Category : GIORNALI2003

GIORNALI2003

Messaggero Veneto, 17 febbraio 2003 – L’occasione europea

L’ingresso della Slovenia in Europa e la cooperazione transfrontaliera.

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Lo Status di “Partner dell’Europa” per Gorizia Notizie Novice, N. 3 – Marzo 2003

C’è una nuova e concreta opportunità per Gorizia dopo l’allargamento dell’Unione Europea alla Slovenia.

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Messaggero Veneto, 4 marzo 2003 – Sparita l’efficienza?

Il deludente bilancio regionale per modernizzare la burocrazia utilizzando l’informatica.

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Il Gazzettino, 01 giugno 2003 – Istria e Dalmazia, la svolta dei Ds nei confronti degli esuli

Il deputato goriziano Alessandro Maran ha ottenuto l’avvallo di Fassino: ” Era ora che la Sinistra si riappropriasse di una verità per tanto tempo rimossa”.

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Il Piccolo, 15 giugno 2003 – Medaglia d’oro al valor militare per i democratici Sverzutti e Olivi

con Stelio Spadaro Il riconoscimento dell’impegno civile e politico di due antifascisti goriziani.

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Messaggero Veneto, 16 luglio 2003 – Le sofferenze delle imprese

Il malessere dell’economia regionale. Gli alti tassi di interesse praticati alle imprese locali.

LE SOFFERENZE DELLE IMPRESE

Il governatore e il neoinsediato consiglio regionale del Friuli-Venezia Giulia partono con tante aspettative e tanti problemi irrisolti, alcuni dei quali, come la gestione del credito alle attività produttive, a lungo trascurati dall’agenda politica degli ultimi anni.
Va da sé che si tratta di un tema cruciale per il futuro dell’economia regionale (e, di riflesso, per le casse regionali, che si alimentano anche delle compartecipazioni alle imposte), che andrà attentamente studiato e tenuto sotto osservazione.
Anche perché le notizie che, per esempio, riguardano l’andamento dei tassi di interesse praticati sul breve termine a fine 2002 ci dicono che la piazza triestina equivale per costi a quella di Cagliari, con una discesa di ben 36 posizioni rispetto alla graduatoria nazionale dell’anno precedente.
A Gorizia e Pordenone il ruzzolone è stato meno rovinoso, ciononostante i nostri due capoluoghi di provincia si trovano in compagnia di piazze come Bari, Matera e Sassari, vale a dire aree nelle quali sino a un decennio fa operava la Cassa del Mezzogiorno e che oggi non possiamo propriamente definire floride. Ma che cosa sta succedendo?
Le difficoltà economiche regionali hanno cominciato a stringere da molti mesi settori come la meccanica e il legno e ormai si stanno trasmettendo al comparto alimentare, al tessile e ai mezzi di trasporto. Molti imprenditori hanno magazzini strapieni e prospettive incerte, altri non riescono a onorare le scadenze di pagamento; le sofferenze bancarie tendono a crescere e con esse l’allerta dei banchieri, che per uscirne ricorrono il più delle volte alla vecchia terapia di farsi restituire l’ombrello proprio nel momento in cui piove a dirotto.
E quindi: rientro dai fidi o loro drastico ridimensionamento, molte più garanzie reali a chi chiede prestiti e rialzo generalizzato dei tassi a breve (a Gorizia sono saliti a fine 2002 al 7,4%).
Inoltre, pare di capire che il riassetto e la privatizzazione degli istituti bancari dell’ultimo decennio, molti dei quali sotto stress per l’andamento della propria quotazione azionaria, abbiano stimolato oltre il ragionevole una sorta di azione preventiva che finisce per colpire nel mucchio sia chi non dà prospettive di solvibilità sia chi solvibile lo è, ma ha la sfortuna di operare in un’area geografica ritenuta non più tranquilla.
Ma anche se così fosse (una tranquillità minacciata o perduta), resta pur sempre da spiegare sulla base di quali valutazioni questa parte del Nord-Est si accompagni in termini di caro-denaro a piazze come Matera e Sassari. A meno che, beninteso, i rincari del 2002 non si spieghino invece con una logica di mera compensazione e cioè si cerchi di prelevare di più a chi può permetterselo in modo da tenere in piedi la media nazionale dei proventi.
Resta il fatto che le cose sono messe un po’ male e che potrebbero perfino peggiorare. Gli accordi europei in materia (Basilea 2) pongono per esempio più di un dubbio sull’operatività dei Congafi, sul loro prezioso ruolo di garanti dei prestiti forniti agli associati, ruolo che domani potrebbe doversi evolvere in quello di vera e propria banca con prospettive per niente chiare nei loro sbocchi.
C’è quindi più di una preoccupazione con cui dover fare i conti e il tema dovrebbe forse far capolino tra le priorità della giunta regionale, soprattutto se si considera la lieta spensieratezza di chi finora ha assistito inerte a questo declino, indulgendo magari in suggestioni come il ruolo di cerniera della regione o le nuove competenze in politica estera, cose ottime e giuste, ma che rischiano di rivelarsi un miraggio se i nostri imprenditori faticano come e più di quelli di Sassari e Matera per cavarsela senza che nessuno (o quasi) presti loro soccorso.
Deputato Ds – l’Ulivo

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Messaggero Veneto, 2 agosto 2003 – Svolta nei Comuni

La tecnologia informatica crea più democrazia ed efficienza nei servizi comunali riducendone i costi.

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Le Nuove Ragioni del Socialismo, Settembre 2003 – Con Riccardo Illy l’Ulivo vince in Friuli

Le ragioni che spiegano perché il triestino Illy si afferma anche in Friuli.

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Messaggero Veneto, 24 settembre 2003 – Divisi e indifesi

I ritardi nell’aggregazione delle aziende locali distributrici di acqua, gas ed energia.

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Messaggero Veneto, 31 ottobre 2003 – Democrazia linguistica

La tutela delle minoranze linguistiche. Una legge che rappresenta un aggancio alla miglior cultura europea in fatto di convivenza civile e pluralismo.

DEMOCRAZIA LINGUISTICA

La legge 15 dicembre 1999 n. 482, che contiene norme in materia di minoranze linguistiche storiche, è stata approvata in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione nel corso della passata legislatura, ad oltre 50 anni dall’entrata in vigore della carta e a conclusione di un lungo iter parlamentare avviato fin dall’VIII legislatura. La pressione dall’alto, dovuta alla presenza di documenti e obblighi internazionali sempre più precisi per la tutela dei gruppi minoritari, come, appunto, la Carta europea delle lingue regionali e minoritarie, è stata determinante.
Determinante per superare un atteggiamento di indifferenza che mal si accorda con un ordinamento democratico e pluralista. La legge n. 482 del 1999 si pone quindi espressamente «in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princìpi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali». Infatti, per gli Stati membri del consiglio d’Europa, la tutela e la promozione delle lingue regionali minoritarie nei diversi paesi e regioni rappresentano un contributo importante per la stessa edificazione di un’Europa fondata sui princìpi della democrazia e della diversità culturale, nel quadro della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale.
Messe così le cose, la sottoscrizione e la ratifica da parte del governo della Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 1992 non sono ulteriormente rinviabili, specie se si considera che la legge n. 482 del 1999 individua già le minoranze linguistiche destinatarie della tutela (nelle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e in quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo) e che tale elenco resta il punto di riferimento per applicare le misure della Carta.
Nella normativa internazionale e anche nella legislazione europea ha prevalso la scelta per un utilizzo delle lingue minoritarie accanto a quella ufficiale, in uno spirito di tolleranza e comprensione e nel rispetto delle differenze. E a questo modello (e non al modello di apartheid linguistico e di contrapposizione tra i diversi gruppi linguistici che, per esempio, si ritrova in Belgio) si ispira la stessa legislazione italiana.
La distinzione tra bilinguismo e separatismo riflette un diverso atteggiamento culturale verso il problema delle minoranze linguistiche: da un lato si persegue un obiettivo di tolleranza e di pluralismo culturale, dall’altro quello della rigida differenziazione. Ma la forza e l’efficacia del bilinguismo risiedono proprio nella crescente espansione della legislazione di tutela delle minoranze linguistiche che si diffonde un po’ dappertutto per effetto appunto della normativa internazionale e della comparazione. E se la legislazione di tutela delle minoranze linguistiche si diffonde ovunque, allora non c’è bisogno di alzare muri di incomunicabilità a protezione dei gruppi minoritari, perché l’affermazione di una cultura dei diritti delle minoranze non deriva da contrapposizioni laceranti, ma al contrario da un clima di pluralismo e di tolleranza.
Il bilinguismo ha sofferto per lungo tempo di una cattiva reputazione. Nel dibattito parlamentare che ha portato all’approvazione della legge 15 dicembre 1999, n. 482, la proposta è stata oggetto di una critica serrata che veniva dai banchi del centro-destra e che, anche nei giorni scorsi, è tornata a sottolineare i presunti svantaggi del bilinguismo tanto per le società quanto per gli individui. Ma il bilinguismo non è qualcosa di misterioso, di anormale o di poco patriottico. È stato ed è una pura e semplice necessità per la maggior parte dell’umanità. Lo sviluppo della globalizzazione su una scala senza precedenti non modifica il fatto che la maggior parte delle persone di tutto il mondo viva tuttora la propria vita in contesti locali e avverta l’esigenza di sviluppare e di esprimere la propria identità locale da trasmettere ai figli. Va da sé tuttavia, che, come sottolinea Jürgen Habermas, la tutela delle tradizioni e delle forme di vita costitutive dell’identità «deve servire unicamente al riconoscimento dei loro membri in quanto individui». Essa non può avere il senso di una tutela biologica della specie compiuta per via amministrativa. Il punto di vista ecologico della conservazione della specie non può essere trasferito alla cultura. Infatti, le tradizioni culturali si riproducono normalmente per il fatto di convincere i membri di quelle comunità, motivandoli ad assimilare e a sviluppare quelle tradizioni in modo produttivo e creativo. Uno Stato di diritto può soltanto rendere possibile questa scelta. Invece, una sopravvivenza garantita dovrebbe necessariamente sottrarre ai partecipanti e ai membri di quelle comunità proprio la libertà di dire sì e di dire no, che è preliminare all’acquisizione di una data eredità culturale. Insomma, «possono mantenersi in vita solo le tradizioni che, pur legando a sé i propri membri, non si sottraggano al loro esame critico e tengano sempre aperta ai discendenti l’opzione o di apprendere da tradizioni diverse o anche di convertirsi e di mettersi in marcia verso nuovi lidi». Si tratta, in altre parole, di rendere possibile la democrazia tra gli ethnos e la democrazia nell’ethnos.
Deputato Ds-L’Ulivo

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