Ieri, al Senato, il presidente del Consiglio è stato bravo a denunciare «la barbarie del giustizialismo in Italia» e a ricordare che i processi si fanno nelle aula dei tribunali e non sui mezzi di comunicazione. Raccomando, a questo proposito, la lettura del libro di Mauro Nalato, «IL CASO SAUVIGNON IN FRIULI. QUANDO LA GIUSTIZIA FA PAURA».
Nalato prende apertamente le difese dei produttori e racconta l’indagine che ipotizza la frode in commercio per adulterazione del Sauvignon, ricostruendo una vicenda che ha trasformato un riconoscimento prestigioso (un grande successo: la vittoria del campionato mondiale di un nostro Sauvignon) in un disastro epocale. Per dare l’idea dell’impatto che questa storia ha avuto sul settore, Mauro Nalato, riferisce l’aneddoto capitato a Cristian Specogna, viticoltore friulano, che riceve una telefonata da un importatore americano, allarmato per l’inchiesta, che «vuole capire in particolare che cosa c’entrasse la mafia con il Sauvignon e il Friuli. L’aveva colpito il fatto si parlasse di Sauvignon connection. Non è stato semplice spiegargli che la mafia non c’entrava nulla e che era solo un titolo giornalistico».
Com’è noto, la Procura ha chiesto una proroga delle indagini sul Sauvignon. Dobbiamo, dunque, attendere giustamente le conclusioni dell’inchiesta. Intanto, visto che i media hanno abbondantemente enfatizzato l’indagine, vale la pena di leggere il libretto del giornalista friulano. Se non altro, per ricordare che la diffusione di atti giudiziari e l’amplificazione mediatica delle inchieste finisce senza dubbio per dare la sensazione che i processi siano conclusi e le sentenze scritte già al momento delle accuse, prima che il tribunale possa effettivamente pronunciarsi. Ma non è così.