CONCUBINATO CON LE DITTATURE. «Gli Stati liberali hanno dimenticato il prezzo morale che pagarono per ottenere la coesistenza pacifica… la distensione. È una convinzione che pesa tuttora sulla vita interna dei paesi dell’Unione europea». (Peter Nadas)
Caro direttore – Luciano Violante ha ragione: è tempo di far entrare, nella storia italiana, la storia e il dolore degli altri. Anche perché le vittime delle foibe non sono esclusivamente vittime dei comunisti, vale a dire le vittime di un conflitto tra comunismo e anticomunismo, tra fascismo e antifascismo. Le vicende travagliate dei territori al confine orientale d’Italia appartengono interamente alla lunga storia dei nazionalismi europei, di Stati che si pensavano come nazionali ma lo erano solo in parte; e da tempo gli studiosi hanno tematizzato l’esodo non come una vicenda di storia locale, bensì come uno dei processi più caratteristici e devastanti della contemporaneità nell’area centroeuropea. La grande ondata di trasferimenti forzati di popolazioni interessò nei due dopoguerra buona parte dell’Europa centro-orientale e balcanica, dallo scambio di popolazione fra la Grecia e la Turchia nel 1923 all’espulsione dei tedeschi dai territori al di là della linea di confine dell’Oder-Neisse nel 1945.
Il ricordo di quelle vicende non ha perciò a che fare solo con la memoria ma anche con il discorso ufficiale sulla nazione, perché la causa delle tragedie di quelle terre sta proprio nelle idee di nazione coltivate da nazionalismi etnici aggressivi. E quella vicenda pone interrogativi (sul rapporto da instaurare in territori plurali tra cittadinanza e appartenenza nazionale e culturale; sulla forza integratrice delle nostre istituzioni statali e politiche, ecc.) che riguardano ancora oggi tutti gli italiani e sono oggi attuali anche per i nostri partner europei. Anche le istituzioni, e non soltanto l’appartenenza culturale, la lingua, gli usi e i costumi radicati nella lunghissima storia culturale del nostro paese, possono produrre identità collettiva nella forma di comune cittadinanza. Ma, come sappiamo, nell’idea di nazione degli italiani è debole proprio questa comprensione.
Ma c’è dell’altro. Quelle vicende rimandano anche alla guerra fredda contro il totalitarismo, alla sua legittimità, alla sua necessità; alle battaglie combattute dalle democrazie con i metodi della dissuasione nucleare, dell’esclusione dei partiti comunisti dal potere, della contrapposizione intellettuale e al significato della liberazione del 1989. E chi è stato comunista in Italia ha il dovere di porre a confronto i propri ricordi con quelli di chi ha conosciuto e combattuto il totalitarismo dell’Est, e per questo oggi è interessato al formarsi di una società fatta di persone capaci di riapprendere la libertà e con essa la responsabilità. Uno scrittore ungherese, Peter Nadas, in un articolo pubblicato nel 1999, ha scritto: «La verità è che non volete conoscere queste esperienze: non volete conoscerci, non volete vederci! La verità è che gli Stati liberali hanno dimenticato il prezzo morale che pagarono per ottenere la coesistenza pacifica. Non solo erano partiti dall’idea che l’unica strada possibile fosse la distensione, ma in più credevano che quest’ultima rappresentasse anche l’unica soluzione morale. È una convinzione che pesa tuttora sulla vita interna dei paesi dell’Unione europea. Il selvaggio matrimonio con le dittature seminò confusione nel loro senso morale, e semina confusione ancora oggi. Avevano vissuto in concubinato con un sistema la cui realtà non vollero apprendere allora, e non intendono apprendere oggi». «Quasi non si erano accorti – concludeva Nadas -, presi come erano dalla pur legittima paura di una III guerra mondiale, che dietro la cortina di ferro esisteva gente che aveva dovuto far proprie non sono le ragioni della coesistenza, ma anche quel che discendeva da tali ragioni: l’accettazione della necessità fatale della dittatura e del suo permanere». E’ tempo di fare nostre anche queste memorie. Per non rimuovere dalla coscienza i totalitarismi e le colpe, gli errori, i fraintendimenti che ci sono stati. E poi perché non ci sono solo gli orrori, c’è lungo il nostro confine orientale anche una fiorente, secolare civiltà, frutto della pacifica convivenza di popoli, fedi e culture diverse, che la violenza della Storia ha quasi cancellato e divelto e che ora che tutti gli stati che si affacciano sull’Adriatico sono entrati o entreranno a far parte dell’Unione europea superando antichi contrasti e reciproche avversioni, bisogna far ricordare, far conoscere e riproporre nel mutato contesto internazionale.