Si era messo a disposizione. Alessandro Maran era pronto a candidarsi sindaco, a patto di allargare il “recinto” e tentare così di vincere la sfida con Rodolfo Ziberna. Poi come si ricorderà le cose si misero in tutt’altro modo. Maran, di fronte ai temporeggiamenti del Partito democratico, ritirò la sua disponibilità e il centrosinistra trovò la quadratura del cerchio sull’ex senatrice Laura Fasiolo la quale, nonostante un risultato importante, non è riuscita a sbarrare la strada al centrodestra.
L’Italia ha condannato se stessa ad una singolare patologia, ha scritto Barbara Spinelli in un bel libro di diversi anni fa: quella della “smemoratezza patteggiata” o della “reminiscenza vendicativa”: “D’un tratto il ricordo fa ritorno, ma solo perché in quella particolare circostanza torna utile”, scriveva Spinelli, cosicché “per natura calcolatrice, la memoria nazionale si accende e si spegne come una lampadina che è sempre sul punto di bruciarsi. Le parole stesse, le esperienze di cui esse sono la traduzione, perdono ogni rapporto con la realtà evocata”.
Al direttore – Il 23 aprile 1999, i capi di stato e di
governo dell’Alleanza si riunirono a Washington per celebrare il
50esimo anniversario della Nato. Allora toccò a Massimo D’Alema rendere omaggio, nella stessa sala in cui venne
firmato il Trattato Nord Atlantico, a un risultato eccezionale: cinque decenni
di pace e di sicurezza in Europa. D’Alema, in quell’occasione, si soffermò sulla “sfida difficile” che allora stava affrontando l’alleanza: “E’ stato necessario
ed è ancora necessario usare di nuovo la forza in Europa per costruire una pace
giusta”. Raccontò di aver visitato il confine tra Kosovo e Albania e di essere
stato con i volontari italiani che in loco accoglievano e assistevano i
rifugiati: “Con i miei occhi
ho visto i trattori, ho visto le donne, i bambini e gli anziani, ho visto
queste persone ferite nei loro corpi, private di tutto, non solo dei loro cari,
ma perfino dei documenti di identità, le targhe automobilistiche erano state
strappate dalle loro auto in modo da cancellare qualsiasi collegamento con la
loro patria e le loro case. Non avremo pace finché queste persone non saranno in grado di ritornare a
casa in pace e serenità, come rispettati cittadini del loro paese, e non avremo
pace finché i soldati che li hanno
mandati via non saranno respinti”. “Questo è il nostro impegno e per questi obiettivi e
valori l’Italia svolgerà il suo ruolo all’interno dell’Alleanza. Sarà un
alleato forte e sincero, capace di assumersi le proprie responsabilità”,
concluse. Allora D’Alema era il capo del governo e indossava i panni
atlantici che poi ha dismesso (il D’Alema blairiano e
liberale è durato poco). Si tratta, tuttavia, di un discorso che, vista l’aria che tira, vale la pena di leggere. Non è male,
direbbe Mr. Pickwick, accendendosi un altro sigaro.
Alessandro Maran
Non si candiderà. Che non correrà per sindaco è arcinoto ma Alessandro Maran non farà parte nemmeno della “squadra Fasiolo”. Perché due erano le condizioni per mettersi in gioco: acquisire la consapevolezza della gravità della crisi che attanaglia Gorizia e, proprio per questo, unire le forze “oltre i vecchi schieramenti” per reagire al declino. E nulla di tutto ciò sta avvenendo, soprattutto nella metà campo di centrosinistra.
Parlare di libri, ha scritto Claudio Giunta, “mi sembra un bel modo, un modo civile di parlare” (“Parlarne bene, cioè bene o male ma sempre con una certa ampiezza, argomentando con precisione, magari soprattutto di libri che sono usciti da un po’, non necessariamente quelli appena usciti, e piuttosto saggi che romanzi. C’è tanto bisogno, lo vedo coi miei studenti…”). Anch’io parlo soprattutto di libri (e ogni tanto di jazz: l’altro giorno, a proposito, Sarah Vaughan avrebbe compiuto 98 anni. Ascoltatela in questo brano tratto da uno degli album più significativi della sua carriera) e, soprattutto, trovo che parlare di libri sia un bel modo di parlare.
Quella di oggi di Joe Biden in Europa è senza dubbio una delle visite più importanti di un presidente americano dai tempi della Guerra fredda. Così importante che mi è tornato in mente un libro di qualche anno fa di Joe Scarborough, “Saving Freedom”.
Torna in libreria oggi, pubblicato da Adelphi nella traduzione di Claudia Zonghetti, “La Russia di Putin” della giornalista moscovita Anna Politkovskaja, uccisa da due sicari a Mosca nel 2006. Nell’incipit c’è già tutto: “Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: parla di Putin senza toni ammirati”. “A scanso di equivoci – prosegue Politkovskaja –, spiego subito perché tale ammirazione (di stampo prettamente occidentale e quanto mai relativa in Russia, dato che è sulla nostra pelle che si sta giocando la partita) faccia qui difetto. Il motivo è semplice: diventato presidente, Putin – figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese – non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione”.
Kaja Kallas è la prima donna premier dell’Estonia. Ex europarlamentare e leader del Partito riformatore, Kallas è figlia d’arte: suo padre è l’ex primo ministro Siim Kallas, che è stato anche commissario europeo dei Trasporti. Sua madre Kristi, che all’epoca aveva sei mesi, fu deportata dai sovietici in Siberia con la madre e la nonna su un carro bestiame. È diventata premier all’inizio del 2021 e, da allora, è alle prese con due crisi internazionali: la pandemia e la crisi in corso con Russia.
Claudio Cerasa ha ragione: Putin non è un pazzo, è un nostalgico dell’impero sovietico (di lingua russa) che sogna di ricreare. Lo ha spiegato benissimo l’ambasciatore del Kenya alle Nazioni Unite, Martin Kimani, che lunedì scorso ha pronunciato un discorso contro l’aggressione russa che è diventato virale.
La Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibile un importante quesito referendario in materia di giustizia sulla distinzione delle funzioni.