«Investire nella nostra diplomazia non è qualcosa che facciamo perché è la cosa giusta da fare per il mondo. Lo facciamo per vivere in pace, in sicurezza e prosperità», ha detto Joe Biden nel suo discorso al Dipartimento di Stato. «Lo Facciamo perché è nel nostro autentico interesse».
Il cambio di rotta della politica estera americana prosegue di gran carriera. Giovedì scorso, nel suo primo significativo discorso dedicato alla politica estera nei panni di presidente, Joe Biden ha annunciato che «l’America è tornata» e che «la diplomazia è di nuovo al centro» della politica estera degli Stati Uniti. Il presidente americano ha sottolineato che le sfide globali di oggi, compresa la necessità di combattere «l’autoritarismo crescente», saranno risolte «soltanto da nazioni che lavorano insieme» ed ha comunicato la decisione di ritirare il sostengo alle azioni di guerra in Yemen, di «congelare» il previsto ritiro parziale delle truppe dalla Germania e rimuovere i limiti draconiani ai rifugiati voluti da Donald Trump, ed ha confermato il sostegno universale americano ai diritti LGBT. Tuttavia, sulle questioni più urticanti (Russia e Cina), su manterrà fede alla promessa di preservare la democrazia mondiale e su quel che ha intenzione di fare a proposito dei programmi nucleari della Corea del Nord e dell’Iran, non c’è ancora molto su cui lavorare.
La nuova amministrazione è in carica, del resto, da appena due settimane. Eppure la Casa Bianca ha presentato il discorso di Biden al Dipartimento di Stato come un’occasione importante e continua a ricordare a tutti che il nuovo presidente è più ferrato in politica estera di ogni altro predecessore da molto tempo a questa parte.
Ovviamente, per ora quelle di Biden (anche quando ha parlato con durezza di non «arrendersi» a Putin ed ha inviato un cacciatorpediniere nello stretto di Taiwan) sembrano solo dichiarazioni di intenti e, per ora, il discorso di giovedì scorso sembra offrire semplicemente un inquadramento tematico all’abbandono della filosofia dell’ «America First» in direzione di un atteggiamento più tradizionale. Presto, tuttavia, Biden dovrà dimostrare concretamente come intende sostenere la richiesta di liberare il dissidente russo Alexey Navalny o capovolgere il colpo di stato in Myanmar.
In ogni modo, il passaggio più significativo nel discorso di Biden non ha riguardato il resto del mondo ma l’America. «Non c’è più una linea di demarcazione tra politica estera e politica interna: ogni iniziativa che assumiamo nella nostra condotta all’estero, va presa con in mente le famiglie dei lavoratori americani», ha detto Biden, confermando il punto di vista di molti esperti di politica estera che dubitano seriamente che gli Stati Uniti vogliano riprendere il loro ruolo egemonico globale.
Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan ha poi ribadito che la politica estera americana non ha alcuna possibilità di successo se la classe media non la vedrà promuovere i propri interessi, se cioè non «renderà migliore, più sicura e più comoda la vita delle famiglie americane». Il che potrebbe escludere un ritorno ai tempi in cui gli Stati Uniti promuovevano il libero scambio in modo aggressivo, mandavano le loro truppe in guerra in paesi lontani, indossavano i panni del poliziotto globale e organizzavano interventi in posti come il Kosovo e la Libia. Perciò, sì, l’America è tornata. Ma non come prima.