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La Virginia e gli scontri su quel che si insegna ai bambini a scuola – Il Riformista, 4 novembre 2021

La schiacciante vittoria di Glenn Youngkin nelle elezioni per scegliere il governatore della Virginia in uno Stato conquistato solo un anno fa dal presidente Joe Biden con un margine di 10 punti, dimostra, come scrive il consulente elettorale repubblicano, Scott Jennings, «che c’è un mercato per una tattica semplice e vecchio stile: trovare una piattaforma di problemi che risponda alle preoccupazioni degli elettori e correre su di essa».

E questa volta è toccato alla scuola, forse l’ultimo ambito della vita americana ad essere consumato dall’accanimento culturale e ideologico. Infatti, nella sfida elettorale in Virginia l’istruzione è emersa come il problema critico e gli strateghi del Partito repubblicano hanno azzeccato la mossa che ha permesso al GOP di catturare l’attenzione degli elettori moderati dei sobborghi dello Stato: criticare ciò che viene insegnato ai loro bambini a scuola.

Le scene di genitori furiosi alle riunioni dei consigli scolastici (gli organi eletti che gestiscono curricula, bilanci e politiche) in Virginia si stanno ripetendo in tutto il paese e potrebbero fornire alla campagna del Partito repubblicano la stessa energia suscitata dal Tea Party prima delle elezioni di medio termine del 2010. Specie se si considera che la Virginia «offre un profilo demografico in miniatura dell’America».

Non per caso, i governatori conservatori del Texas e della Florida, si sono già tuffati nella politica educativa, annullando l’obbligo di indossare le mascherine contro il Covid-19 e firmando provvedimenti che impediscono alle ragazze transgender di giocare nelle squadre sportive femminili al liceo e al college.

Nel corso della campagna elettorale in Virginia, la polemica è divampata su una pubblicità elettorale del candidato repubblicano Glenn Youngkin in cui compare una donna che dice di essere stata scioccata dal materiale esplicito contenuto nel romanzo di Toni Morrison, «Amatissima», vincitore del Premio Pulitzer, che suo figlio, un liceale, ha letto per scuola. I democratici hanno accusato Youngkin di aver mandato intenzionalmente, criticando la prima afroamericana a vincere il Nobel per la letteratura, un messaggio razzista in codice rivolto a chi ha orecchie per intendere.

Il guaio è che la sfida per eleggere il governatore della Virginia, di indubbio rilievo nazionale, potrebbe stabilire il tono delle elezioni di metà mandato (ed oltre).

Anche perché gli aspri scontri culturali e ideologici sulla scuola e ciò che si insegna ai bambini che hanno caratterizzato la campagna elettorale condensano conflitti più ampi sulla razza, la guerra culturale, l’auto-definizione di genere e l’identità stessa dell’America (oltretutto, quel che oggi succede nella società americana entro qualche anno succederà da noi). Ma sollevano anche altre questioni: i bambini d’America devono apprendere solo materie che vanno d’accordo con le idee politiche dei loro genitori? L’istruzione non dovrebbe comprendere anche fatti e prospettive che sfidano le idee preconcette? Ma l’argomento è diventato un bersaglio troppo allettante per essere ignorato dai politici.

Un esempio. Lunedì scorso, The Good Liars ha postato su Twitter un siparietto comico. Nel video, ad un elettore della Virginia viene chiesto quale sia la questione più importante in ballo nelle elezioni per eleggere il governatore dello Stato.«Tornare ai principi fondamentali dell’insegnamento ai bambini, non insegnare loro la Critical Race Theory», risponde. Allora gli viene chiesto che cosa sia la Critical Race Theory. «Non entrerò nei dettagli perché non ne capisco molto, ma è qualcosa – per quel poco che so – che non mi  piace», risponde. Di fronte alla richiesta di fornire un dettaglio qualunque sulla CRT, risponde: «Non ne so molto, ma è qualcosa che non mi piace».

«Se vi serve un esempio di quanto sia stupida la politica americana in questo momento», ha scritto Chris Cillizza della CNN, eccolo qui.

Per la cronaca, secondo Education Week, «la Critical Race Theory è un concetto accademico che ha più di 40 anni. L’idea di base è che la razza sia una costruzione sociale e che il razzismo non sia solo il prodotto di preconcetti o pregiudizi individuali, ma anche qualcosa di incorporato nei sistemi giuridici e nelle politiche… Un buon esempio è quando, negli anni ’30, i funzionari governativi tracciarono letteralmente delle linee attorno ad aree ritenute ad elevato rischio finanziario, spesso esplicitamente a causa della composizione razziale degli abitanti. Le banche hanno successivamente rifiutato di offrire mutui ai neri in quelle aree». Secondo Brookings, inoltre, «la CRT non attribuisce il razzismo ai bianchi come individui e nemmeno ad interi gruppi di persone. In poche parole, la Critical Race Theory afferma che le istituzioni sociali degli Stati Uniti (ad esempio, il sistema di giustizia penale, il sistema scolastico, il mercato del lavoro, il mercato immobiliare e il sistema sanitario) sono costruite con il razzismo impastato nelle leggi, nei regolamenti, nelle regole e nelle procedure, che portano a esiti differenziati secondo la razza». Insomma, l’idea di fondo è che il razzismo sia sistemico in molte delle istituzioni americane e che riconoscendo questa realtà, si possa lavorare per superarla. Niente di particolarmente nuovo, s’intende. Ma il problema, per i conservatori, è diventato all’improvviso una questione sensibile. Grazie anche alla decisione di Fox News di sbattere l’argomento in primo piano nella loro programmazione quotidiana. Nel mese di giugno, la Florida ha vietato l’insegnamento della CRT nelle sue scuole pubbliche, perché, stando ai tweet del governatore repubblicano Ron Desantis, «insegna ai bambini ad odiare il nostro paese e ad odiarsi a vicenda. È razzismo di stato e non ha posto nelle scuole della Florida».

Ovviamente, chiarisce Cillizza, «ci può essere una discussione seria – e disaccordo – sul modo migliore di insegnare ai nostri figli la razza e il razzismo. Si tratta di un dibattito legittimo. Ma non è quello che abbiamo in questo paese al momento. Abbiamo media – e politici – conservatori che suggeriscono scorrettamente che la CRT inculca ai ragazzi bianchi che sono cattivi e da incolpare per i problemi razziali del paese. E, purtroppo, le persone non fanno nessuna ricerca neppure per comprendere i concetti base di cosa sia la CRT e su cosa verta il dibattito che la riguarda». Il che, conclude il commentatore politico della CNN, porta ad interviste come questa: un tizio che dice che la CRT è la questione più importante nella sfida per l’elezione del governatore, ma non ha la più pallida idea di ciò che la CRT sia in realtà.

Messe così le cose, non è così strano che i repubblicani cerchino di trasformare ogni elezione in un episodio della «culture war». Nel Regno Unito, a ben guardare, non è andata molto diversamente:

– «Non mi piace la UE. Ci impongono leggi senza il nostro consenso che non mi piacciono».

– «OK, dimmene una».

– «In questo momento non me ne viene in mente nessuna».

Anche allora la razza e l’immigrazione contarono moltissimo (la Brexit fu fatta passare come un modo per bloccare l’immigrazione).

Va da sé che, come sostiene il mio amico Sergio Baraldi, il problema riguarda anche noi italiani: la capacità della destra di capire i timori e le percezioni dei cittadini e di offrire loro un frame semplificato che dia una risposta rassicurante. E lincapacità dei progressisti di smontare il frame della paura e offrire un diverso frame rassicurante.

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