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Mai sottovalutare un populista con la divisa – Il Riformista, 8 settembre 2020

Nei mesi scorsi, il presidente del Brasile Jair Bolsonaro sembrava sotto assedio. Pandemia, crisi economica e turbolenza politica (la via del negazionismo scelta da Bolsonaro ha aperto, ovviamente, profonde spaccature nel suo gabinetto): secondo molti analisti sembrava che sul Brasile stesse per abbattersi una “tempesta perfetta”.

Più di 120.000 brasiliani sono morti dall’inizio della pandemia, una catastrofe seconda solo agli Stati Uniti. Eppure, come testimonia Thomas Traumann in un articolo sull’Americas Quarterly, la pubblicazione dedicata a quel che accade in America Latina, ci sono molti indizi del fatto che i brasiliani “hanno voltato pagina – psicologicamente, e nelle loro azioni”. Nei bar, nei gruppi familiari su WhatsApp e alla radio, scrive Traumann, “le discussioni si sono spostate dalle abitudini della quarantena e dai disinfettanti per le mani, alle partite di calcio, riprese a giugno. Nel Parco Aterro do Flamengo, dall’altra parte della strada rispetto al mio appartamento, le persone che praticano lo jogging sono tornate alla solita routine – e in contrasto con due mesi fa, quasi nessuno indossa più la mascherina”. Perfino il Journal National, l’autorevole notiziario notturno visto da circa 30 milioni di brasiliani, che ha trattato il Covid-19 con grande intensità durante i mesi iniziali della pandemia, ha spostato altrove la sua attenzione.

Come si spiega questo cambiamento nelle discussioni e nel comportamento quotidiano dei brasiliani? Secondo Traumann, con due parole: Jair Bolsonaro. In relazione alla risposta sanitaria pubblica alla pandemia, il presidente brasiliano ha fatto un pessimo lavoro, prendendo decisioni e rilasciando dichiarazioni che sono costate un numero incalcolabile di vite umane. Ma è riuscito ad imporre la propria “narrazione” (che lo ha opposto agli scienziati, ai giornali, ai leader dell’opposizione) ed il suo consenso nei recenti sondaggi si è consolidato attorno al 50%.  Al punto che, nelle ultime settimane, i governatori e i sindaci che hanno cercato di convincere la gente dei pericoli del coronavirus e hanno ordinato chiusure e distanziamento sociale, per la maggior parte hanno gettato la spugna.

Ci sono molte ragioni che spiegano il successo di Bolsonaro nella “guerra delle narrazioni”, ma una soprattutto, secondo Traumann: “conosce l’animo e le paure dei brasiliani comuni meglio di ogni altro politico”. Fin dal principio, senza esitazioni, si è rifiutato di chiudere scuole e attività economiche. Ha capito subito che la principale preoccupazione dei brasiliani sarebbe stata la loro sopravvivenza economica. In un paese in cui metà della popolazione vive con meno di 180 dollari al mese, poter contare su una fonte di reddito fa la differenza fra la sopravvivenza e la fame. E Bolsonaro è riuscito a fare quel che nessun altro politico brasiliano è riuscito a fare: convincere i poveri che stava difendendo i loro interessi; anche se, dal punto di vista sanitario, le cose, in realtà, erano esattamente l’opposto.

Insomma, nonostante le sue battute grossolane e nonostante abbia minimizzato il Covid-19, come scrive su Foreign Affairs il direttore di Americas Quarterly, Brian Winter, il presidente brasiliano mantiene una salda presa sul sistema politico del suo paese. Le accuse di corruzione (che Bolsonaro ha respinto) non lo hanno scalfito e neppure il licenziamento di due ministri della sanità durante la pandemia. La descrizione di Bolsonaro come di “un Trump dei tropici”, non coglie le ragioni del suo appeal unico, scrive Winter, specie se si considera che “le recenti traversie di Trump, suggeriscono che i populisti non sono invincibili”.

Bolsonaro mantiene una base saldissima nell’ “interiorzão”, il “grande interno” del Brasile, Un Brasile fatto “di coltivazioni di soia e allevamenti di bestiame, enormi Ford pickup, centri commerciali con l’aria condizionata e steakhouse ‘all you can eat’”. Questa base ha conservato la “capacità rimarchevole di trovare una scusa anche per gli insuccessi evidenti. Quando Sérgio Moro, un ex giudice e una figura iconica nella lotta del Brasile contro la corruzione, si è dimesso dal ministro della giustizia di Bolsonaro nel maggio scorso, dichiarando che il presidente ha cercato di interferire nelle indagini della polizia, la brigata online lo ha rapidamente etichettato come un ‘opportunista’ che non è mai stato un autentico conservatore. Le indagini su due dei figli di Bolsonaro per il loro presunto ruolo in un giro di bustarelle tra funzionari pubblici a Rio e nella diffusione di dichiarazioni diffamatorie sui loro rivali, sono state liquidate come frutto dell’invidia da parte di una élite corrotta ancora infuriata per risultato delle elezioni del 2018. Il calo nei consensi che Bolsonaro ha sperimentato nel pieno della pandemia tra gli elettori ricchi e ben istruiti, è stato compensato dall’aumento dei consensi tra i brasiliani poveri che sono grati di ricevere dal governo un nuovo sussidio straordinario di circa 125 dollari mese”.

Bolsonaro, secondo Winter, ha un vantaggio ulteriore: la sua carriera militare. Il Brasile sembra particolarmente incline al governo militare, poiché l’istituzione resta rispettata ed è ritenuta affidabile. A ben guardare, scrive Winter, il vero “periodo eccezionale” potrebbe essere stato quello “degli ultimi trent’anni”, un periodo in cui “l’autorità civile, un certo grado di tolleranza e l’enfasi sulla riduzione delle disuguaglianze erano la regola”. Mai sottovalutare un populista, specie se, come Bolsonaro, ha indossato a lungo la divisa.

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