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Il nocciolo della questione

La Direzione del Pd, preannunciata come una resa dei conti da qualcuno, non si è rivelata tale. Mario Sechi, infatti, annota oggi sul suo taccuino: “La direzione del Pd è andata esattamente come una direzione del Pd: non è successo niente. Renzi ha fatto Renzi, la minoranza ha fatto la minoranza, tutti sono seduti sulla riva del fiume in attesa che la notte del 4 dicembre si veda scorrere il cadavere (politico) dell’avversario”.

A ben guardare, Renzi ha scelto di provare a tenere unito il partito. Da qui la disponibilità a ridiscutere la legge elettorale in tutti i suoi punti (ballottaggio, premio alla lista, modalità di elezione dei parlamentari) con promessa di calendarizzare le modifiche all’Italicum in commissione dopo il voto sul referendum. Lo scontro interno rimane, tuttavia, molto forte.

Perché? Lo spiega bene Claudio Cerasa: “Il punto centrale della questione è che il referendum costituzionale tende sempre più a somigliare a una gigantesca operazione di stress test sulla vita del Partito democratico. Giorno dopo giorno è sempre più evidente che dietro la miccia bersaniana non c’è solo una disquisizione sui dettagli di una legge elettorale ma c’è un più generale e radicale rifiuto messo in campo contro un’idea di paese rappresentata da Renzi che come onestamente ammesso da Cuperlo può portare alla deflagrazione del Pd. Un rifiuto che riguarda alcuni elementi cruciali della vita della sinistra: il rifiuto di promuovere una rivoluzione costituzionale che prevede il passaggio da una democrazia fondata sul potere delle assemblee a una democrazia fondata sul potere degli esecutivi; il rifiuto di considerare legittima la scelta di inseguire gli elettori di centrodestra per permettere a un partito di sinistra di governare; il rifiuto categorico di  considerare un’esperienza fallimentare l’idea di scommettere su una sinistra che si occupa solo di fare la sinistra delegando a un qualche partito di centro il compito di rappresentare l’elettore di centro. E’ sulla base di questi tre rifiuti identitari che si articola la dialettica tra Bersani e Renzi ed è sulla base di questi tre elementi che la sinistra del Pd ha scelto di combattere contro il segretario del Partito democratico una battaglia che può portare anche alla morte del Partito democratico. Per la semplice ragione, è questo il vero non detto di Bersani, che il progetto incarnato da Renzi non è solo un’idea alternativa a quella della sinistra del Pd ma è un’idea eretica, blasfema, e come tutte le idee eretiche deve bruciare nell’inferno della politica. Non è dunque solo un dibattito sul premio di lista o sulla modalità di elezione dei senatori. E’ un dibattito identitario all’interno del quale la sinistra del Pd giustifica ogni mezzo – persino considerare il presidente del Consiglio un dittatore in miniatura – per raggiungere il proprio fine. La posizione di Bersani, di fronte alla quale naturalmente ognuno può avere l’idea che crede, è che ha due difetti di fondo. Il primo, banale, è che il modello di Pd che sogna l’ex segretario del Pd non è soltanto un modello che non funziona in nessuna parte del mondo ma è un modello che lo stesso Bersani ha sperimentato tre anni fa alle elezioni, quando il Pd riuscì nella non facile impresa di registrare il peggior risultato per un partito di sinistra della Seconda Repubblica. Il secondo, se possibile, è forse persino più importante: una vittoria del No al referendum può forse permettere alla minoranza del Pd di vincere il suo piccolo congresso anticipato ma porterebbe il Partito democratico non solo a regalare un’autostrada a Grillo ma anche a perdere tutti quegli elettori non del Pd che in questi anni si sono avvicinati al progetto della nazione renziano” (La ciccia oltre l’Italicum).

Va da sé che “un mediazione può servire” ma, insiste Cerasa, “non sarà la minoranza del Pd a fargli vincere il voto del quattro dicembre. Sarà la sua capacità di fare quello che dovrebbe fare il capo di un partito della nazione: ricominciare a parlare più agli italiani che alle correnti del Pd”.

Quanto alla legge elettorale, segnalo l’intervento di Piero Fassino che ha smontato pezzo per pezzo le obiezioni della minoranza all’Italicum e quello di Roberto Giacchetti che ha bacchettato la minoranza Pd per le continue oscillazioni e le capriole sulla legge elettorale: 12 minuti da vedere (Ecco come Giachetti ha bacchettato la sinistra Pd per le mille capriole sull’Italicum).

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