I giovani cinesi non ne possono più delle lunghe ore di lavoro e della pressione per produrre di più. Lo ha scritto di recente Cai Zongcheng sul magazine online cinese (pubblicato in lingua inglese) Sixth Tone. Non per caso, un saggio, scritto in prima persona, che esorta ad abbandonare la corsa al successo urbana per trasferirsi in un villaggio in montagna è diventato virale sui social cinesi. Il pezzo, intitolato «Perché ho scelto di vivere una vita meno stressante in un villaggio di montagna: la mia lotta silenziosa contro la schiavitù moderna», descrive le esperienze dell’autrice dopo il suo trasferimento in un remoto angolo rurale della provincia orientale dello Zhejiang. Ribellandosi ai precetti (e alla frenesia) della vita urbana moderna, la giovane cinese dice di non volerne più sapere di acquistare una casa, di uscire con gli amici, del lavoro straordinario, di mangiare cibo spazzatura e neppure di comprare cose belle.
Domenica scorsa, migliaia di cubani, in modo del tutto inconsueto, sono scesi in piazza per contestare pubblicamente il governo. Tanto che parecchi cronisti e opinionisti sono stati colti di sorpresa.
A quattro mesi dall’insediamento dell’amministrazione del nuovo presidente americano Joe Biden, le notizie sulla morte della relazione transatlantica sembrano, per parafrasare Mark Twain, fortemente esagerate.
Tra non molto, Kabul potrebbe cadere. Secondo l’intelligence americana, una volta completato il ritiro delle truppe statunitensi dal paese, il governo afgano potrebbe reggere ancora per sei mesi. Ormai i talebani controllano il nord del paese, si sono impadroniti di decine di distretti e delle principali città circostanti e le forze di sicurezza afghane si arrendono spesso senza combattere, lasciando agli insorti i loro Humvee e altre attrezzature fornite dagli americani.
Il primo luglio prossimo, il Partito comunista cinese celebrerà in pompa magna il centenario della fondazione con una «grande cerimonia» e con festeggiamenti, manifestazioni e rassegne che metteranno in mostra, come ha scritto il quotidiano del partito Global Times, «il corso glorioso, i grandi risultati e la preziosa esperienza del PCC negli ultimi 100 anni».
«Ho fatto quello per cui ero venuto», ha detto il presidente americano Joe Biden, dopo aver messo in guardia Vladimir Putin, esortandolo a fermare gli attacchi informatici sulle infrastruttura americane e chiarendo che, sebbene non desideri una nuova Guerra fredda, difenderà in modo fermo gli interessi e i valori degli Stati Uniti. Il suo commento, al termine di una settimana di vertici, show diplomatico e blitz mediatici, riassume il senso di un viaggio con il quale ha ricucito le relazioni con gli alleati dell’America traumatizzati da Donald Trump, ha lanciato la sua crociata globale per salvare la democrazia ed ha offerto la leadership (sia pure tardiva) degli Stati Uniti in merito alla pandemia da COVID-19.
Il primo vertice dei paesi del G7 dell’era Biden ha segnato il ritorno ad un «lessico familiare», ha detto domenica scorsa, con un certo sollievo, il presidente francese Emmanuel Macron. «Per quattro anni abbiamo fatto il possibile, non noi europei da soli, ma insieme ai nostri partner canadesi e giapponesi nel G7, per garantire che l’ordine mondiale nel quale crediamo potesse continuare a funzionare».
Di nuovo insieme? L’alleanza transatlantica sembra essere tornata. Ma è davvero così?
Il lungo tour europeo del presidente degli Stati Uniti Joe Biden (il suo primo viaggio da presidente) è cominciato e le enormi differenze con l’era Trump saranno presto in bella mostra. Quando questa settimana Biden incontrerà i leader dei paesi del G7 in Inghilterra e i leader degli alleati della Nato a Bruxelles la prossima settimana, non si prevede che strapazzi i più antichi alleati dell’America, che minacci nuovi dazi o che dica che gli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi dalla Nato.
di MARCO BISIACH
GORIZIA – Di candidatura tout court, per il momento, Alessandro Maran non si parla. Però non si tira indietro, anzi. Solo che i tempi non sono ancora maturi, gli scenari fin troppo variegati e indefiniti, e così qualche ora libera nel weekend di una primavera finalmente calda e assolata la può dedicare a preparare la barca per la bella stagione, magari nella sua Grado. Anche se risiede ormai a Gorizia. Ma a fronte delle voci, sempre più insistenti, che lo vorrebbero papabile candidato del centrosinistra alle prossime elezioni comunali, l’ex parlamentare dei Ds-Ulivo e del Pd (oltre alla parentesi con Scelta civica di Monti) non si nasconde, né alza barricate. In alcuni passaggi parlando da candidato sindaco in pectore.
Sembra che l’intesa ci sia. Yair Lapid, leader del partito centrista Yesh Atid, mercoledì sera, 38 minuti prima della scadenza della mezzanotte, ha comunicato al presidente israeliano Reuven Rivlin di essere riuscito a mettere insieme una coalizione di governo formata da un impasto di partiti politici di destra, centristi e arabi che ora è sul punto di fare quello che, negli ultimi 12 anni, nessuno è riuscito a fare: spodestare Benjamin Netanyahu.