Nell’incontro virtuale di lunedì scorso, il presidente americano Joe Biden ed il presidente cinese Xi Jinping hanno discusso per tre ore e mezza senza portare a casa grandi risultati, come hanno scritto Steven Lee Myers e David E. Sanger sul New York Times.
Ma secondo i due giornalisti americani, non era questo lo scopo dell’incontro. L’obiettivo era semplicemente quello di allentare la tensione e smorzare i toni nelle relazioni tra Stati Uniti e Cina: «i due leader hanno cercato di evitare che le numerose controversie tra i due paesi degenerino in un conflitto più ampio. Se riusciranno a tradurre le loro parole in una sorta di distensione, sarebbe un successo diplomatico».
Anche Danny Russel, su Foreign Affairs, ha sostenuto che c’è un valore intrinseco nel fatto che i due leader si parlino direttamente, anche se non perseguono né realizzano progressi diplomatici. I due hanno una relazione di lunga data ed il dialogo a livello di leader può ripristinare un aspetto fondamentale (e personale) della diplomazia tra le due superpotenze. «Il mondo probabilmente non vedrà il ritorno alla diplomazia su larga scala, pesante e densa di protocolli dei Dialoghi strategici ed economici tra Stati Uniti e Cina del passato», scrive Russel. «I frutti di tale diplomazia sono stati troppo esigui secondo i funzionari americani (… ) Eppure l’esperimento della precedente amministrazione con la diplomazia della denuncia dei tweet presidenziali o delle invettive del segretario di Stato è stato un pericoloso e completo fallimento. Il vero impegno è fatto di un mix molto umano di costruzione delle relazioni, ascolto attivo, persuasione e di problem solving creativo. Le relazioni tra Stati Uniti e Cina hanno un disperato bisogno di una tale diplomazia – in particolare agli alti livelli – allo scopo di arginare una spirale negativa che potrebbe portare alla guerra».
Anche l’Economist è della stessa opinione, con qualche cautela in più: «In questo momento di scarsa fiducia, Biden e Xi sono probabilmente gli unici rappresentanti americani e cinesi in grado di affrontare una discussione importante. La video chat è meglio di niente, ma è apparsa limitata in modo preoccupante. Se si parla di coesistenza in modo sostenibile, le due parti sono molto distanti. Biden dice che l’America e la Cina sono intrappolate in una competizione molto intensa, che deve essere gestita in modo responsabile. I funzionari cinesi ritengono che la cornice sia troppo negativa. Preferiscono parlare di relazioni basate sul rispetto e sull’interesse reciproci: un codice affinché un’America realista si renda conto che non ha altra scelta che accondiscendere ai modi autocratici e statalisti della Cina. Del resto, si sa che «una videochiamata non basta a risolvere una relazione in crisi».
Nel China Brief di Foreign Policy, James Palmer sottolinea tuttavia un risultato concreto dell’incontro tra Biden e Xi: l’accordo per il ripristino dei visti per i giornalisti. Washington rilascerà nuovamente visti di un anno, anziché di tre mesi, per i media statali cinesi e Pechino permetterà al Wall Street Journal, al Washington Post e al New York Times di inviare i propri giornalisti in Cina dopo averli espulsi nel 2020. Ma non è chiaro ancora se a quegli stessi corrispondenti sarà permesso di tornare nel paese e l’accordo non affronta i problemi più ampi dell’accesso della stampa straniera in Cina. La Cina continua a perseguitare i cosiddetti «local news assistant» che lavorano per i media stranieri (Haze Fan di Bloomberg è ancora detenuto), ha minacciato le famiglie dei reporter stranieri e arrestato giornalisti dei media statali con collegamenti con l’estero.
I pochi giornalisti rimasti sul campo in Cina sono oggetto di vessazioni da parte della polizia e persino da parte di folle sobillate. Il testo nel nuovo accordo, ricorda Palmer, include il caveat standard relativo alle «leggi e ai regolamenti pertinenti»; il che permette alla Cina di fare quello che vuole. Per fare rispettare l’accordo gli Stati Uniti devono darsi da fare e non aver paura di ripristinare le restrizioni. E questo vale per qualsiasi altro accordo che dovesse uscire dai colloqui tra Washington e Pechino. Le promesse della Cina sono prive di significato senza conseguenze potenziali e i «common-sense guardrail», invocati da Biden per evitare conflitti, sono inutili se il nazionalismo interno cinese continua a crescere senza freni. Se la Cina ha davvero l’intenzione di calmare le acque, lo si vedrà, nei prossimi mesi, dal tono dei media di Stato nei confronti degli Stati Uniti.