Monthly Archives: Set 2015

GIORNALI2003

Messaggero Veneto, 16 luglio 2003 – Le sofferenze delle imprese

Il malessere dell’economia regionale. Gli alti tassi di interesse praticati alle imprese locali.

LE SOFFERENZE DELLE IMPRESE

Il governatore e il neoinsediato consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia partono con tante aspettative e tanti problemi irrisolti, alcuni dei quali, come la gestione del credito alle attività produttive, a lungo trascurati dall’agenda politica degli ultimi anni.
Va da sé che si tratta di un tema cruciale per il futuro dell’economia regionale (e, di riflesso, per le casse regionali, che si alimentano anche delle compartecipazioni alle imposte), che andrà attentamente studiato e tenuto sotto osservazione.
Anche perché le notizie che, per esempio, riguardano l’andamento dei tassi di interesse praticati sul breve termine a fine 2002 ci dicono che la piazza triestina equivale per costi a quella di Cagliari, con una discesa di ben 36 posizioni rispetto alla graduatoria nazionale dell’anno precedente.
A Gorizia e Pordenone il ruzzolone è stato meno rovinoso, ciononostante i nostri due capoluoghi di provincia si trovano in compagnia di piazze come Bari, Matera e Sassari, vale a dire aree nelle quali sino a un decennio fa operava la Cassa del Mezzogiorno e che oggi non possiamo propriamente definire floride. Ma che cosa sta succedendo?
Le difficoltà economiche regionali hanno cominciato a stringere da molti mesi settori come la meccanica e il legno e ormai si stanno trasmettendo al comparto alimentare, al tessile e ai mezzi di trasporto. Molti imprenditori hanno magazzini strapieni e prospettive incerte, altri non riescono a onorare le scadenze di pagamento; le sofferenze bancarie tendono a crescere e con esse l’allerta dei banchieri, che per uscirne ricorrono il più delle volte alla vecchia terapia di farsi restituire l’ombrello proprio nel momento in cui piove a dirotto.
E quindi: rientro dai fidi o loro drastico ridimensionamento, molte più garanzie reali a chi chiede prestiti e rialzo generalizzato dei tassi a breve (a Gorizia sono saliti a fine 2002 al 7,4%).
Inoltre, pare di capire che il riassetto e la privatizzazione degli istituti bancari dell’ultimo decennio, molti dei quali sotto stress per l’andamento della propria quotazione azionaria, abbiano stimolato oltre il ragionevole una sorta di azione preventiva che finisce per colpire nel mucchio sia chi non dà prospettive di solvibilità sia chi solvibile lo è, ma ha la sfortuna di operare in un’area geografica ritenuta non più tranquilla.
Ma anche se così fosse (una tranquillità minacciata o perduta), resta pur sempre da spiegare sulla base di quali valutazioni questa parte del Nord-Est si accompagni in termini di caro-denaro a piazze come Matera e Sassari. A meno che, beninteso, i rincari del 2002 non si spieghino invece con una logica di mera compensazione e cioè si cerchi di prelevare di più a chi può permetterselo in modo da tenere in piedi la media nazionale dei proventi.
Resta il fatto che le cose sono messe un po’ male e che potrebbero perfino peggiorare. Gli accordi europei in materia (Basilea 2) pongono per esempio più di un dubbio sull’operatività dei Congafi, sul loro prezioso ruolo di garanti dei prestiti forniti agli associati, ruolo che domani potrebbe doversi evolvere in quello di vera e propria banca con prospettive per niente chiare nei loro sbocchi.
C’è quindi più di una preoccupazione con cui dover fare i conti e il tema dovrebbe forse far capolino tra le priorità della giunta regionale, soprattutto se si considera la lieta spensieratezza di chi finora ha assistito inerte a questo declino, indulgendo magari in suggestioni come il ruolo di cerniera della regione o le nuove competenze in politica estera, cose ottime e giuste, ma che rischiano di rivelarsi un miraggio se i nostri imprenditori faticano come e più di quelli di Sassari e Matera per cavarsela senza che nessuno (o quasi) presti loro soccorso.
Deputato Ds – l’Ulivo

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GIORNALI2003

Messaggero Veneto, 2 agosto 2003 – Svolta nei Comuni

La tecnologia informatica crea più democrazia ed efficienza nei servizi comunali riducendone i costi.

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GIORNALI2003

Le Nuove Ragioni del Socialismo, Settembre 2003 – Con Riccardo Illy l’Ulivo vince in Friuli

Le ragioni che spiegano perché il triestino Illy si afferma anche in Friuli.

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GIORNALI2003

Messaggero Veneto, 24 settembre 2003 – Divisi e indifesi

I ritardi nell’aggregazione delle aziende locali distributrici di acqua, gas ed energia.

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GIORNALI2003

Messaggero Veneto, 31 ottobre 2003 – Democrazia linguistica

La tutela delle minoranze linguistiche. Una legge che rappresenta un aggancio alla miglior cultura europea in fatto di convivenza civile e pluralismo.

DEMOCRAZIA LINGUISTICA

La legge 15 dicembre 1999 n. 482, che contiene norme in materia di minoranze linguistiche storiche, è stata approvata in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione nel corso della passata legislatura, ad oltre 50 anni dall’entrata in vigore della carta e a conclusione di un lungo iter parlamentare avviato fin dall’VIII legislatura. La pressione dall’alto, dovuta alla presenza di documenti e obblighi internazionali sempre più precisi per la tutela dei gruppi minoritari, come, appunto, la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, è stata determinante.
Determinante per superare un atteggiamento di indifferenza che mal si accorda con un ordinamento democratico e pluralista. La legge n. 482 del 1999 si pone quindi espressamente «in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali». Infatti, per gli Stati membri del consiglio d’Europa, la tutela e la promozione delle lingue regionali minoritarie nei diversi paesi e regioni rappresentano un contributo importante per la stessa edificazione di un’Europa fondata sui princìpi della democrazia e della diversità culturale, nel quadro della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale.
Messe così le cose, la sottoscrizione e la ratifica da parte del governo della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 1992 non sono ulteriormente rinviabili, specie se si considera che la legge n. 482 del 1999 individua già le minoranze linguistiche destinatarie della tutela (nelle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e in quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo) e che tale elenco resta il punto di riferimento per applicare le misure della Carta.
Nella normativa internazionale e anche nella legislazione europea ha prevalso la scelta per un utilizzo delle lingue minoritarie accanto a quella ufficiale, in uno spirito di tolleranza e comprensione e nel rispetto delle differenze. E a questo modello (e non al modello di apartheid linguistico e di contrapposizione tra i diversi gruppi linguistici che, per esempio, si ritrova in Belgio) si ispira la stessa legislazione italiana.
La distinzione tra bilinguismo e separatismo riflette un diverso atteggiamento culturale verso il problema delle minoranze linguistiche: da un lato si persegue un obiettivo di tolleranza e di pluralismo culturale, dall’altro quello della rigida differenziazione. Ma la forza e l’efficacia del bilinguismo risiedono proprio nella crescente espansione della legislazione di tutela delle minoranze linguistiche che si diffonde un po’ dappertutto per effetto appunto della normativa internazionale e della comparazione. E se la legislazione di tutela delle minoranze linguistiche si diffonde ovunque, allora non c’è bisogno di alzare muri di incomunicabilità a protezione dei gruppi minoritari, perché l’affermazione di una cultura dei diritti delle minoranze non deriva da contrapposizioni laceranti, ma al contrario da un clima di pluralismo e di tolleranza.
Il bilinguismo ha sofferto per lungo tempo di una cattiva reputazione. Nel dibattito parlamentare che ha portato all’approvazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, la proposta è stata oggetto di una critica serrata che veniva dai banchi del centro-destra e che, anche nei giorni scorsi, è tornata a sottolineare i presunti svantaggi del bilinguismo tanto per le società quanto per gli individui. Ma il bilinguismo non è qualcosa di misterioso, di anormale o di poco patriottico. È stato ed è una pura e semplice necessità per la maggior parte dell’umanità. Lo sviluppo della globalizzazione su una scala senza precedenti non modifica il fatto che la maggior parte delle persone di tutto il mondo viva tuttora la propria vita in contesti locali e avverta l’esigenza di sviluppare e di esprimere la propria identità locale da trasmettere ai figli. Va da sé tuttavia, che, come sottolinea Jürgen Habermas, la tutela delle tradizioni e delle forme di vita costitutive dell’identità «deve servire unicamente al riconoscimento dei loro membri in quanto individui». Essa non può avere il senso di una tutela biologica della specie compiuta per via amministrativa. Il punto di vista ecologico della conservazione della specie non può essere trasferito alla cultura. Infatti, le tradizioni culturali si riproducono normalmente per il fatto di convincere i membri di quelle comunità, motivandoli ad assimilare e a sviluppare quelle tradizioni in modo produttivo e creativo. Uno Stato di diritto può soltanto rendere possibile questa scelta. Invece, una sopravvivenza garantita dovrebbe necessariamente sottrarre ai partecipanti e ai membri di quelle comunità proprio la libertà di dire sì e di dire no, che è preliminare all’acquisizione di una data eredità culturale. Insomma, «possono mantenersi in vita solo le tradizioni che, pur legando a sé i propri membri, non si sottraggano al loro esame critico e tengano sempre aperta ai discendenti l’opzione o di apprendere da tradizioni diverse o anche di convertirsi e di mettersi in marcia verso nuovi lidi». Si tratta, in altre parole, di rendere possibile la democrazia tra gli ethnos e la democrazia nell’ethnos.
Deputato Ds-L’Ulivo

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GIORNALI2003

Messaggero Veneto, 18 novembre 2003 – L’Ulivo oltre l’Ulivo

Aggregare i riformisti del centro-sinistra per dare stabilità ed affidabilità alla coalizione.

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IN PRIMO PIANO

UNA CRISI SULLA RIFORMA DEL SENATO? CHISSÀ?

«Può darsi – ha scritto Salvatore Merlo sul Foglio – che la questione del Senato eleggibile o non eleggibile sia, per i futuri destini della patria, altrettanto importante di quanto non fu, poniamo, la spedizione dei Mille o la guerra di Crimea, come sembra comunicare la disputa sino all’ultimo respiro tra maggioranza e minoranza del Pd. O può darsi, piuttosto, che tutto in realtà si riduca a uno scontro di caratteri e di potere tra Bersani e Renzi, tra Renzi e D’Alema, tra Speranza e Orlando, tra candidati più o meno ufficiali alla carica di segretario, in un rimando di specchi che allude al conflitto totale, allo sterminio, ma che è solo un gioco tattico, di minacce ponderate, di equilibri e di schermaglie, insomma quasi un congresso»(La sinistra del Pd si porta avanti col lavoro e prepara già il congresso).

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GIORNALI2010

Il Piccolo, 4 gennaio 2010 – «Vanno migliorati i collegamenti ferroviari»

Intervista al parlamentare del Pd sui temi più attuali del 2010

Maran: le infrastrutture sono essenziali per garantire la centralità dell’Isontino
di FRANCO FEMIA
«La centralità geografica in un contesto europeo non basta per ritenere che un territorio, come può essere l’Isontino o anche la regione, goda di privilegi. Servono servizi di qualità e infrastrutture». Parla a l’onorevole Alessandro Maran, il parlamentare del Pd che rappresenta la nostra provincia a Montecitorio. Parla da una gelida Mosca dove sta trascorrendo gli ultimi giorni di vacanza con la famiglia.
Cosa intende per centralità?
La possibilità innanzitutto di essere collegati meglio con il resto d’Italia e dell’Europa. Servono strade, collegamenti ferroviari…
Intanto si sono avviati i lavori per trasformare il raccordo in autostrada.
Sì, è vero. Speriamo che si faccia presto, anche per quanto riguarda la terza corsia della A4. Ma non basta. Quello che serve è migliorare i collegamenti ferroviari. Arrivare a Gorizia da Mestre è spesso un’avventura.
Lei parla di servizi di qualità. Quali?
L’Isontino ha delle peculiarità che vanno sfruttate meglio. Per esempio sappiamo costruire ottime navi e abbiamo i migliori vini bianchi del mondo: sfruttiamo questi beni, questo nostro valore aggiunto. Anche questo significa dare centralità al territorio.
Ma sul piano dei servizi Gorizia e Monfalcone stanno perdendo pezzi. Basta vedere il ridimensionamento della sanità ospedaliera previsto dal piano regionale.
È un settore depauperato da anni. Diciamolo chiaramente: chi ha bisogno di curarsi da anni sceglie altri ospedali, a Udine o a Trieste. Più che sui muri, bisogna pensare a servizi di qualità con figure professionali valide. Se si può fare da soli è meglio, altrimenti ben vengano le collaborazioni con altre realtà regionali.
Gorizia per il suo rilancio punta sull’università. È d’accordo?
Certo, ma anche in questo settore bisogna puntare sulla qualità e non solo puntare sugli spazi e sui locali.
È quello che ha detto anche il sindaco Romoli.
Infatti, è importante attrarre studenti. E lo si fa con ricerca, studi e corsi appropriati. Siamo alla vigilia della riforma universitaria e, vista anche la situazione di ristrettezze economiche, il rischio è che si taglino i rami secchi, quelli improduttivi. E dobbiamo fare in modo che a Gorizia non ci siano questi rami secchi.
Ritiene che siano migliorati i rapporti con Nova Gorica?
Dai e dai qualcosa di nuovo emerge. Dobbiamo confrontarci con realtà che demograficamente sono piccole e che hanno le nostre stesse problematiche. Sarebbe, quindi, utile mettere insieme risorse e capacità di operare per dare vita a validi progetti concreti utili alle due realtà. Ma capisco che ci vuole tempo.
Nel Veneto è possibile che il prossimo governatore sia il leghista Zaia. Ci saranno contraccolpi nel Friuli Venezia Giulia?
La nostra regione ha più risorse che gli vengono dalla sua autonomia, quindi una capacità di manovra che le regioni ordinarie non hanno. Certo, il Veneto ha una dimensione industriale più forte della nostra e ciò vuol dire anche un’economia forte.
Ma è possibile una cooperazione?
Sì, se c’è interesse anche dall’altra parte. Uno dei settori dove si potrebbe stabilire delle alleanze è quello aeroportuale, anche per rilanciare il nostro scalo di Ronchi stabilendo degli accordi con quello di Venezia.
Torniamo a casa nostra. Monfalcone è alla vigilia delle elezioni comunali. E c’è la possibilità che dopo tanti anni vinca il centrodestra. Condivide questa ipotesi?
Da quando ci sono le elezioni dirette del sindaco sono aumentate le possibilità dell’alternanza. E questo vale anche per Monfalcone. Le esperienze di dicono che anche a Monfalcone può cambiare tutto. Ma questo deve essere uno stimolo in più per il centrosinistra, che ha un patrimonio solido ma che deve mettere in campo, prima che uomini, idee e progetti nuovi.

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GIORNALI2009

Il nuovo Riformista 14 febbraio 2009 – La verità del Novecento è che l’Occidente non voleva sapere

CONCUBINATO CON LE DITTATURE. «Gli Stati liberali hanno dimenticato il prezzo morale che pagarono per ottenere la coesistenza pacifica… la distensione. È una convinzione che pesa tuttora sulla vita interna dei paesi dell’Unione europea». (Peter Nadas)

 

Caro direttore – Luciano Violante ha ragione: è tempo di far entrare, nella storia italiana, la storia e il dolore degli altri. Anche perché le vittime delle foibe non sono esclusivamente vittime dei comunisti, vale a dire le vittime di un conflitto tra comunismo e anticomunismo, tra fascismo e antifascismo. Le vicende travagliate dei territori al confine orientale d’Italia appartengono interamente alla lunga storia dei nazionalismi europei, di Stati che si pensavano come nazionali ma lo erano solo in parte; e da tempo gli studiosi hanno tematizzato l’esodo non come una vicenda di storia locale, bensì come uno dei processi più caratteristici e devastanti della contemporaneità nell’area centroeuropea. La grande ondata di trasferimenti forzati di popolazioni interessò nei due dopoguerra buona parte dell’Europa centro-orientale e balcanica, dallo scambio di popolazione fra la Grecia e la Turchia nel 1923 all’espulsione dei tedeschi dai territori al di là della linea di confine dell’Oder-Neisse nel 1945.

Il ricordo di quelle vicende non ha perciò a che fare solo con la memoria ma anche con il discorso ufficiale sulla nazione, perché la causa delle tragedie di quelle terre sta proprio nelle idee di nazione coltivate da nazionalismi etnici aggressivi. E quella vicenda pone interrogativi (sul rapporto da instaurare in territori plurali tra cittadinanza e appartenenza nazionale e culturale; sulla forza integratrice delle nostre istituzioni statali e politiche, ecc.) che riguardano ancora oggi tutti gli italiani e sono oggi attuali anche per i nostri partner europei. Anche le istituzioni, e non soltanto l’appartenenza culturale, la lingua, gli usi e i costumi radicati nella lunghissima storia culturale del nostro paese, possono produrre identità collettiva nella forma di comune cittadinanza. Ma, come sappiamo, nell’idea di nazione degli italiani è debole proprio questa comprensione.

Ma c’è dell’altro. Quelle vicende rimandano anche alla guerra fredda contro il totalitarismo, alla sua legittimità, alla sua necessità; alle battaglie combattute dalle democrazie con i metodi della dissuasione nucleare, dell’esclusione dei partiti comunisti dal potere, della contrapposizione intellettuale e al significato della liberazione del 1989. E chi è stato comunista in Italia ha il dovere di porre a confronto i propri ricordi con quelli di chi ha conosciuto e combattuto il totalitarismo dell’Est, e per questo oggi è interessato al formarsi di una società fatta di persone capaci di riapprendere la libertà e con essa la responsabilità. Uno scrittore ungherese, Peter Nadas, in un articolo pubblicato nel 1999, ha scritto: «La verità è che non volete conoscere queste esperienze: non volete conoscerci, non volete vederci! La verità è che gli Stati liberali hanno dimenticato il prezzo morale che pagarono per ottenere la coesistenza pacifica. Non solo erano partiti dall’idea che l’unica strada possibile fosse la distensione, ma in più credevano che quest’ultima rappresentasse anche l’unica soluzione morale. È una convinzione che pesa tuttora sulla vita interna dei paesi dell’Unione europea. Il selvaggio matrimonio con le dittature seminò confusione nel loro senso morale, e semina confusione ancora oggi. Avevano vissuto in concubinato con un sistema la cui realtà non vollero apprendere allora, e non intendono apprendere oggi». «Quasi non si erano accorti – concludeva Nadas -, presi come erano dalla pur legittima paura di una III guerra mondiale, che dietro la cortina di ferro esisteva gente che aveva dovuto far proprie non sono le ragioni della coesistenza, ma anche quel che discendeva da tali ragioni: l’accettazione della necessità fatale della dittatura e del suo permanere». E’ tempo di fare nostre anche queste memorie. Per non rimuovere dalla coscienza i totalitarismi e le colpe, gli errori, i fraintendimenti che ci sono stati. E poi perché non ci sono solo gli orrori, c’è lungo il nostro confine orientale anche una fiorente, secolare civiltà, frutto della pacifica convivenza di popoli, fedi e culture diverse, che la violenza della Storia ha quasi cancellato e divelto e che ora che tutti gli stati che si affacciano sull’Adriatico sono entrati o entreranno a far parte dell’Unione europea superando antichi contrasti e reciproche avversioni, bisogna far ricordare, far conoscere e riproporre nel mutato contesto internazionale.

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GIORNALI2008

Il Piccolo, 18 marzo 2008 – Un nuovo patto per il Nord

«Fuggire da Roma» non serve a nulla. Serve invece che abbiano successo le tre modernizzazioni (economica, sociale e della politica) che il PD ha indicato nel suo programma. E’questa la vera partita del Nord-est.

ilpiccolo18032008.pdf

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