lo scenario da incubo, descritto dagli esperti, è quello scivolare tutti verso il protezionismo. Ma allora bisogna fare i conti con le implicazioni morali (e politiche) di questo atteggiamento, che Zach Beauchamp ha illustrato nei dettagli.

Eppure, come Beauchamp ha scritto nel suo articolo, una soluzione per i danni che il commercio ha fatto alla classe operaia americana ci sarebbe, ed è quella abbracciata dai paesi del nord Europa che Sanders cita spesso come modello. I paesi scandinavi sono estremamente aperti al commercio. Ma hanno anche estesi programmi di welfare che prelevano denaro dai vincitori della globalizzazione e lo usano per compensare i lavoratori che invece perdono terreno. In questi paesi, tutti usufruiscono di merci meno costose, la classe media non soffre particolarmente e i poveri del mondo traggono beneficio dalla vendita dei loro beni ai consumatori più ricchi.

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CONTRO I POVERI, MA NON CONTRO LA POVERTÀ: IL PROTEZIONISMO DI BERNIE SANDERS

www.stradeonline, 08 Aprile 2016

di Alessandro Maran

 

Stando al Washington Post, la recente intervista di Bernie Sanders con il New York Daily News è stata un disastro: sollecitato ad andare oltre la consueta retorica sulle nefandezze di Wall Street e a dire concretamente come intende «spacchettare» e riorganizzare le grandi banche, il senatore del Vermont, ha farfugliato qualche frase di circostanza. Ma la sua intervista sta facendo discutere anche per altre ragioni, che ci riguardano da vicino. Bernie Sanders (che pure non è Matteo Salvini) ha detto praticamente che gli USA non dovrebbero commerciare con i paesi nei quali i salari dei lavoratori sono (molto) più bassi di quelli americani. Una dichiarazione terrificante per tutto il mondo in via di sviluppo.

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GIORNALI2016

Il Piccolo, 7 aprile 2016 – Maran bacchetta il Pd: «Ha dato il peggio di sé ma apprezzo Cicogna»

Il senatore sulle elezioni di Grado: «Può accadere di tutto

La sinistra non ha mai vinto, bisogna cambiare per la città»

 

di Antonio Boemo

◗ GRADO

Davanti a una situazione politica che a Grado non è mai stata così ingarbugliata, il senatore Alessandro Maran non nasconde la sua preoccupazione. E non risparmia di bacchettare il Pd, anche a livello regionale, che è il suo partito dopo l’esperienza con Scelta civica.

Il Pd ha possibilità di conquistare il Comune?

Il gruppo dirigente del Pd, locale e regionale, ha dato il peggio di sé. Ma conosco Luciano Cicogna: è una brava persona e un amministratore capace.

È mai stato interpellato dal Pd o da altre forze politiche per candidarsi a sindaco?

Nessuno mi ha mai interpellato. In ogni caso, non avrei accettato. Cerco di adempiere al mandato parlamentare al meglio delle mie possibilità. E poi Grado ha bisogno di un sindaco a tempo pieno e non a mezzo servizio.

La situazione non è ancora chiaro ma in questo momento chi pensa possa prevalere?

Può succedere di tutto.

I problemi a Grado riguardano solo il Pd oppure tutto il centrosinistra?

La sinistra non ha mai vinto. Ma per conquistare nuovi elettori, bisogna liberarsi dei vecchi schemi ideologici. In altre parole, bisogna cambiare. Il Pd era nato per questo.

I programmi rischiano di somigliarsi uno all’altro. Quali allora le priorità?

Grado è una città in declino, con una mentalità vecchia. E la situazione è davvero preoccupante. A cominciare dalle dinamiche demografiche.

Tra poco gli ultraottantenni saranno più numerosi dei residenti sotto i 10 anni di età…

Infatti. E sia lo sviluppo economico sia il sostegno del Welfare State dipendono dalla forza  lavoro e dal rinnovamento delle generazioni. Inoltre, c’è il rischio di un impoverimento di talento, di creatività, di futuro, perché una popolazione sempre più anziana perde la sua vitalità e la sua attrattività.

Come si può evitare?

La capacità di attrazione è decisiva. Grado ha bisogno di investimenti per rilanciare lo sviluppo. Ma è difficile pensare che la rinascita di Grado possa passare attraverso un flusso di denaro pubblico pari alle esigenze della città.

Cos’è, dunque, indispensabile per Grado?

È necessario e vitale avere uno stock supplementare di investimenti non solo di origine internazionale, ma anche di standard internazionale.

Parliamo delle Terme Marine che avrebbero potuto essere ampliate ancora una quindicina d’anni fa contestualmente alla realizzazione del secondo lotto, quello coperto, del Parco Acquatico.

Sarebbe sempre ora. È un elemento decisivo. Senza una struttura termale come si deve, non si può allungare la stagione, e se la stagione non si allunga, gli investimenti non sono convenienti e i problemi incancreniscono. Colpisce, però, il ritardo culturale. Quanto tempo è che le terme a Loipersdorf, a Bad Blumau o a Catež, per restare nei paraggi, sono affollate, anche d’inverno, da gente che si vuole rilassare e divertire? Quanto tempo è che in quei luoghi si può trovare un’offerta completa di esperienze balneari, fitness, wellness e terapie per 365 giorni all’anno? A Loipersdorf hanno le conchiglie e la sabbia della Florida e noi facciamo ancora le stesse cose di trenta anni fa.

Su una cosa tutti paiono concordi: il Comune dovrebbe riappropriarsi della spiaggia e della società che la gestisce…

Sbaglierò, ma mi chiedo: per fare che cosa? Lo dico brutalmente: in quale parte del mondo ci vuole una società pubblica per affittare ombrelloni? Siamo sicuri che, al contrario, non sia un vincolo che inibisce le possibilità economiche?

Tanti rimpiangono l’Azienda autonoma di soggiorno.

Anch’io ho nostalgia dei miei vent’anni. Ma non tornano più. Non tornano più le mutue che pagano le cure a tutti, la Regione che ripiana i debiti a piè di lista, non torna più la spiaggia come ammortizzatore sociale.

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Maran bacchetta il Pd: «Ha dato il peggio di sé ma apprezzo Cicogna» – Il Piccolo, 7 aprile 2016

Il senatore sulle elezioni di Grado: «Può accadere di tutto

La sinistra non ha mai vinto, bisogna cambiare per la città»

 

di Antonio Boemo

◗ GRADO

Davanti a una situazione politica che a Grado non è mai stata così ingarbugliata, il senatore Alessandro Maran non nasconde la sua preoccupazione. E non risparmia di bacchettare il Pd, anche a livello regionale, che è il suo partito dopo l’esperienza con Scelta civica.

Il Pd ha possibilità di conquistare il Comune?

Il gruppo dirigente del Pd, locale e regionale, ha dato il peggio di sé. Ma conosco Luciano Cicogna: è una brava persona e un amministratore capace.

È mai stato interpellato dal Pd o da altre forze politiche per candidarsi a sindaco?

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