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Un discorso “normale”

Il Trump che ieri sera ha annunciato al Congresso «un nuovo momento americano» è parente lontanissimo del Trump di Twitter. Il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione è stato, infatti, un discorso “normale”, che può piacere o meno, ma che è privo di trovate incendiarie e non riempie di indignazione i suoi avversari (Transcript: Trump’s First State of the Union Speech, Annotated – The New York Times ).

Anche la settimana scorsa al World Economic Forum, il presidente americano ha fatto un discorso che è stato accolto molto bene dai partecipanti, in larga maggioranza piuttosto scettici sul conto di Trump. Ovviamente, non è detto che il discorso rappresenti davvero un nuovo approccio da parte del presidente (il che sarebbe un enorme passo avanti): Donald Trump potrebbe cambiare idea (e rotta) in ogni momento.

Secondo Fareed Zakaria, la presidenza americana è costituita da tre parti diverse. Trump I è il circo: i tweet, le affermazioni scioccanti ed estreme, gli show sul genere della reality TV. Trump II è il populista e il demagogo che aggredisce le minoranze, la stampa e la magistratura. Trump III è il presidente repubblicano tradizionale che segue un’agenda GOP abbastanza standard: tagli alle tasse, deregulation, una politica estera più aggressiva, guidata da consiglieri tradizionali come il direttore del National Economic Council, Gary Cohn, e il segretario dalla difesa, Jim Mattis. Il circo può divertire, il demagogo inorridire, ma, sostiene Zakaria, il Trump Repubblicano dovrebbe rincuorarci.

Qualsiasi cosa si pensi delle sue politiche, la cosa veramente importante è che Trump, nei panni del tradizionale presidente repubblicano, sta lavorando all’interno del sistema americano anziché cercare di distruggerlo. Può darsi che il peso e le sfide della presidenza abbiano spinto Donald Trump verso un sentiero più sobrio e responsabile, ma è possibile anche che Trump abbia semplicemente deciso, per ora, di schierarsi dalla parte dei suoi consiglieri più moderati. Il presidente americano sembra essere un composto instabile di Trump I, II e III, capace, in una sola giornata, di twittare assurdità e prendersela con le istituzioni democratiche, ma capace poi di promuovere (anche) politiche sensate. Perfino a Davos non è riuscito a trattenersi ed ha attaccato i media e si è lasciato andare ad affermazioni false e fuorvianti.

Stando ai resoconti, l’umore al World Economic Forum quest’anno era improntato all’ottimismo. Il mondo sta sperimentando una crescita globale sincronizzata, qualcosa di molto raro. L’economia americana sta marciando, la ripresa in Europa è solida e il Giappone conosce (inaspettatamente) sette consecutivi quadrimestri di crescita. La Cina continua a rafforzarsi, l’india sta crescendo e l’America Latina, come l’Africa, ha parecchie realtà di successo. I mercati riflettono questo stato di cose e sono quasi tutti in crescita simultaneamente: azioni, bond, immobili, petrolio.

Ma tutto questo ritrovato buonumore cela un’inquietudine di fondo. E il disagio dipende dal fatto che mentre l’economia globale sembra ragionevolmente stabile, la politica globale è invece in tumulto. L’ordine mondiale creato dagli Stati Uniti è sottoposto a un’azione di erosione e nuove grandi potenze stanno entrando in scena, la maggior parte delle quali illiberali, mercantiliste e ottuse. Come sarà il mondo quando la Cina, la Russia, la Turchia e l’India avranno un peso molto maggiore negli affari globali?

In questo contesto, il ruolo, la capacità e le intenzioni degli Stati Uniti e del suo presidente diventano centrali. Se il presidente degli Stati Uniti e la sua amministrazione, in questo periodo, si sentono sciolti da qualsiasi vincolo ed impegno verso il sistema internazionale, i rischi sono maggiori che in passato. Se il presidente americano sembra ostile verso il mondo, indifferente ai valori democratici e di carattere mutevole, i pericoli aumentano. Perciò, vista la posta in palio, quando Trump si comporta come un presidente normale, come ha fatto nei giorni scorsi, possiamo tirare un sospiro di sollievo.

 

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