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Per neutralizzare la paura della globalizzazione bisogna occuparsi dei losers

L’inquietudine che percorre l’Europa e l’America e che si traduce in incertezza politica, crisi istituzionale, perdita di consenso delle élite, ascesa dei partiti del rancore, ha ovviamente che fare con la globalizzazione economica, il dissolversi delle frontiere e l’aumento dei flussi migratori. E la Brexit, la rottura del patto tra Regno Unito e Unione europea, fa parte (e per certi versi è il risultato) di questo stato d’animo.

Come ha osservato Pietro Ichino «il fronte no-global gioca apertamente su questa ansia epidemica. Il fronte opposto, se vuole vincere la battaglia, non può limitarsi a spiegare che dall’apertura delle frontiere e dalla specializzazione produttiva internazionale che ne consegue deriverà un aumento del P.I.L.: deve anche spiegare quale parte di questo P.I.L. verrà destinata a indennizzare chi nella transizione ci perde; e precisamente come. Non può limitarsi a spiegare che ne risulterà un aumento della produttività media del lavoro: deve anche spiegare in che modo si opererà per evitare che quell’aumento sia come il pollo di Trilussa, portando benefici soltanto ai più bravi, ai più mobili, a quelli che sanno l’inglese, insomma soltanto a quelli che sull’autobus della globalizzazione sanno saltarci sopra». In altre parole, come ogni eccesso di ansia, anche quello suscitato dalla globalizzazione, «può e deve essere curato»; e la vicenda del Regno Unito potrebbe spingerci a «occuparci con maggiore attenzione e puntualità dei perdenti della globalizzazione».

In un editoriale pubblicato sul Corriere della Sera del 23 giugno 2016, (Riformisti e Cinquestelle alla prova degli esclusi – Corriere.it – Corriere della Sera) Dario Di Vico riprende il discorso di Pietro Ichino. Scrive Di Vico: «Urge occuparsi dei perdenti della globalizzazione». Si intitola così un breve editoriale che Pietro Ichino ha incluso nella sua newsletter settimanale nel quale sostiene una posizione del tutto nuova per lui. «L’imbarbarirsi dello scontro sulla globalizzazione anche nel civilissimo Regno Unito mi convince che anche per chi accetta da destra la sfida della globalizzazione è indispensabile occuparsi di come sostenere e indennizzare i losers. È l’unico modo per alleviare uno smarrimento e un’angoscia che, nella transizione, possono colpire tutti».

Non si tratta però di una «posizione del tutto nuova». Pietro Ichino, infatti, sul suo sito è tornato sull’argomento per ringraziare l’editorialista del Corriere precisando però che «la necessità politica di individuare precisamente i perdenti della globalizzazione, e predisporre le misure soprattutto per il loro indennizzo e sostegno, è espressa più compiutamente in un articolo che ho pubblicato con altri nove parlamentari del Pd sul Foglio il 12 gennaio scorso, La svolta buona che ora serve all’Italia». Si tratta del documento che abbiamo predisposto all’inizio dell’anno, una lettera aperta inviata al presidente del Consiglio Matteo Renzi, con il quale, come ha scritto Claudio Cerasa, «un gruppo di parlamentari del Pd di fede renziana» provano «a mettere fuoco quali dovranno essere le priorità che il capo del governo non deve ignorare per non sprecare il 2016 ed evitare così, aggiungiamo noi, che la politica del consenso rapido prevalga sulla politiche delle riforme future». Un appello per Renzi e la sua maggioranza: «cinque priorità per neutralizzare la paura della globalizzazione e spingere la crescita». Ovviamente, l’abbiamo sottoscritto in dieci: i soliti quattro gatti. Lo ripropongo: Il Foglio, 12 gennaio 2016 – La svolta buona che ora serve al governo (e all’Italia). Appello a Renzi

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