Per dirla in una parola, come ha scritto Chris Cillizza della CNN, il primo dibattito tra il presidente Donald Trump e l’ex vicepresidente Joe Biden, è stato «orribile».
La politica estera non sembra rientrare tra preoccupazioni del governo. A ben guardare, l’Italia sembra aver ormai rinunciato ad avere un ruolo di primo piano. L’atteggiamento rinunciatario degli ultimi governi dipende probabilmente dal fatto che i nostri leader politici sanno benissimo che non riuscirebbero a giustificare agli elettori niente di più di una «diplomazia di galleggiamento» (così l’ha chiamata Daniele Raineri).
Aprendo, martedì scorso, la 75esima Assemblea generale delle Nazioni Unite (la prima assemblea “virtuale” della storia), il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, proprio nel giorno dedicato agli interventi (da remoto e pre-registrati) dei leader, ha definito la pandemia da coronavirus ed i suoi effetti “our own 1945 moment”, alludendo alle devastazioni della Seconda guerra mondiale.
Il presidente americano ha vinto alla grande le elezioni del 2016 grazie all’ampio sostegno degli elettori bianchi. Quest’anno, invece, Trump è costretto a rincorrere Joe Biden soprattutto perché una parte di quegli elettori sono tornati a votare democratico e in più di un sondaggio sembra che, in alcuni swing-state, Biden abbia conquistato perfino la maggioranza (sia pure risicata) degli elettori bianchi.
“Quella che era solo una remota possibilità è diventata realtà”, ha detto alla CNN la senatrice repubblicana dell’Alaska, Lisa Murkowsky. Per molti, si tratta di un incubo: con la morte, avvenuta venerdì scorso, della giudice icona liberal della Corte suprema, Ruth Bader Ginsburg, Donald Trump ha l’opportunità di plasmare la vita americana nei decenni a venire.
Che cos’è una riforma? Secondo il vocabolario Treccani, «la modificazione sostanziale», volta al miglioramento, di un’istituzione, di un ordinamento. Il «taglio delle poltrone» dei Cinquestelle non è una riforma. Come ha sostenuto lo stesso Pd, «è solo uno spot elettorale». Infatti, nonostante le ragioni del nostro bicameralismo ripetitivo siano venute meno (perlomeno) dal crollo del Muro di Berlino, le due Camere continueranno a fare le stesse cose ed ad avere gli stessi poteri. Il provvedimento, dunque, lascia inalterati tutti i problemi più urgenti del nostro sistema istituzionale (incluso lo spreco di denaro, di tempo e di energie) e, semmai, ne crea degli altri (gli equilibri dell’elezione del Presidente della Repubblica, la rappresentanza delle regioni piccole, delle minoranze, ecc.).
Martedì scorso, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e i ministri degli esteri degli Emirati Arabi Uniti, Abdullah bin Zayed Al-Nahyan, e del Bahrein, Abdullatif al-Zayani, si sono incontrati con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump per suggellare la normalizzazione dei rapporti tra i loro paesi. La cerimonia ha sancito indiscutibilmente un passo di portata storica. Che il presidente americano abbia davvero negoziato un «trattato di pace» è tuttavia meno pacifico.
Dall’annuncio della vittoria (ampiamente messa in discussione) del presidente Aleksander Lukashenko nelle elezioni presidenziali del mese scorso con l’80%, le proteste in Bielorussia non accennano a placarsi.
Nei mesi scorsi, il presidente del Brasile Jair Bolsonaro sembrava sotto assedio. Pandemia, crisi economica e turbolenza politica (la via del negazionismo scelta da Bolsonaro ha aperto, ovviamente, profonde spaccature nel suo gabinetto): secondo molti analisti sembrava che sul Brasile stesse per abbattersi una “tempesta perfetta”.
Con l’aria che tira, il partito di Zingaretti spera di attenuare le conseguenze negative di un referendum apertamente ostile alla democrazia rappresentativa e, ovviamente, pensa così di salvaguardare la maggioranza di governo. Ma oltre a essere sbagliato, ci sono numerosi esempi del passato che dimostrano quanto sia anche una tattica fallimentare