Monthly Archives: Mag 2017

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LE VERE RADICI DEL M5S – IL Foglio, 18 maggio 2017

La politica è in crisi dappertutto in Occidente. E come sempre, l’Italia è un laboratorio delle tendenze in atto a scala europea. Come ha scritto malignamente Max Gallo, l’Italia «è la metafora d’Europa», ovvero la società in cui tutto si manifesta in modo caricaturale, esagerato ed eccessivo; dove le malattie latenti si presentano in modo evidente ed esplodono mentre negli altri paesi moderni sono solo in incubazione. E la vera intuizione del M5s non è la sbandierata democrazia elettronica, ma la politicizzazione della rete, con un formidabile cavallo di battaglia: la critica spietata alla «casta».

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L’Italia e la nuova Via della Seta

Merita di essere letto il discorso che il presidente cinese Xi Jinping ha pronunciato ieri alla cerimonia di apertura del Belt and Road Forum for International Cooperation. Il presidente cinese ha usato il Forum sulla cooperazione internazionale Belt and Road (14-15 giugno) per spiegare come l’espansione dell’iniziativa – un progetto economico che punta ad integrare l’Asia e l’Europa costruendo sei corridoi di trasporto via terra e via mare, attraverso i quali circoleranno merci, tecnologia e cultura – cambierà la Cina ed il mondo (President Xi Jinping delivers a keynote speech at the opening ceremony-Belt and Road Portal).

Xi ha detto che la Belt and Road Initiative (BRI) – una vota denominata “One Belt, One Road” (OBOR) – è un progetto multilaterale che si propone di portare “peace, harmony and happiness” in tutta l’Eurasia “collegando strategicamente” nazioni diverse come la Russia, la Mongolia, la Turchia ed il Vietnam attraverso progetti di sviluppo già operativi. E, ha aggiunto Jinping, sarà un successo perché gli investimenti necessari sono già in atto.

L’Italia è uno dei terminali strategici della proiezione cinese nel Mediterraneo. E per il nostro paese, come spiega Alessandra Spalletta nel suo articolo, è ovviamente un’occasione straordinaria per essere partecipe e protagonista di un grande progetto infrastrutturale in una delle aree strategiche del pianeta (Porti e ferrovie. La sfida italiana sulla nuova via della Seta – Agi).

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GIORNALI2017

www.italiaincammino.it, 13 Maggio 2017 – Renzi, Obama e Macron: triumvirato di “potenze progressiste”

Tre giorni prima del ballottaggio, l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato il proprio sostegno a Emmanuel Macron nelle elezioni presidenziali francesi, mettendo in evidenza che, sebbene non avesse progettato di farsi coinvolgere in altre elezioni dopo la sua presidenza, «il successo della Francia è importante per il mondo intero». Matteo Renzi, rieletto segretario del Pd, ha incontrato Barack Obama durante la visita dell’ex presidente americano a Milano e nel corso del loro colloquio, i due hanno telefonato al neo eletto presidente francese per congratularsi della vittoria. Lo stesso Macron, su Twitter, aveva rivolto i suoi auguri a Renzi per la vittoria alle primarie: «Bravo a @matteorenzi ‘in cammino/en marche’ funziona. Insieme, cerchiamo di cambiare l’Europa con tutti i progressisti».

Che cosa accomuna profili e storie così diverse?

Cos’è che rende queste storie così simili nel messaggio e perfino nello stile?

Obama ha detto che Macron «rappresenta i valori liberali» e «propone una visione per il ruolo importante che la Francia gioca in Europa e nel mondo» ed ha aggiunto, con una chiara allusione a Le Pen, che Macron, «si rivolge alle speranze della gente e non alle loro paure». E come ha sottolineato The Atlantic nel numero del mese scorso, anche le campagne elettorali di Obama e di Macron si somigliano molto. Come Obama, Macron ha fatto affidamento su un’ampia (e senza precedenti) campagna popolare che ha mobilitato migliaia di volontari in tutto il paese. Le campagne elettorali di entrambi i leader si sono inoltre concentrate su un punto: rimettere in marcia i loro paesi in direzione del progresso. Lo slogan di Macron era En Marche! e anche Obama aveva puntato su slogan simili «Change We Can Belive In» e, per la sua rielezione, «Forward», avanti. È una relazione, questa, che la campagna di Macron ha sottolineato. Il mese scorso, En Marche! ha diffuso un video nel quale l’ex presidente americano augurava al candidato all’Eliseo «buona fortuna» alla vigilia del primo turno e nel quale Macron diceva di attendere con ansia di poter «lavorare insieme» in futuro. E vale anche per Renzi.

Giuliano Ferrara lo ha rimarcato con grande efficacia: «Chi è che ha predicato fino alla noia l’ottimismo e la speranza dell’Italia che riparte? Chi è che aveva 39 anni nel momento dell’accesso al potere esecutivo? Chi è che ha puntato sul partito della nazione, cioè su un accordo trasversale detto Nazareno con la destra berlusconiana, essendo “et de droite et de gauche”? Chi è che è stato accusato dagli ideologi bolsi del novecentismo politico di aver trasformato il Pd in una specie di startup come En Marche!? Chi è che ha fatto della liberalizzazione del mercato del lavoro un’ossessione fattiva, e ha proceduto per ordonnance come sta per fare Emmanuel M. (il voto di fiducia sull’articolo 18)? Chi è che ha preso il 40 per cento alle europee, miglior risultato fra i partiti socialdemocratici, su una linea di opposizione europeista al cialtronismo lepenista-grillozzaro italiano? Chi è che è andato al governo senza essere stato eletto dal popolo (a parte la platea delle primarie del partito di maggioranza), come fece Macron lanciandosi poi come presidente della République? Chi è che ha rotto le palle con le quote femminili al potere, come farà E. M. alle legislative? Chi è che ha avuto più tempo per la finanza e l’impresa che per le corporazioni sindacali? Chi è che ha proposto il ballottaggio, strumento essenziale per l’ascesa di M. e la sconfitta di Marine? Chi è quel Provinciale Collettivo che osa sostenere il contrario, cioè che Renzi, e proprio ora che il sistema lo ha riacciuffato, deve imitare il modello Macron o non può imitare il modello Macron?».

Il sostegno di Obama 

Non è chiaro se il sostegno di Obama a Macron (Obama anche detto che, se potesse, voterebbe per la cancelliera tedesca Angela Merkel che sta correndo per la rielezione in autunno) abbia influenzato gli elettori francesi. Nonostante la sua popolarità in Europa e negli Stati Uniti, il suo evidente sostegno alla campagna del «Remain» nel referendum inglese sulla Brexit, il suo sostegno ad Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali americane ed il sostegno alla riforma costituzionale di Renzi, non hanno avuto l’impatto desiderato.

Lo stesso schema di gioco

Una cosa però è chiara. È chiaro che in Francia, in Italia, negli Stati Uniti e dovunque in Occidente, lo schema di gioco è lo stesso. É dal 2012 che Pietro Ichino si affanna a ripetere che il nuovo discrimine fondamentale è tra chi intende contrastare la globalizzazione ripristinando sovranità e frontiere nazionali e chi ne accetta la sfida attrezzando il proprio paese per trarre dalla globalizzazione il massimo beneficio e indennizzando chi nella sfida ci perde qualcosa. Insomma, la scelta fondamentale oggi è quella che si compie rispetto a questo spartiacque, che non è più quello sul quale si è strutturata la politica dal dopoguerra. Questo è il nuovo bipolarismo che è destinato probabilmente a caratterizzare gli anni che verranno.

La conferenza improvvisata sembrava collegare un triunvirato di «potenze progressiste» che però non ci sono ancora. Obama, Renzi e Macron (ci sarebbe anche Trudeau), rappresentano una realtà alternativa (una realtà possibile), per un paesaggio politico transatlantico distrutto dall’elezione di Trump e dall’ascesa delle forze populista. Macron ha sconfitto in modo netto la sfidante dell’estrema destra, ma Renzi ed anche Obama, a casa loro, hanno ancora parecchio lavoro da fare. È chiaro anche questo.

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Renzi, Obama e Macron: triumvirato di “potenze progressiste” – www.italiaincammino.it, 13 Maggio 2017

Tre giorni prima del ballottaggio, l’ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha annunciato il proprio sostegno a Emmanuel Macron nelle elezioni presidenziali francesi, mettendo in evidenza che, sebbene non avesse progettato di farsi coinvolgere in altre elezioni dopo la sua presidenza, «il successo della Francia è importante per il mondo intero». Matteo Renzi, rieletto segretario del Pd, ha incontrato Barack Obama durante la visita dell’ex presidente americano a Milano e nel corso del loro colloquio, i due hanno telefonato al neo eletto presidente francese per congratularsi della vittoria. Lo stesso Macron, su Twitter, aveva rivolto i suoi auguri a Renzi per la vittoria alle primarie: «Bravo a @matteorenzi ‘in cammino/en marche’ funziona. Insieme, cerchiamo di cambiare l’Europa con tutti i progressisti».

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Il nuovo discrimine politico fondamentale

Le presidenziali d’oltralpe mostrano, come si affanna a ripetere Pietro Ichino, che la contrapposizione novecentesca tra fautori della libertà e fautori dell’uguaglianza sta per essere sostituita da quella tra globalisti e sovranisti: leggi il fondo del direttore Maurizio Molinari su la Stampa.

En Marche!  ha vinto perché ha saputo porre al centro del suo discorso questo nuovo discrimine politico fondamentale. E ora anche dal fronte opposto si annuncia la creazione di un nuovo partito capace di unire (tutti) questi ultimi. Leggi l’editoriale telegrafico con cui Pietro Ichino ha commentato a caldo il risultato delle presidenziali francesi.

Su cosa può fare la gauche europea per non guardare all’indietro e farsi inghiottire dal populismo, consiglio di leggere  l’articolo di Enrico Morando, viceministro dell’Economia, pubblicato sul Foglio venerdì.

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GIORNALI2017

www.italiaincammino.it, 5 Maggio 2017 – Cara Le Pen, globalizzazione non è una parolaccia

Nel violento duello tv presidenziale di mercoledì sera tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, la candidata del Front National ha aggredito il rivale etichettandolo come «il candidato della globalizzazione». La globalizzazione, si sa, da tempo è diventata una parolaccia. Secondo la candidata di estrema destra (che Macron ha definito «la sacerdotessa della paura»), la «mondialisation sauvage met en danger notre civilisation» e quasi tutti ora sembrano comunque ritenerla asimmetrica, iniqua e pericolosa. Eppure, la maggior parte dei difetti attribuiti alla globalizzazione sono, in realtà, carenze nelle politiche nazionali (ed europee). Errori che possono essere corretti.

 

Investire meno in guerre e più in infrastrutture

C’è voluto un miliardario cinese per dire, ad esempio, agli americani le cose come stanno. Jack Ma, il fondatore del gigante dell’e-commerce Alibaba Group, ha stimato che negli ultimi trent’anni il governo degli Stati Uniti ha speso 14.2 trilioni di dollari per combattere 13 guerre. Una somma enorme di denaro che poteva essere investita in America per costruire infrastrutture e creare posti di lavoro. «Il denaro dovrebbe venire utilizzato a vantaggio della propria gente», ha detto infatti Ma, evidenziando inoltre che la globalizzazione ha prodotto profitti considerevoli per l’economia degli Stati Uniti, ma che buona parte di quel denaro è finito a Wall Street.

«E cos’è successo? Il 2008. Solo negli Stati Uniti la crisi finanziaria ha spazzato via 19.2 trilioni di dollari. E se quel denaro fosse stato utilizzato invece per sviluppare l’industria nel Midwest?», ha chiesto l’imprenditore cinese. «Non sono gli altri paesi che vi vengono a rubare i posti di lavoro ragazzi, è la vostra strategia che non va», ha concluso. Non serve passare al setaccio i dati statistici di Jack Ma per ammettere che il suo punto di vista un qualche fondamento ce l’ha.

Opportunità per la crescita

La globalizzazione ha creato enormi opportunità per la crescita, molte delle quali sono state colte proprio dalle imprese americane ed europee.

Nella lista dei primi 500 gruppi economici globali, pubblicata ogni anno dalla rivista Fortune, la Cina occupa certo sempre più posizioni, ma l’economia globale è ancora dominata dalle grandi imprese americane ed europee. 134 delle Fortune’s Global 500 sono americane (come peraltro la grande maggioranza delle imprese nei settori all’avanguardia) ed anche il piccolo drappello di aziende italiane è uniformemente distribuito su tutta la classifica. Queste aziende hanno beneficiato enormemente della possibilità di sfruttare una catena di fornitura globale che può disporre di merci e servizi in tutto il mondo, contenere il costo del lavoro e situarsi in prossimità dei mercati di sbocco.

 

Gli effetti sulla società

Ovviamente, la globalizzazione ha effetti rilevanti sull’economia e sulle società di tutti i paesi, e causa più di un problema. Ma quale fenomeno complesso non lo fa? Tuttavia, genera anche opportunità, innovazione e ricchezza, che ogni paese può poi usare per affrontare questi problemi attraverso idonee strategie nazionali.

Le soluzioni sono facili da affermare in teoria (istruzione, training qualificante e retraining, infrastrutture), ma sono costose, e le riforme, come sappiamo bene, sono difficili da realizzare. È molto più facile puntare il dito contro gli invasori e promettere barriere, tariffe doganali e sanzioni contro lo «straniero». Non per caso, ieri sera Marine Le Pen ha rimproverato aspramente Macron: «Vous avez vendu les Chantiers de l’Atlantique aux Italiens».

Il costo di queste politiche è però enorme. L‘Economist ha riportato, in una indagine sulla globalizzazione, che nel 2009 l’amministrazione Obama ha «punito» la Cina imponendo dei dazi sui pneumatici. Due anni dopo, il costo per i consumatori americani era di 1.1 miliardi di dollari (900.000 dollari per ogni posto di lavoro «salvato»).

Senza contare che l’impatto di tali misure lo subiscono, in maniera sproporzionata, proprio i poveri e la classe media, che adoperano una quota più ampia del loro reddito per comprare merci d’importazione, come il cibo e i vestiti. E uno studio (citato nella stessa inchiesta) ha calcolato che, in 40 paesi, se il commercio internazionale dovesse avere fine, i consumatori più ricchi perderebbero il 28% del loro potere di acquisto, ma quelli più poveri perderebbero un incredibile 63%.

 

Il ruolo della tecnologia

Il fatto è che l’elemento chiave che sta riducendo i salari ed eliminando molti lavori nel mondo industrializzato è la tecnologia, non la globalizzazione. Tanto per capirci, tra il 1990 e il 2014, la produzione di automobili americana è aumentata del 19%, ma con 240 mila lavoratori in meno. Non sono solo le nuove fabbriche di Intel che hanno sempre meno lavoratori. Adidas ha costruito una nuova fabbrica di scarpe in Germania che è gestita quasi interamente dai robot. E i non molti lavoratori di queste fabbriche tendono ad essere programmatori e tecnici altamente specializzati.

La rivoluzione tecnologica non si può arrestare. E non c’è nemmeno una soluzione immediata per impedire al business di delocalizzare le produzioni in altri paesi. Aumentare i dazi sulle merci cinesi significherebbe semplicemente far arrivare prodotti da qualche altro paese in via di sviluppo.

Piuttosto, ciascun paese dovrebbe riconoscere che l’economia globale e la rivoluzione tecnologica richiedono ampi e sostenuti sforzi nazionali per equipaggiare i lavoratori con le abilità, il capitale e le infrastrutture di cui hanno bisogno. Dobbiamo certamente accettare un mondo aperto, ma allo stesso tempo, dobbiamo assistere i «perdenti» e attrezzarci in modo adeguato per competere. Quel che davvero conta è l’empowerment. E questo richiede politiche nazionali (ed europee) intelligenti e concrete (e piuttosto costose), non il rovesciamento della globalizzazione nel suo contrario. «La grande prêtresse de la peur, elle est en face de moi», ha ricordato ieri Macron. Ma la paura si può vincere.

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Cara Le Pen, globalizzazione non è una parolaccia – www.italiaincammino.it, 5 Maggio 2017

Nel violento duello tv presidenziale di mercoledì sera tra Emmanuel Macron e Marine Le Pen, la candidata del Front National ha aggredito il rivale etichettandolo come «il candidato della globalizzazione». La globalizzazione, si sa, da tempo è diventata una parolaccia. Secondo la candidata di estrema destra (che Macron ha definito «la sacerdotessa della paura»), la «mondialisation sauvage met en danger notre civilisation» e quasi tutti ora sembrano comunque ritenerla asimmetrica, iniqua e pericolosa. Eppure, la maggior parte dei difetti attribuiti alla globalizzazione sono, in realtà, carenze nelle politiche nazionali (ed europee). Errori che possono essere corretti.

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E adesso?

Archiviata la partita delle primarie del Partito democratico, che hanno visto, com’era prevedibile, la vittoria di Matteo Renzi, oggi il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, prova a rispondere ad alcune domande «che ruotano tutte attorno a un unico grande tema sintetizzabile in quattro lettere: e ora?».

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Buon Primo Maggio!

Il video del 2017 International Jazz Day All-Star Global Concert dall’Havana, Cuba: www.jazzday.com.
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