Monthly Archives: Ago 2015

GIORNALI2013

Il Gazzettino, 22 febbraio 2013 – Il Gazzettino: «Sul mercato del lavoro la Regione sia laboratorio»

 

Collocamento, formazione e sostegno al reddito a partire dal Friuli Venezia Giulia. Ad immaginare la Regione “un laboratorio” dove sperimentare nuovo politiche del lavoro è il candidato capolista al Senato nel Friuli Venezia Giulia con Monti per l’Italia Alessandro Maran che ieri, a Trieste, ha partecipato ad un dibattito pubblico sul tema “Modello flexsecurity per il lavoro, una speranza per i giovani”. Da Milano, collegati via web, hanno preso parte all’incontro anche il candidato al Senato in Lombardia Pietro Ichino e Claudio Ceper,  candidato alla Camera nella nostra Regione. Secondo Maran, «in materia di lavoro, le competenze decisive sono regionali» ma non solo, «l’autonomia va utilizzata non per difenderla, ma per intervenire in maniera forte sui temi occupazionali allineandosi alle esperienze europee». Da qui il concetto di flexsecurity disegnato da Ichino che, spiega sempre Maran, «coniuga due necessità contrapposte, flessibilità e sicurezza, per promuovere l’occupazione giovanile e delle donne. Giovani e donne – prosegue Maran – rischiano di pagare il prezzo più alto della crisi, sono infatti soprattutto queste due categorie ad essere inserite nel mercato del lavoro con contratti precari». La flexsecurity, che in pratica significa lavoro più sicuro a fronte di maggiore flessibilità delle strutture produttive, è uno dei progetti contenuti nell’Agenda Monti per modernizzare il mercato del lavoro, in particolare per i giovani con meno di trent’anni, le donne e gli ultracinquantenni. «Per i servizi di assistenza intensiva per la ricerca di nuova occupazione – sottolinea il candidato gradese – le Regioni hanno la possibilità di attingere a quel 60% di contributi del Fondo sociale europeo che finora non sono state capaci di utilizzare». «Il contratto di lavoro che intendiamo sperimentare – spiega – è a tempo indeterminato, preferibile per le imprese, di modo da assorbire le centinaia di migliaia di collaborazioni fasulle”, mentre per incentivare l’occupazione femminile «proponiamo sgravi Irpef per il primo impiego». Maran oggi sarà a Udine per partecipare all’assemblea studentesca all’Auditorium Zanon. Un’occasione per sensibilizzare al voto i ragazzi e per ribadire che «spesa e debito sono tra i peggiori nemici dei giovani e del futuro dell’Italia».

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Il Piccolo, 27 febbraio 2013 – «L’Italia ha bisogno di riforme Il Pd deve dialogare con noi»

 

«L’Italia ha bisogno di riforme. Il Pd deve dialogare con noi»

La rivincita del senatore montiano sull’ex partito. «Larghe intese o ingovernabilità Colpa di vent’anni di mancata riforma della legge elettorale, ritardo da colmare»

Quasi 9mila voti una percentuale superiore al 13%

Dopo tre mandati alla Camera nella file del Pd, Alessandro Maran, a gennaio, escluso dalle liste dei candidati del suo partito, ha lasciato a sorpresa il Pd per sposare la discesa in campo del premier, ed è stato candidato al Senato, diventando uno dei due nuovi parlamentari della provincia di Gorizia (l’altro è il pidiessino Giorgio Brandolin). Al Senato la lista Monti, nella provincia isontina, si è piazzata al quarto posto, ottenendo 8.992 voti, con una percentuale dell’11,28%. Di questi quasi 9 mila voti, 2.626 (pari al 13,50%) Maran li ha ottenuti a Gorizia, ma la percentuale più elevata l’ha conseguita a Mariano con quasi il 15%.

I rapporti con il Pd, la governabilità, l’urgenza delle riforme, il ruolo dei “grillini”, le elezioni regionali. Alessandro Maran, il giorno dopo averla spuntata nella corsa al Senato con la lista Monti, guarda già all’immediato futuro ma sottolinea la necessità di cambiare quanto prima la legge elettorale. Senatore, collaborerà con i parlamentari del Pd, dopo che il suo ex partito l’ha accusata di tradimento? Hanno dovuto riabilitarmi, perché da Berlino Bersani ha proposto la collaborazione a Monti. E’ comunque ovvio che ci sarà collaborazione, specialmente sulle questioni del territorio e delle riforme, come si fa normalmente. Come legge il crollo di Fli e Udc, che in qualche modo avrebbero dovuto “portare acqua” alla lista del premier uscente? E’ evidente che “Scelta civica” ha drenato voti, anche se al Senato era presente come formazione unica e alla Camera correvano in coalizione. “Scelta civica” è destinata a durare, come unica formazione politica che include il Fli e l’Udc. Per me si è trattato di una scelta unitaria sin dall’inizio. Come si sente ad aver scalzato Camber e il secondo grillino in lizza, benché grazie al meccanismo di questa legge elettorale? Queste elezioni hanno testimoniato che gli italiani vogliono cambiare. E’ successo un terremoto, è quindi irrilevante che io abbia scalzato Camber o un altro. Con la situazione che si è configurata alla Camera e al Senato è possibile la governabilità? Questo risultato non è diverso dal primo turno delle elezioni francesi, con la differenza che in Francia hanno il secondo turno, in cui si supera la frammentazione. Noi abbiamo invece un assetto che non favorisce la governabilità. Stiamo pagando vent’anni di mancata riforma della legge elettorale. La prima questione da affrontare tutti assieme è come la si cambia. La seconda è definire una maggioranza: il Pd cosa intende fare? In un Paese normale si cercherebbe di dare vita a un’intesa larga. Che possibilità vede per attuare le riforme indicate da Monti? L’Italia deve provarci. L’unico modo per uscire da questa situazione di rabbia e crisi è fare le riforme. Bisogna subito far ripartire la crescita, e poi mettere mano al mercato del lavoro, alla giustizia, all’istruzione e all’assetto istituzionale. Con le buone o le cattive queste riforme l’Italia dovrà farle, e chi è interessato al futuro del Paese deve pensare a collaborare. Adesso bisogna indicare le soluzioni. Si deve fare in modo che gli investitori istituzionali puntino ancora sull’Italia. Come giudica i voti che avete ottenuto nell’Isontino? Si aspettava di più da qualche località? E’ stato un voto in linea con le aspettative. Il risultato regionale della lista Monti è comunque il migliore d’Italia. E’ chiaro che c’è sempre spazio per fare meglio. Nell’Isontino e in regione, ma anche nella sua Grado, che conseguenze avrà il risultato a sorpresa del movimento di Beppe Grillo? Il movimento di Grillo è un meteorite che ha scompaginato le previsioni della vigilia, destinato quindi a produrre un cambiamento. Ma non è detto che sopravviva. Avrà comunque un ruolo importantissimo alle elezioni regionali, già oggi può essere considerato uno dei contendenti. E in quel contesto la lista Monti assumerà il ruolo di ago della bilancia. Alle regionali andrete da soli o in coalizione? Quello che è certo è che ci presentiamo, resta da decidere se da soli o in alleanza. La scelta con chi dipenderà dai punti dell’agenda Monti, se cioè eventuali alleati saranno disposti a “ribaltare” la Regione, a cominciare dall’eliminazione delle Province.Nel suo nuovo ruolo di senatore, cosa ha in programma di fare per l’Isontino e la regione? I problemi locali non sono diversi da quelli dell’Italia. Il Friuli Venezia Giulia riparte se riparte la crescita. Quindi la prima cosa da fare è detassare il lavoro delle donne e dei giovani, è una condizione essenziale per rilanciare la crescita. Da noi le donne che lavorano sono il 46%, in Europa il 60%; qui vogliamo arrivare almeno al 60%.

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Il Piccolo, 19 marzo 2013 – «Le divisioni ci sono ma Mario resta il leader»

 

Maran ridimensiona la frattura tra i centristi. E critica il Pd: «Condanna l’Italia a un salto nel buio»

Alessandro Maran preferisce concentrarsi sugli errori del Pd piuttosto che su quelli di Mario Monti. Che, se ci sono, sono fisiologici: «Se ne fanno continuamente».

Monti ha subito molte critiche. Avete perso un leader?

Le critiche a Monti non sono mai mancate. Fin da quando si è assunto la responsabilità di scelte che i partiti hanno preferito scansare. Ma resta il leader riconosciuto che ha riaperto all’Italia una prospettiva di sviluppo e le ha ridato ruolo e prestigio.

Monti al Quirinale è un vostro obiettivo?

Ne guadagnerebbe il Paese. Ma, se questo fosse stato davvero il suo scopo, gli sarebbe bastato tenersi alla larga dalla competizione elettorale.

Il Monti sobrio e super partes è un ricordo?

Il vero problema è che in questa nuova legislatura le prime e forse uniche cose da fare – riforma elettorale e riduzione dei costi della politica – devono necessariamente, per loro stessa natura, essere fatte insieme al Pdl. Il rifiuto preliminare del Pd di accordi con quel partito rischia di privare la legislatura della sua unica missione possibile, condannando il Paese al salto nel buio del voto anticipato a giugno, con la stessa vecchia legge elettorale che ha prodotto il risultato di febbraio. Di qui la nostra scheda bianca.

Come vivete in Parlamento il ruolo di gruppo non determinante? Siete divisi?

Ci sono opinioni diverse dovunque. Anche tra i grillini. Ma il punto è che nessuno è determinante come sperava. Il risultato delle elezioni non è diverso da quello del primo turno delle elezioni francesi di un anno fa. Ma in Francia hanno il secondo turno, con cui si supera la frammentazione e si sceglie chi governa. I fenomeni politici sono gli stessi, ma il meccanismo istituzionale è più evoluto. I nostri problemi affondano le radici in istituzioni inadeguate, deboli e barocche. Urgente cambiarle.

I presidenti di Camera e Senato sono una svolta reale?

 L’elezione di due pur degnissime persone come Pietro Grasso e Laura Boldrini, se accelera lo scivolamento verso lo scioglimento delle Camere, rischia di essere una presa in giro molto pericolosa per il Paese.

Quale la soluzione migliore per la formazione del governo?

In queste condizioni, e con l’economia in bilico fra asfissia e catastrofe, se fossimo in Germania un governo di responsabilità nazionale sarebbe già nato. In qualsiasi Paese europeo degno di questo nome, se l’esito delle elezioni non consente il formarsi di una maggioranza di governo, e se il tornare subito al voto espone il Paese a un rischio grave sul piano economico-finanziario, le forze politiche maggiori non esitano a unirsi, per la salvaguardia dell’interesse nazionale.

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IN PRIMO PIANO

LA LETTERA DEL PREMIER RENZI AI PARLAMENTARI DEI GRUPPI DI MAGGIORANZA

Carissimi,

tra qualche ora sarete in vacanza, per una breve pausa. Mi permetto di dire, sfidando le ire dei benpensanti: vacanza molto meritata. Sì, meritata. Perché se vi voltate un attimo indietro e provate a ripercorrere il cammino di questo anno, resterete stupiti pensando alle cose che abbiamo portato a casa.
Lo dico senza giri di parole: avete fatto un lavoro straordinario ed è giusto rendervi merito. Mai il Parlamento italiano in 70 anni di storia aveva lavorato così tanto e così intensamente. E nessun Paese europeo ha mai fatto – tutte insieme – così tante riforme.
Provate per un istante, per un solo istante, a metterle in fila.

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Il Foglio, 31 maggio 2013 – Sanare la metamorfosi. Dal referendum del ’93 alle primarie, ci siamo abituati a eleggere leader e governanti

Il governo Letta ha fatto bene a vincolare la propria durata ad percorso efficace e tempestivo di riordino istituzionale. In fondo, la scommessa che i partiti di maggioranza hanno accettato è proprio questa: allontanare il sospetto che non ci sia niente che si possa fare per salvare quel che resta del sistema. La nostra Repubblica è già cambiata, spesso in modo involontario e imprevisto e oggi risulta incompiuta, a metà. Il nodo irrisolto non riguarda tanto la legge elettorale quanto la forma di governo, cioè la qualità della forma di stato. E su questo punto, come ha detto Enrico Letta, «bisogna anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato». È da un pezzo che la premiership è diventata la vera e fondamentale posta in gioco. Al punto che si è fatto dell’investitura popolare diretta (o come se diretta) il perno attorno al quale ruota il sistema, senza, peraltro, introdurre alcun serio contrappeso. Sono passati vent’anni da quando i cittadini hanno risposto inequivocabilmente alla domanda alla base del referendum del ’93: sono i partiti o i cittadini a scegliere il governo, e questo risponde ai partiti o ai cittadini? È dal ’93 che ci siamo abituati ad eleggere direttamente sindaci, presidenti di provincia e (poi) di regione. Nel frattempo, nella considerazione degli italiani, i partiti e il Parlamento hanno toccato il punto più basso. E potrei continuare: nel 2001, i nomi di Rutelli e Berlusconi erano indicati sulla scheda elettorale; con le primarie il centrosinistra sceglie ormai d’abitudine i candidati per le cariche monocratiche e con le primarie il Pd ha scelto il segretario nazionale e i segretari regionali, facendo volare le decisioni individuali di moltissimi cittadini là dove non erano mai arrivate, nella scelta dei massimi dirigenti. Insomma, la politica presidenziale è diventata, ormai parte integrante della nostra scena nazionale. Anche se ancora non si è trasformata in un nuovo equilibrio istituzionale. Ora Enrico Letta propone (giustamente) l’elezione diretta del Presidente della Commissione europea (e, più in là, degli Stati Uniti d’Europa). Può essere che l’elezione diretta vada bene per tutti i livelli di governo ad eccezione di quello nazionale? Oltretutto, non credo che il parlamentarismo limitato, il sistema tedesco (magari «alle vongole») o la riduzione dei parlamentari possano bastare: too late, too little, direbbero gli americani. Anche perché, come ha spiegato Giovanni Sartori, «la costruzione di un sistema di premiership sfugge largamente alla presa dell’ingegneria costituzionale. Le varianti britannica o tedesca di parlamentarismo limitato (di semi-parlamentarismo) funzionano come funzionano soltanto per la presenza di condizioni favorevoli». Sartori ritiene che «la strategia preferibile non è quella del gradualismo, ma piuttosto una terapia d’urto. Insomma, le probabilità di riuscita sono minori nella direzione del semi-parlamentarismo, e maggiori se si salta al semi-presidenzialismo». Il guaio è che oggi in molti prendono atto che non è possibile praticare la vecchia forma della partecipazione alla politica, ma continuano a ritenere che quella forma della partecipazione alla politica e quel sistema politico siano i migliori. E dunque cercano di avvicinarsi a quel modello e di salvare più elementi possibile di quella esperienza. Ma questo atteggiamento nasce da una visione statica e conservatrice. Il vecchio sistema dei partiti non torna più, neppure ripristinando proporzionale e preferenze. La «metamorfosi» è già avvenuta. L’unica strada praticabile è quella di esaltare la possibilità della scelta, la responsabilità della scelta, l’esercizio della cittadinanza nello stato. Non si tratta di una questione tecnico-istituzionale, ma di una questione etico-politica. Caduti gli stimoli del passato, come si riattiva la partecipazione alla politica? Il rispetto della competenza decisionale degli individui non è forse l’unica risposta possibile a una crisi di fiducia ormai incontenibile ? Quello che è avvenuto in questo ventennio non è una parentesi antistorica. Oggi nessuno (in tutte le società industriali avanzate) partecipa più alla politica come in passato. Per questo bisogna passare definitivamente da una concezione e da una pratica politica fondate su una dichiarazione e una scelta di appartenenza a quelle fondate sulla responsabilità della scelta per il governo del paese. Il punto è che oggi solo la leadership può essere una risposta alla crisi di legittimazione. So bene che ogni ipotesi di riforma istituzionale che evochi il «presidenzialismo» è motivo di sospetto prima ancora che di ragionata opposizione. Ma quello che sta accadendo da anni è la prova della necessità, di fronte alla dispersione delle rappresentanze degli interessi, di dotare il nostro sistema politico di competenze di governo che abbiano la legittimità e la forza di aggregare decidendo. Alessandro Maran, senatore di Scelta civica

 

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Il Gazzettino, 1 giugno 2013 – Anche a Roma urge l’elezione diretta

Il governo Letta ha fatto bene a vincolare la propria durata ad percorso efficace e tempestivo di riordino istituzionale. In fondo, la scommessa che i partiti di maggioranza hanno accettato è proprio questa: allontanare il sospetto che non ci sia niente che si possa fare per salvare quel che resta del sistema. La nostra Repubblica è già cambiata, spesso in modo involontario e imprevisto (Ilvo Diamanti l’ha definita argutamente una “repubblica preterintenzionale”) e oggi risulta incompiuta, a metà. Il nodo irrisolto non riguarda tanto la legge elettorale quanto la forma di governo, cioè la qualità della forma di stato. E su questo punto, come ha detto Enrico Letta, «bisogna anche prendere in considerazione scelte coraggiose, rifiutando piccole misure cosmetiche e respingendo i pregiudizi del passato».

È da un pezzo che la premiership è diventata la vera e fondamentale posta in gioco. Al punto che si è fatto dell’investitura popolare diretta (o come se diretta) il perno attorno al quale ruota il sistema, senza, peraltro, introdurre alcun serio contrappeso. Sono passati vent’anni da quando i cittadini hanno risposto inequivocabilmente alla domanda alla base del referendum del ’93: sono i partiti o i cittadini a scegliere il governo, e questo risponde ai partiti o ai cittadini? È dal ’93 che ci siamo abituati ad eleggere direttamente sindaci, presidenti di provincia e (poi) di regione. Nel frattempo, nella considerazione degli italiani, i partiti e il Parlamento hanno toccato il punto più basso. E potrei continuare: nel 2001, i nomi di Rutelli e Berlusconi erano indicati sulla scheda elettorale; con le primarie il centrosinistra sceglie ormai d’abitudine i candidati per le cariche monocratiche e con le primarie il Pd ha scelto il segretario nazionale e i segretari regionali, facendo volare le decisioni individuali di moltissimi cittadini là dove non erano mai arrivate, nella scelta dei massimi dirigenti.

Insomma, la politica presidenziale è diventata, ormai parte integrante della nostra scena nazionale. Anche se ancora non si è trasformata in un nuovo equilibrio istituzionale. Ora Enrico Letta propone (giustamente) l’elezione diretta del Presidente della Commissione europea (e, più in là, degli Stati Uniti d’Europa). Può essere che l’elezione diretta vada bene per tutti i livelli di governo ad eccezione di quello nazionale? Oltretutto, non credo che il parlamentarismo limitato, il sistema tedesco (magari «alle vongole») o la riduzione dei parlamentari possano bastare: too late, too little, direbbero gli americani. Anche perché, come ha spiegato Giovanni Sartori, «la costruzione di un sistema di premiership sfugge largamente alla presa dell’ingegneria costituzionale».

Il punto (di nuovo, la questione etico-politica) è che oggi solo la leadership può essere una risposta alla crisi di legittimazione. So bene che ogni ipotesi di riforma istituzionale che evochi il «presidenzialismo» è motivo di sospetto prima ancora che di ragionata opposizione. Ma quello che sta accadendo da anni è la prova evidente della necessità di dotare il nostro sistema politico di competenze di governo che abbiano la legittimità e la forza di aggregare decidendo.

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Il Piccolo, 2 giugno 2013 – Maran: «Solo il “sistema francese” consente di ristrutturare i partiti»

LA CAMPAGNA PER CANCELLARE IL “PORCELLUM”

di Roberto Urizio

TRIESTE

Riforma istituzionale ed elettorale per rimettere l’Italia al passo con il resto d’Europa. Alessandro Maran, senatore di Scelta civica, lo dice da tempo tanto che, ancora nella scorsa legislatura, aveva depositato una proposta di legge in tal senso già a luglio dello scorso anno insieme ad altri deputati del Pd di cui all’epoca faceva parte. Semipresidenzialismo e doppio turno: l’Italia, sintetizza Maran che su questo tema ha scritto anche un libro, deve decidere se andare verso Atene o Parigi. Prendendo quindi le distanze dal cosiddetto “Porcellum”.

Qual è la strada da percorrere da parte del governo e dalla maggioranza che lo sostiene?

È dal novembre del 2011 che il presidente Napolitano ripete che l’Italia non può ritrovare la strada in un clima politico da guerra civile simulata. Gli ostacoli ci sono, penso ai guai giudiziari di Berlusconi, ma come Scelta civica abbiamo sempre sostenuto la necessità delle riforme. Per farlo ci vuole il riconoscimento reciproco tra i partiti e una condivisione di responsabilità.

Ce la farà il governo Letta a portare il Paese fuori dalle secche?

Io la vedo con ottimismo. Questo Governo ha molti volti nuovi che, se da una parte può essere un difetto di esperienza, dall’altro è indubbiamente un fattore positivo in quanto non c’è un passato che possa creare divisioni. Considero scelte eccellenti quelle di Saccomanni e di Bonino e, in generale, credo che questo governo segni un tentativo di pacificazione politica e di ridimensionamento di chi considera tutto allo sfascio.

Quali i passaggi fondamentali che dovrà affrontare il governo Letta?

Innanzitutto bisognerà aprire una fase costituente per ristrutturare il sistema istituzionale e politico. Da sempre sostengo la necessità di un modello semipresidenziale come in Francia con il doppio turno e la tormentata elezione del Presidente della Repubblica ha confermato palesemente questo bisogno. In Francia i risultati elettorali non sono stati diversi rispetto all’Italia, è il sistema a essere completamente diverso.

E la crisi economica e sociale?

È fondamentale riformare il mercato del lavoro, rendendo i rapporti lavorativi meno costosi e snellendo la burocrazia. Occorre ridurre l’imposizione fiscale e la spesa pubblica, eliminando alcuni carrozzoni quali, ad esempio, il Cnel. Ma prima di tutto la politica deve ritrovare la fiducia dei cittadini, i quali sono delusi dall’inconcludenza della politica. E per fare questo è prioritario riformare l’architettura istituzionale, altrimenti si rischia di avere proposte che non arrivano a essere nemmeno discusse in Parlamento.

Perché il sistema francese?

Perché le sue regole e le sue istituzioni contribuiscono in maniera molto significativa alla ristrutturazione dei partiti e delle modalità di competizione, alla formazione di coalizioni di governo e a dare potere agli elettori. Ma attenzione perché la riforma elettorale da sola non basta: serve una riforma che tenga insieme sistema di governo e sistema elettorale per consentire una riorganizzazione complessiva dei partiti e del sistema politico.

Ce la farà questo Governo a superare questa prova?

Se si vuole riformare la Costituzione più bella del mondo, la cui seconda parte però è da rifare, ci vogliono almeno un paio d’anni. Ma se ci saranno dei buoni risultati immagino che non ci si vorrà disfare di un Governo che opera in modo positivo. In ogni caso si potrà tornare alle urne solo dopo avere avviato la ristrutturazione della forma di governo e con una nuova legge elettorale.

 

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Il Piccolo, 22 giugno 2013 – Più impegno sul tribunale

Il senatore Maran: «Per assorbire Palmanova ci vuole un’ampia mobilitazione»

Caro Stefano Cosolo, presidente dell’associazione Essere Cittadini Gorizia, come saprà, in commissione Giustizia del Senato è in corso un braccio di ferro del Parlamento con il Governo sulla nuova geografia giudiziaria, la cui entrata in vigore dovrebbe slittare di un anno, secondo quanto richiesto dal ddl all’esame della commissione (che ora potrebbe trasformarsi in una semplice mozione). Secondo il Ministro Cancellieri «se lavoriamo seriamente possiamo fare anche qualche cosa che consenta di pareggiare gli errori commessi, che sicuramente saranno stati commessi, nessuno è perfetto», perché «rinunciare a questa riforma non ce lo possiamo permettere». Scelta Civica condivide l’approccio del Ministro. A dispetto della vivacità delle proteste che si sono sollevate, resto dell’opinione che la revisione della geografia giudiziaria sia un intervento necessario. Dai dati risulta che la produttività dei giudici è più bassa di quella potenziale in conseguenza delle dimensioni troppo ridotte dei tribunali che impediscono la specializzazione nell’attivitàdei magistrati. Nell’intervento che ho svolto in aula giovedì scorso, nel corso del dibattito sulla richiesta d’urgenza in ordine al disegno di legge costituzionale sull’istituzione del Comitato parlamentare per le riforme costituzionali, ho richiamato la maggioranza di governo alla necessità di preservare i progressi conseguiti in relazione al ridisegno della geografia giudiziaria (e semmai, correggere gli errori commessi). Molto opportunamente, l’amministrazione giudiziaria ha perseguito l’intento di garantire che ciascun tribunale potesse acquisire una dimensione media quanto più vicina possibile al modello ideale di ufficio giudiziario individuato attraverso il ricorso a standard oggettivi, in grado di assicurare anche l’indispensabile specializzazione dei magistrati. Com’è noto, nel distretto di Corte di appello di Trieste il Governo ha soppresso solo il tribunale di Tolmezzo, che viene assorbito dal Tribunale di Udine; gli altri tribunali del distretto hanno sede nel capoluogo di provincia e dunque non potevano essere soppressi. Ma, com’è altrettanto noto, il Governo (sulla scorta delle pressioni, delle insistenze e delle sollecitazioni dei territori interessati) ha però corretto l’ipotesi originale dello schema di decreto che, allo scopo di razionalizzare la distribuzione degli uffici in questo distretto per riequilibrare i carichi (a fronte di tribunali particolarmente piccoli come Gorizia e Trieste), stabiliva che il tribunale di Udine cedesse al tribunale di Gorizia i comuni della sezione distaccata di Palmanova, in modo tale che il bacino di utenza di Udine scendesse di 36.150 unità, mentre quello di Gorizia salisse a 255.451 residenti. Ora, messe così le cose, rimane tuttora immutata la necessità di razionalizzare la distribuzione degli uffici in questo distretto proprio al fine di riequilibrare i carichi. Continuo a pensare che l’ipotesi originale dello schema di decreto fosse quella più idonea a garantire un riequilibrio e, pertanto, ho inviato una lettera al Ministro della Giustizia invitandola a riconsiderare la possibilità di associare al Tribunale di Gorizia i comuni della sede distaccata di Palmanova. In subordine, considerato che nella provincia di Gorizia e nel mandamento di Cervignano vige il sistema tavolare e l’esistenza di una precisa competenza dell’autorità giudiziaria, prevista dalla legge tavolare e ovviamente esistente nei soli territori dove vige la legge tavolare, rende addirittura ipotizzabile la previsione di un giudice specializzato e comunque opportuno assicurare la specializzazione dei magistrati, ho anche pregato il ministro di valutare l’opportunità di adottare un provvedimento normativo correttivo del decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155 che preveda l’accorpamento al circondario del tribunale di Gorizia del mandamento di Cervignano. Ho inoltre predisposto una risoluzione per la Commissione Giustizia del Senato che impegni il governo a procedere nel senso indicato. Va da sé che molto dipende dall’orientamento dei due maggiori azionisti del governo, Pdl e Pd, tanto nella dimensione nazionale che in quella regionale: non è un mistero per nessuno che i comuni del circondario di Palmanova e della Bassa Friulana sono guidati prevalentemente dal centrosinistra. Conterà, tuttavia, anche la capacità del territorio isontino (e dei suoi rappresentanti) di lasciarsi alle spalle recriminazioni per costruire consenso, intese e alleanze. Specie se si considera che, visto come stanno le cose, bisognerà conquistare l’adesione (di almeno di una parte) dei comuni interessati ed il sostegno attivo della Regione. Il che significa infondere fiducia a un mucchio di persone che hanno nascoste e assurde ragioni per tirarsi indietro; conciliare sciocche gelosie e smantellare, a forza di ragionamenti, insensate diffidenze di ogni genere. E per farlo, c’è bisogno del contributo decisivo della politica, ma è essenziale la risposta della società e delle forze produttive. sen. Alessandro Maran Scelta Civica

 

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Il Piccolo, 29 giugno 2013 – Maran spinge il modello semipresidenziale

Il senatore chiede una nuova norma: «Il cittadino scelga il governo nazionale come fa nelle Regioni»
di Roberto Urizio wTRIESTE «La scelta di affidarsi ai saggi rischia di rallentare il percorso di riforme». Ad affermarlo è stato il senatore Alessandro Maran (Scelta Civica), nel corso del dibattito “Alla ricerca del Governo perduto”, organizzato ieri dall’Associazione Poliarchi e dall’Accademia Europeista alla presenza, oltre all’esponente montiano, del coordinatore regionale del Pdl, Isidoro Gottardo, del consigliere comunale del Pd, Pietro Faraguna, e della professoressa di Diritto Pubblico comparato all’Università di Udine, Laura Montanari. Secondo Maran «la strada più semplice era quella di affidare alle Commissioni Affari Costituzionali delle due Camere una proposta proveniente direttamente dal governo. D’altro canto se c’è un accordo politico non saranno un centinaio di emendamenti a fermare il percorso, se questo accordo non c’è non saranno i saggi o una commissione ad hoc a salvarlo». La necessità delle riforme istituzionali, secondo Isidoro Gottardo, deriva principalmente dal problema dell’ingovernabilità: «È fondamentale un cambio di passo in questo senso – secondo l’ex deputato – Personalmente mi accontenterei anche di una riforma “rompichiaccio” con successivi interventi legislativi. Ma c’è il rischio di non arrivare nemmeno a quella». Faraguna appare invece meno propenso a riformare la Costituzione: «Negli atti parlamentari non ci sono risposte sul perché servono le riforme e se ci sono sono puramente autoreferenziali. La sensazione – ha affermato l’esponente democratico – è che si voglia mantenere la stabilità di questo sistema politico e, posta in questi termini, la questioni mi preoccupa». A tornare in auge negli ultimi mesi è il sistema semipresidenziale francese che proprio Maran ha inserito in un’apposita proposta di legge nella scorsa legislatura. «Negli ultimi anni – ha ricordato il senatore di Scelta Civica – è stata data la possibilità di eleggere direttamente il sindaco, il presidente della Provincia e della Regione e Letta ha proposto di farlo anche a livello europeo. Perché i cittadini non dovrebbero scegliere direttamente anche il governo nazionale?». Anche Gottardo ha affermato di essersi convinto che «non c’è alternativa al presidenzialismo, non tanto per una questione di stabilità del sistema ma per uscire dalla situazione di stallo attuale. L’Italia ha bisogno di fare sintesi per prendere decisioni al suo interno ma anche per stare in Europa». Secondo Faraguna è invece prioritario riformare la legge elettorale, su cui ricade «la responsabilità di un sistema che soffre di inerzia e trovo grave la scelta di non appoggiare la proposto di tornare transitoriamente al “Matarellum”. Cambiare la forma di Governo e di Stato in questo momento mi sembra un traguardo difficilmente raggiungibile con successo».

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Gazebos, 03 luglio 2013 (www.gazebos.it) – Comitato per le Riforme. Era meglio partire dalla proposta che dalle procedure

(Roma, 02 luglio 2013) La Commissione affari costituzionali del Senato ha cominciato la votazione degli emendamenti al disegno di legge che istituisce il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali. L’inizio dell’esame in assemblea è previsto per lunedì 8 luglio. Posto che il governo è nato dalla cooperazione eccezionale fra partiti altrimenti alternativi per compiere scelte eccezionali, avrei preferito che, subito, si fosse messo all’ordine del giorno della commissione affari costituzionali la proposta di riforma del governo seguendo le procedure dell’art. 138. Specie se si considera che i cambiamenti molte volte promessi e altrettante volte rinviati e contraddetti di cui si discute sono già stati ampiamente dibattuti e precisati anche con proposte di legge presentate in questa o nelle scorse legislature.

Non c’è niente da istruire, si tratta di scegliere. Oltretutto, se c’è accordo politico, non saranno qualche centinaia di emendamenti a metterlo in discussione. Se l’accordo politico non c’è, non sarà un comitato parlamentare speciale a crearlo. Perché, allora, esporsi alle critiche di chi immancabilmente sosterrà che si sta facendo a pezzi la Costituzione? Come ha osservato Giovanni Guzzetta, la memoria dei fatti storici e politici non è mai stata il nostro forte e ci siamo già dimenticati del pericolo appena scampato ed è già ripreso il coro dei difensori della Costituzione più bella del mondo.

Abbiamo già dimenticato “che nelle scorse settimane abbiamo sfiorato la paralisi politica, che siamo stati due mesi senza riuscire a fare un governo, che abbiamo bruciato vari candidati alla presidenza della Repubblica, per un meccanismo elettivo che premia i franchi tiratori e consente alle convulsioni interne ai partiti di scaricarsi sulle istituzioni senza che nessuno sia chiamato a rispondere”. Abbiamo dimenticato che la rielezione di Napolitano “è stata una via d’uscita disperata, non ovviamente per la persona che è stata eletta, ma perché fin dall’inizio quella era l’unica soluzione che tutti, a cominciare dall’interessato, ritenevano non percorribile”.

Non sarebbe meglio lasciar perdere gli “strumenti” e le modifiche procedurali (peraltro di dubbia efficacia) e andare al sodo? Anche perché non sarebbe male costringere i tanti conservatori dell’esistente a rispondere alla domanda cui vent’anni fa, con il referendum del ’93, i cittadini hanno risposto inequivocabilmente: sono i partiti o i cittadini a scegliere il governo, e questo risponde ai partiti o ai cittadini? Non è forse questa la domanda (alla base del referendum del ’93) alla quale hanno cercato di rispondere, in modo imperfetto e anche discutibile, il Mattarellum ed il Porcellum, le due leggi elettorali che ci siamo dati dopo la “grande slavina”?

Non dovevamo passare definitivamente da una concezione e da una pratica politica fondate su una dichiarazione e una scelta di appartenenza a quelle fondate sulla responsabilità della scelta per il governo del paese? Specie se si considera che il nostro paese deve fare i conti non solo con il malessere che, dovunque in Occidente, circonda l’attività politica, ma anche con una dirompente sfiducia nello stato. Una costante nella storia d’Italia che la mancata modernizzazione del paese ha aggravato al punto che oggi è in discussione la stessa unità nazionale.

Il punto (di nuovo, la questione etico-politica) è che oggi solo la leadership può essere una risposta alla crisi di legittimazione. E non sarebbe male tenere a mente che, ora che dopo vent’anni di progetti e di discorsi inconcludenti la credibilità del federalismo è sfumata, quella di nuove regole e di nuove istituzioni è una strada (imposta da emergenze e fratture) che abbiamo scelto proprio per sanare il contrasto tra società e Stato, fra società e politica. Un contrasto che non è risolto per il fatto che ora i giornali non descrivono più il Veneto come se fosse l’Ulster. Insomma, è di questo che bisognerà discutere.

È il caso di sottolineare che il Comitato ha funzione referente esclusiva. Il che si traduce nella assegnazione al solo Comitato di tutti i disegni di legge (costituzionali o ordinari) presentati dall’avvio della legislatura. Il testo reca, a proposito dei disegni di legge riservati all’esame referente esclusivo del Comitato, la dicitura “coerenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali” (art. 2, comma 1), che pare voler circoscrivere, rispetto alla generale materia elettorale, un più ristretto novero di iniziative legislative. Il termine coerenti sembra voler indicare la correlazione di una riforma della legge elettorale con la riforma costituzionale che si va ad approntare.

Ma è il caso di rimarcare (e di chiarire) che laddove questa correlazione non si ponga, la funzione referente permane alle Commissioni Affari costituzionali. Nelle more della revisione costituzionale (i cui tempi, proprio ai sensi del presente disegno di legge costituzionale, sono necessariamente lunghi) bisogna consentire di poter intervenire con legge ordinaria in materia di assetto delle province e dei comuni nonché di modificare transitoriamente la legge elettorale vigente per le camere. In fondo, una della ragioni della crisi sta proprio nell’incapacità dei politici di assumersi le proprie responsabilità.

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