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Il Piccolo, 7 febbraio 2015 – Maran: mi ha convinto il Jobs Act

Il senatore gradese: «Non chiedo poltrone. La mia è una scelta sul programma. Il Pd sul lavoro ha dato ragione a Ichino»

di Marco Ballico – TRIESTE Renziano della prima ora, lui sì. Nel 2012, primarie del Pd, Alessandro Maran affermava: «Voterò per Renzi: il centrosinistra ha bisogno di una rigenerazione». Un anno dopo entrava in rotta di collisione con il Pd e se ne andava un attimo prima della chiusura delle liste per le politiche. Oggi, il ritorno a casa. Il senatore di Grado è uno degli otto parlamentari montiani che lasciano Scelta civica e si siedono nel gruppo dem. Debora Serracchiani, ieri all’inaugurazione dell’anno accademico, ha incrociato Maran e gli ha detto, semplicemente, «bentornato». Anche con la presidente della Regione c’era stato attrito nel gennaio di due anni fa, ma era tutto un altro mondo: Renzi faceva il sindaco di Firenze e l’europarlamentare Serracchiani appoggiava Pier Luigi Bersani. «La politica è lo spazio della scelta», diceva allora.

Ha scelto il dietrofront per una questione politica?

Ho scelto, abbiamo scelto, perché era arrivato il momento di farlo. Convinti soprattutto dal programma, si può finalmente voltare pagina rispetto ai partiti e alle ideologie del passato. Dopo di che, in queste ore, è arrivato anche l’invito, che abbiamo colto, del presidente del Consiglio a un percorso e a un approdo comune.

Improvvisamente comune?

No, già da tempo. Anzi, rivendichiamo di avere anticipato, prima con le nostre battaglie da riformisti nel Pd, poi con il programma elettorale di Scelta civica e con i progetti che ne sono seguiti, la parte più innovativa del programma di riforme del governo: dal lavoro all’amministrazione pubblica, dal sistema elettorale a quelle del Parlamento, fino alla politica industriale.

Il Pd ha copiato l’agenda?

Diciamo che, assieme al governo, l’ha fatta propria. Parlo anche di quell’area del partito che aveva marginalizzato alcuni di noi.

Ma qual è il motivo per cui lasciate Scelta civica?

Posto che le nostre idee sono diventate le idee del Pd, è venuta meno la ragion d’essere del movimento. Continuiamo a essere orgogliosi delle battaglie fatte. L’esempio più eclatante è il Jobs Act. Tutti in Italia sanno che, se si parla di riforma del lavoro, lo si deve a Pietro Ichino. Renzi stesso ci ha dato atto di avere dato un contributo decisivo per avviare il cambiamento. Non si tratta solo di numeri, ma di progettualità, partecipazione, battaglia politica.

Perché non continuare allora con il gruppo in cui siete stati eletti? Perché siamo consapevoli che nessuno dei passi avanti sulla via delle riforme necessarie per l’integrazione dell’Italia in Europa sarebbe stato possibile se non nel quadro dell’iniziativa politica promossa e guidata da Renzi, che ha profondamente modificato la configurazione dell’area di centrosinistra e al tempo stesso dell’intero sistema politico nazionale.

Che ne sarà di Scelta civica?

Corre il rischio di ridursi a piccolo partitino con tutte le ragioni del distinguo. Non è la nostra idea.

Che cosa farete nel gruppo Pd?

Concorreremo allo sforzo per determinare i cambiamenti di cui il Paese ha bisogno.

E come lo spiegherete ai cittadini che hanno votato Scelta civica e non Pd?

I cittadini sono arrivati prima di noi. Quell’elettorato alle scorse europee si è trasferito direzione Pd. Perché il Pd renziano ha di fatto assorbito la basa sociale ed elettorale di Scelta civica.

Che cosa resta del voto 2013?

Il grande merito di avere impedito a Berlusconi di vincere le elezioni. E pure che la sinistra rimanesse imprigionata nella cornice identitaria di Bersani e di Vendola. Grazie a quei due stop imposti anche grazie a Scelta civica, l’Italia ha potuto conoscere il cambiamento di Renzi.

Chiedete poltrone?

Proprio nessuna. Il quadro del governo resta immutato.

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