GIORNALI2013

Gazebos, 03 luglio 2013 (www.gazebos.it) – Comitato per le Riforme. Era meglio partire dalla proposta che dalle procedure

(Roma, 02 luglio 2013) La Commissione affari costituzionali del Senato ha cominciato la votazione degli emendamenti al disegno di legge che istituisce il Comitato parlamentare per le riforme costituzionali. L’inizio dell’esame in assemblea è previsto per lunedì 8 luglio. Posto che il governo è nato dalla cooperazione eccezionale fra partiti altrimenti alternativi per compiere scelte eccezionali, avrei preferito che, subito, si fosse messo all’ordine del giorno della commissione affari costituzionali la proposta di riforma del governo seguendo le procedure dell’art. 138. Specie se si considera che i cambiamenti molte volte promessi e altrettante volte rinviati e contraddetti di cui si discute sono già stati ampiamente dibattuti e precisati anche con proposte di legge presentate in questa o nelle scorse legislature.

Non c’è niente da istruire, si tratta di scegliere. Oltretutto, se c’è accordo politico, non saranno qualche centinaia di emendamenti a metterlo in discussione. Se l’accordo politico non c’è, non sarà un comitato parlamentare speciale a crearlo. Perché, allora, esporsi alle critiche di chi immancabilmente sosterrà che si sta facendo a pezzi la Costituzione? Come ha osservato Giovanni Guzzetta, la memoria dei fatti storici e politici non è mai stata il nostro forte e ci siamo già dimenticati del pericolo appena scampato ed è già ripreso il coro dei difensori della Costituzione più bella del mondo.

Abbiamo già dimenticato “che nelle scorse settimane abbiamo sfiorato la paralisi politica, che siamo stati due mesi senza riuscire a fare un governo, che abbiamo bruciato vari candidati alla presidenza della Repubblica, per un meccanismo elettivo che premia i franchi tiratori e consente alle convulsioni interne ai partiti di scaricarsi sulle istituzioni senza che nessuno sia chiamato a rispondere”. Abbiamo dimenticato che la rielezione di Napolitano “è stata una via d’uscita disperata, non ovviamente per la persona che è stata eletta, ma perché fin dall’inizio quella era l’unica soluzione che tutti, a cominciare dall’interessato, ritenevano non percorribile”.

Non sarebbe meglio lasciar perdere gli “strumenti” e le modifiche procedurali (peraltro di dubbia efficacia) e andare al sodo? Anche perché non sarebbe male costringere i tanti conservatori dell’esistente a rispondere alla domanda cui vent’anni fa, con il referendum del ’93, i cittadini hanno risposto inequivocabilmente: sono i partiti o i cittadini a scegliere il governo, e questo risponde ai partiti o ai cittadini? Non è forse questa la domanda (alla base del referendum del ’93) alla quale hanno cercato di rispondere, in modo imperfetto e anche discutibile, il Mattarellum ed il Porcellum, le due leggi elettorali che ci siamo dati dopo la “grande slavina”?

Non dovevamo passare definitivamente da una concezione e da una pratica politica fondate su una dichiarazione e una scelta di appartenenza a quelle fondate sulla responsabilità della scelta per il governo del paese? Specie se si considera che il nostro paese deve fare i conti non solo con il malessere che, dovunque in Occidente, circonda l’attività politica, ma anche con una dirompente sfiducia nello stato. Una costante nella storia d’Italia che la mancata modernizzazione del paese ha aggravato al punto che oggi è in discussione la stessa unità nazionale.

Il punto (di nuovo, la questione etico-politica) è che oggi solo la leadership può essere una risposta alla crisi di legittimazione. E non sarebbe male tenere a mente che, ora che dopo vent’anni di progetti e di discorsi inconcludenti la credibilità del federalismo è sfumata, quella di nuove regole e di nuove istituzioni è una strada (imposta da emergenze e fratture) che abbiamo scelto proprio per sanare il contrasto tra società e Stato, fra società e politica. Un contrasto che non è risolto per il fatto che ora i giornali non descrivono più il Veneto come se fosse l’Ulster. Insomma, è di questo che bisognerà discutere.

È il caso di sottolineare che il Comitato ha funzione referente esclusiva. Il che si traduce nella assegnazione al solo Comitato di tutti i disegni di legge (costituzionali o ordinari) presentati dall’avvio della legislatura. Il testo reca, a proposito dei disegni di legge riservati all’esame referente esclusivo del Comitato, la dicitura “coerenti progetti di legge ordinaria di riforma dei sistemi elettorali” (art. 2, comma 1), che pare voler circoscrivere, rispetto alla generale materia elettorale, un più ristretto novero di iniziative legislative. Il termine coerenti sembra voler indicare la correlazione di una riforma della legge elettorale con la riforma costituzionale che si va ad approntare.

Ma è il caso di rimarcare (e di chiarire) che laddove questa correlazione non si ponga, la funzione referente permane alle Commissioni Affari costituzionali. Nelle more della revisione costituzionale (i cui tempi, proprio ai sensi del presente disegno di legge costituzionale, sono necessariamente lunghi) bisogna consentire di poter intervenire con legge ordinaria in materia di assetto delle province e dei comuni nonché di modificare transitoriamente la legge elettorale vigente per le camere. In fondo, una della ragioni della crisi sta proprio nell’incapacità dei politici di assumersi le proprie responsabilità.

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