Stavolta, con le truppe russe ammassate vicino al confine con l’Ucraina (almeno 100.000 uomini, secondo gli ucraini), c’è di che preoccuparsi. Stando a due articoli pubblicati da Foreign Affairs la scorsa settimana, l’aumento della presenza militare russa potrebbe davvero preludere ad un’invasione.
Nell’incontro virtuale di lunedì scorso, il presidente americano Joe Biden ed il presidente cinese Xi Jinping hanno discusso per tre ore e mezza senza portare a casa grandi risultati, come hanno scritto Steven Lee Myers e David E. Sanger sul New York Times.
Avrebbe dovuto essere una passeggiata. Negli Stati Uniti tutti si lamentano per le strade piene di buche, i ponti traballanti e gli aeroporti decrepiti e si sa che i parlamentari non vedono l’ora di riportare nei loro collegi elettorali i soldi dei contribuenti, sottraendoli possibilmente a Washington. Eppure, le divisioni insanabili del Paese hanno trasformato l’approvazione del provvedimento proposto da Joe Biden per rimettere in sesto le infrastrutture americane in un calvario.
Il mondo occidentale non è in difficoltà per colpa delle élite, come dicono i populisti. Nel suo ultimo libro “Il nemico dentro”, Tom Nichols richiama la famosa ricerca sociologica di Banfield sulle dinamiche di un paesino della Basilicata, ai cui abitanti non importava della vita pubblica, e perciò erano incapaci di progredire economicamente e politicamente.
Resto dell’opinione che il fatto che Gorizia e Nova Gorica saranno insieme «Capitale europea della cultura 2025», debba rappresentare non solo un’occasione unica per valorizzare un mix straordinario di storia e cultura, ma anche lo stimolo per mobilitare le energie e unire le forze in uno sforzo collettivo per rilanciare la città; e ritengo che rinunciare a costruire un coalizione politica ampia in grado di proporsi e di sollecitare questo sforzo collettivo, al di là dei vecchi steccati, sarebbe imperdonabile. Domenica, sul Piccolo, Francesco Fain ha ripreso e commentato il testo della lettera che ho inviato al giornale e che riporto di seguito:
La schiacciante vittoria di Glenn Youngkin nelle elezioni per scegliere il governatore della Virginia in uno Stato conquistato solo un anno fa dal presidente Joe Biden con un margine di 10 punti, dimostra, come scrive il consulente elettorale repubblicano, Scott Jennings, «che c’è un mercato per una tattica semplice e vecchio stile: trovare una piattaforma di problemi che risponda alle preoccupazioni degli elettori e correre su di essa».
In questi giorni, sui giornali di tutto il mondo, sono in molti a chiedersi se, negli anni che verranno, Stati Uniti e Cina siano davvero destinati a duellare per il dominio planetario. Del resto, mai come adesso la questione Taiwan sembra incombere minacciosa e la tensione tra le due potenze è alta come non mai.
Nel discorso di debutto alle Nazioni Unite, un paio di settimane fa, Joe Biden ha rimarcato quel che ha detto esplicitamente in altri forum (e che, a dire il vero, è un pezzo che si affanna a ripetere): per recuperare il suo ruolo di guida «indispensabile», specie in mondo frammentato come quello del XXI secolo, l’America deve prima risanare e sistemare se stessa.
L’instabilità politica, si sa, è uno dei mali endemici dell’Italia: nei 75 anni di storia repubblicana abbiamo avuto 66 governi e 29 presidenti del Consiglio. La politica in Germania (che oggi andrà alle urne per il rinnovo del Bundestag) è diversa. I tedeschi, è risaputo, preferiscono la stabilità.
La Scuola di Formazione politica Ettore Romoli ha organizzato una maratona in streaming per parlare del futuro di Gorizia che
che si è svolto lo scorso 18 settembre dalle 9 alle 19 all’Hotel Internazionale. Di seguito, il testo del mio intervento sul tema “Gorizia anno zero, un’idea per il nostro futuro”.