Per spiegare ai lettori il pasticcio della Brexit, la settimana scorsa The Interpreter, la rubrica di approfondimento del New York Times curata da Max Fisher e Amanda Taub, ha raccontato l’incredibile storia delle elezioni di Fall River, una cittadina del Massachusetts.
L’ex senatore analizza gli scenari dopo le primarie nazionali. «Il partito si deve augurare la nascita di qualcosa al centro»
Mattia Pertoldi
UDINE. La politica «attiva» – intesa come impegno dentro al partito e alle istituzioni – Alessandro Maran l’ha archiviata alla fine della passata legislatura, da vicecapogruppo uscente del Pd a palazzo Madama. Ma per l’ex senatore – tra un intervento sui quotidiani nazionali e il nuovo ruolo al vertice dell’associazione Libertàeguale – resta comunque qualcosa che è parte del suo dna al pari dell’appartenenza ad una sinistra più liberale che classica. E così, scevro da problemi contingenti, può permettersi, dal suo osservatorio esperto, di analizzare lo status quo dei dem post-primarie.
L’ex senatore analizza gli scenari dopo le primarie nazionali. «Il partito si deve augurare la nascita di qualcosa al centro»
Mattia Pertoldi
UDINE. La politica «attiva» – intesa come impegno dentro al partito e alle istituzioni – Alessandro Maran l’ha archiviata alla fine della passata legislatura, da vicecapogruppo uscente del Pd a palazzo Madama. Ma per l’ex senatore – tra un intervento sui quotidiani nazionali e il nuovo ruolo al vertice dell’associazione Libertàeguale – resta comunque qualcosa che è parte del suo dna al pari dell’appartenenza ad una sinistra più liberale che classica. E così, scevro da problemi contingenti, può permettersi, dal suo osservatorio esperto, di analizzare lo status quo dei dem post-primarie.
«Non è ancora finita ma il messaggio è chiaro: i populisti si combattono e basta e c’è sempre un popolo enorme che non aspetta altro di essere rappresentato»
Vincendo il primo round delle elezioni presidenziali in Slovacchia, l’avvocato ambientalista Zuzana Čaputova si avvicina a diventare il primo presidente donna del paese. Sarebbe una svolta radicale per un paese che è stato preda della corruzione dilagante da quando, nel 1993, si è costituita la Repubblica Slovacca e che potrebbe segnare un punto di svolta anche in Europa centrale.
L’elezione di una figura dichiaratamente filo occidentale che sta apertamente dalla parte della Nato e dell’Unione europea, sarebbe un sollievo per tutti i liberali, in un periodo in cui i paesi vicini, vale a dire la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia, sono guidati da politici populisti di varie fogge. Inoltre, se il terremoto politico in corso dovesse aprire la strada ad un governo stabile e riformista (l’anno prossimo ci saranno le elezioni politiche), significherebbe che la “verità” e “l’onestà”, gli slogan chiave usati da quanti hanno combattuto per la democrazia nel 1989 e che ora hanno proiettato la Čaputova in testa al primo turno, possono di nuovo rivelarsi vittoriosi.
«Non è ancora finita ma il messaggio è chiaro: i populisti si combattono e basta e c’è sempre un popolo enorme che non aspetta altro di essere rappresentato»
Vincendo il primo round delle elezioni presidenziali in Slovacchia, l’avvocato ambientalista Zuzana Čaputova si avvicina a diventare il primo presidente donna del paese. Sarebbe una svolta radicale per un paese che è stato preda della corruzione dilagante da quando, nel 1993, si è costituita la Repubblica Slovacca e che potrebbe segnare un punto di svolta anche in Europa centrale.
L’elezione di una figura dichiaratamente filo occidentale che sta apertamente dalla parte della Nato e dell’Unione europea, sarebbe un sollievo per tutti i liberali, in un periodo in cui i paesi vicini, vale a dire la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia, sono guidati da politici populisti di varie fogge. Inoltre, se il terremoto politico in corso dovesse aprire la strada ad un governo stabile e riformista (l’anno prossimo ci saranno le elezioni politiche), significherebbe che la “verità” e “l’onestà”, gli slogan chiave usati da quanti hanno combattuto per la democrazia nel 1989 e che ora hanno proiettato la Čaputova in testa al primo turno, possono di nuovo rivelarsi vittoriosi.
In Slovacchia, alla vigilia delle elezioni presidenziali, la candidata riformista Zuzana Čaputova è in testa nei sondaggi e potrebbe addirittura vincere al primo turno. Manco a dirlo, la vittoria di un candidato liberale, apertamente filo-occidentale e per giunta donna, sarebbe un duro colpo per il populismo in una regione come l’Europa centrale, attratta irresistibilmente da leader nazionalisti con un debole per la Russia e dove la democrazia liberale è spesso a rischio. E le presidenziali potrebbero essere solo l’inizio. L’anno prossimo le elezioni politiche decideranno quali forze rimpiazzeranno i vecchi partiti oggi sul viale del tramonto ed è la prima volta che i riformisti filo-occidentali hanno il vento in poppa. Ma potremmo essere di fronte ad una svolta anche per l’Europa. Il paese postcomunista, data la piccola dimensione ed un sistema politico instabile e mutevole, è diventato una sorta di laboratorio in grado di testare come la politica centrista possa rispondere alle sfide dell’epoca populista. La Slovacchia, infatti, in questi anni non si è fatta mancare niente ed è stata trascinata in tutte le dispute che hanno infiammato l’Occidente: dall’immigrazione e dalle politiche in materia di asilo all’evidente corruzione delle élite, fino alle sfide geopolitiche dettate dalla prossimità con l’Ucraina e la Russia. E al di là del significato del suo successo per l’intera regione, la candidata di «Progresivne Slovensko» (un partito nuovo di zecca) ha forse qualcosa da insegnare ai liberali occidentali che cercano una risposta al nazional-populismo. Zuzana Čaputova ha unito i partiti di centro-sinistra e di centro-destra, lasciando intravedere come le dispute di una volta tra «large government» e «small government» possano svanire nell’epoca del populismo. Può anche darsi che i Millennials americani si siano innamorati del socialismo, come si racconta, ma l’esempio slovacco indica che la dicotomia tra «socialismo» e «mercato», in un paese che ha sperimentato il socialismo reale, è morta e defunta da un pezzo. Il che non significa che non ci siano disparità di vedute in merito alle specifiche politiche. Ma l’importanza di queste differenze impallidisce di fronte alla domanda se la Slovacchia possa diventare un paese europeo normale. Inoltre, le possibili soluzioni alle sfide economiche e sociali che affronta il paese (dall’invecchiamento al basso livello degli investimenti in ricerca e sviluppo, per non parlare dell’ampia e male integrata popolazione Rom) non hanno molto a che fare con la divisione destra-sinistra.
In Slovacchia, alla vigilia delle elezioni presidenziali, la candidata riformista Zuzana Čaputova è in testa nei sondaggi e potrebbe addirittura vincere al primo turno. Manco a dirlo, la vittoria di un candidato liberale, apertamente filo-occidentale e per giunta donna, sarebbe un duro colpo per il populismo in una regione come l’Europa centrale, attratta irresistibilmente da leader nazionalisti con un debole per la Russia e dove la democrazia liberale è spesso a rischio. E le presidenziali potrebbero essere solo l’inizio. L’anno prossimo le elezioni politiche decideranno quali forze rimpiazzeranno i vecchi partiti oggi sul viale del tramonto ed è la prima volta che i riformisti filo-occidentali hanno il vento in poppa. Ma potremmo essere di fronte ad una svolta anche per l’Europa. Il paese postcomunista, data la piccola dimensione ed un sistema politico instabile e mutevole, è diventato una sorta di laboratorio in grado di testare come la politica centrista possa rispondere alle sfide dell’epoca populista. La Slovacchia, infatti, in questi anni non si è fatta mancare niente ed è stata trascinata in tutte le dispute che hanno infiammato l’Occidente: dall’immigrazione e dalle politiche in materia di asilo all’evidente corruzione delle élite, fino alle sfide geopolitiche dettate dalla prossimità con l’Ucraina e la Russia. E al di là del significato del suo successo per l’intera regione, la candidata di «Progresivne Slovensko» (un partito nuovo di zecca) ha forse qualcosa da insegnare ai liberali occidentali che cercano una risposta al nazional-populismo. Zuzana Čaputova ha unito i partiti di centro-sinistra e di centro-destra, lasciando intravedere come le dispute di una volta tra «large government» e «small government» possano svanire nell’epoca del populismo. Può anche darsi che i Millennials americani si siano innamorati del socialismo, come si racconta, ma l’esempio slovacco indica che la dicotomia tra «socialismo» e «mercato», in un paese che ha sperimentato il socialismo reale, è morta e defunta da un pezzo. Il che non significa che non ci siano disparità di vedute in merito alle specifiche politiche. Ma l’importanza di queste differenze impallidisce di fronte alla domanda se la Slovacchia possa diventare un paese europeo normale. Inoltre, le possibili soluzioni alle sfide economiche e sociali che affronta il paese (dall’invecchiamento al basso livello degli investimenti in ricerca e sviluppo, per non parlare dell’ampia e male integrata popolazione Rom) non hanno molto a che fare con la divisione destra-sinistra.
Tutto il mondo è paese, si sa. Specie nell’Occidente contemporaneo. La sinistra trabocca di idee, ha scritto qualche giorno fa Fareed Zakaria sul Washington Post a proposito dei Dem americani, ma, ha subito aggiunto, sono quelle sbagliate. Nel Partito Democratico è tutto un ribollire di nuove idee, riconosce il giornalista americano. Ma queste nuove idee non hanno molto a che fare con gli sforzi di riforma degli ultimi trent’anni. Quelle dell’era Clinton-Obama erano proposte pragmatiche e progressive e mescolavano gli incentivi di mercato con l’azione pubblica. Oggi abbiamo grandi ed entusiasmanti idee e proprio questo, scrive Zakaria, potrebbe essere il problema. Perché con la brama di eguagliare la retorica massimalista del populismo di destra, i Democratici americani stanno facendo circolare proposte mirabolanti (dal Medicare for All all’introduzione della patrimoniale di cui si è fatta paladina la senatrice Elizabeth Warren) nelle quali i fatti il più delle volte sono travisati, i conti non tornano e l’appello ai sentimenti tende a prevalere sull’analisi concreta.
Tutto il mondo è paese, si sa. Specie nell’Occidente contemporaneo. La sinistra trabocca di idee, ha scritto qualche giorno fa Fareed Zakaria sul Washington Post a proposito dei Dem americani, ma, ha subito aggiunto, sono quelle sbagliate. Nel Partito Democratico è tutto un ribollire di nuove idee, riconosce il giornalista americano. Ma queste nuove idee non hanno molto a che fare con gli sforzi di riforma degli ultimi trent’anni. Quelle dell’era Clinton-Obama erano proposte pragmatiche e progressive e mescolavano gli incentivi di mercato con l’azione pubblica. Oggi abbiamo grandi ed entusiasmanti idee e proprio questo, scrive Zakaria, potrebbe essere il problema. Perché con la brama di eguagliare la retorica massimalista del populismo di destra, i Democratici americani stanno facendo circolare proposte mirabolanti (dal Medicare for All all’introduzione della patrimoniale di cui si è fatta paladina la senatrice Elizabeth Warren) nelle quali i fatti il più delle volte sono travisati, i conti non tornano e l’appello ai sentimenti tende a prevalere sull’analisi concreta.