«Arrassusia» è una locuzione napoletana ancora oggi molto in voga. Viene usata, mi ha spiegato un amico napoletano, quando si vuole allontanare da noi un pericolo, una maledizione o qualcosa di funesto: «che resti sempre lontano», «che non accada mai». Mi è tornata in mente a meno di cento giorni dalle presidenziali americane del prossimo 3 novembre, considerato che la riconferma o meno di Trump sarà, come ha scritto giustamente Christian Rocca, «il momento decisivo della nostra epoca»: sapremo, cioè, se l’esperimento nazionalista sovranista populista continuerà a imperversare di qua e di là dell’Atlantico oppure se finalmente saranno scattate le contromisure per ristabilire la normalità democratica e contrastare lo sgretolarsi della società aperta. Oggi, certo, Trump sembra nei guai: tutti i sondaggi danno Joe Biden in vantaggio negli Stati chiave e l’ultima volta che, nel 1996, tra i due candidati in lizza c’era stata, a questo punto della gara, una distanza simile nei sondaggi, alla fine Bill Clinton aveva annientato Bob Dole. Ma sarà meglio tenere le dita incrociate: Trump è Trump, cioè un’eccezione alla regola, e in tre mesi molte cose possono cambiare.