GIORNALI2015

Il Piccolo, 26 maggio 2015 – Riunire le forze con «Città Comune»

Non deve essere solo l’esigenza di contenere la spesa a muoversi in questa direzione, si deve adattare la dimensione istituzionale ai cambiamenti

Il progetto Città Comune ha il merito di riproporre un problema strategico per il buongoverno locale. Tra le riforme possibili, quella davvero annosa, di un accorpamento (naturalmente democratico, graduale, non autoritativo) dei Comuni di Monfalcone, Ronchi e Staranzano, è ormai giunta a maturazione. Del resto, quello di “unire le forze” attraverso l’integrazione tra più città è più sistemi locali, è un progetto al quale in passato avevamo lavorato in molti, senza esito. Ricordo solo l’idea della Città Mandamento e l’impegno dei compianti Adriano Cragnolin e Enzo Novelli. E’ tempo perciò di imboccare con energia una strada che può portare a gestioni più forti e più attente ai bisogni della gente. Non deve essere solo l’esigenza di contenere la spesa a muovere in questa direzione, c’è il dovere di adattare la dimensione istituzionale ai cambiamenti (economici, demografici, regolamentari, ecc.) e di fornire ai cittadini tutti i servizi di cui godono i cittadini delle città più grandi. Uno sbocco che può rappresentare un esempio per tutti e un riferimento per successive integrazioni. La dimensione territoriale dei comuni italiani è ancora quella del Medioevo: la distanza che si poteva percorrere a piedi sulle strade di allora nelle ore di luce. Ma oggi l’economia del Paese ha bisogno di avviare grandi trasformazioni e il ripensamento di un’organizzazione territoriale finora dispersa costituisce forse il capitolo più importante di questo progetto. Le città, infatti, stanno mutando funzioni, posizione e funzionamento interno in tutta Europa e l’organizzazione della produzione e dei servizi, per tutte le cose di qualità, sta sempre più uscendo dal tradizionale spazio urbano, divenuto troppo limitato, per approdare ad aree più estese. Non per caso, in tutta Europa, negli anni ’90, c’è stato un grande fervore riformatore per definire un nuovo ordine territoriale. In Germania i comuni erano addirittura 24.476 e ogni Land ha usato le ricette più convenienti per gli accorpamenti. Nel Canton Ticino 45 comuni si sono uniti in 15 nuove aggregazioni, in Danimarca hanno ridotto i Comuni da 1388 a 275, in Belgio da oltre 2500 a meno di 600, in Inghilterra da 1830 a 486. E potrei continuare. Non per caso, fin dal 1990, la legge contempla (“in previsione di una loro fusione”) l’unione di comuni “per l’esercizio di una pluralità di funzioni”. Il guaio è che non si è fatto nulla. E’ tempo, perciò, di prendere il toro per le corna. So bene che quello delle cento città è un mito antico della politica italiana, ma questa deve rinnovare le sue parole d’ordine se vuole affrontare le sfide del futuro. E chiamare la gente a decidere è il modo migliore per farlo.

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