Giorno dopo giorno, in Myanmar aumentano la violenza ed il caos. Secondo il gruppo di pressione Assistance Association for Political Prisoners, nel corso delle numerosissime dimostrazioni successive al colpo di stato del primo febbraio scorso che ha riportato al potere i militari, le forze di sicurezza hanno ucciso centinaia di manifestanti. Ma, come sostiene Derek J. Mitchell su Foreign Affairs, i governi del mondo non si rendono forse conto di quanto le cose potrebbero aggravarsi, se si dovesse sviluppare un conflitto destabilizzante per l’intera regione con l’esodo conseguente di rifugiati.
I funerali, intimi ma solenni, del principe Filippo non devono trarre in inganno, il Regno Unito potrebbe andare in pezzi. L’Economist ha scritto che la Gran Bretagna è passata dal «Regno Unito» al «Regno sciolto», dato che la Brexit ha incrinato i rapporti tra l’Inghilterra e le altre nazioni che la compongono. La rivista scrive che «l’unione è ora più debole che in qualsiasi momento a memoria d’uomo», sballottata tra la ripresa delle voci sull’indipendenza scozzese e le rivolte in Irlanda del Nord dopo che la Brexit ha infiammato i lealisti creando un confine marittimo che la separa dal resto del Regno Unito.
JRB troverà posto accanto a FDR e LBJ? Il presidente americano Josep Robinette Biden nei giorni scorsi ha presentato l’ultima mossa che punta a trasformare l’economia del paese in modo da dare una mano agli americani che lavorano e non soltanto ai ricchi.
Anche il nuovo presidente americano si trova ora di fronte al dilemma rappresentato dall’Afganistan. Un problema con il quale Joe Biden deve fare i conti prima del primo maggio, il termine stabilito per il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, dove sono state schierate poco dopo gli attacchi dell’11 settembre del 2001 (ma ci siamo anche noi: il contributo italiano attuale prevede l’impiego di circa 800 militari, 145 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei, suddivisi tra personale con sede a Kabul e contingente militare italiano dislocato ad Herat presso il TAAC-W).
Lo scambio di bordate verbali tra i diplomatici americani e le loro controparti cinesi che è andato in scena ad Anchorage, in Alaska, nel corso del primo faccia a faccia tra la nuova amministrazione americana e quella cinese, ha ricordato gli scambi di invettive tra i giganti del wrestling professionistico.
Da un po’ di tempo a questa parte, con il crescere dell’instabilità politica globale e il riaffiorare degli estremismi, nel mondo anglosassone va molto di moda “The Second Coming”, il poema che il poeta irlandese William Butler Yeats scrisse nel 1919 (dopo il conflitto mondiale con i suoi orrori, lo sconvolgimento provocato dalla rivoluzione sovietica, il montare del nazionalismo e della violenza). Uno dei versi più citati recita: “Ogni cosa crolla; il centro non può reggere; e l’anarchia assoluta dilaga sul mondo” (e prosegue: “i migliori mancano di ogni convinzione, mentre i peggiori sono colmi di intensità appassionata”, ecc.). Le parole, e la loro riscoperta, riflettono, ovviamente, un crescente e diffuso senso di incertezza. Ma ci ricordano anche che il populismo di destra non può essere battuto con un populismo di sinistra. Contro il populismo “il centro deve reggere”.
La settimana scorsa, il governo inglese ha annunciato placidamente che, nell’ambito della revisione della propria politica estera e di difesa, aumenterà il numero delle testate nucleari per la prima volta dai tempi della Guerra Fredda. Il numero aggiuntivo di testate di cui il Regno Unito intende dotarsi comporterà un incremento di oltre il 40% dell’attuale arsenale nucleare e rappresenta un evento senza precedenti.
A 32 anni dai fatti di Piazza Tienanmen, l’Unione europea è tornata a sanzionare la Cina. E lo ha fatto in coppia con gli Stati Uniti. Nel mirino dell’inedita risposta coordinata delle democrazie liberali, ci sono le azioni repressive di Pechino, dagli oltre 9.000 arresti durante le proteste di Hong Kong del biennio 2019-2020 alla continua violazione dei diritti umani e civili della minoranza islamica e turcofona degli uiguri, nella regione autonoma di Xinjiang.
Negli Stati Uniti un partenariato pubblico-privato con 40 mila punti di somministrazione. La difficile via italiana, con le chiusure del mercato e le liberalizzazioni tradotte in compromessi. Ora contro il Covid si fa avanti Coop
Come sappiamo, nonostante le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e dell’Agenzia europea per i medicinali (EMA) assicurino che non c’è motivo di ritenere che il vaccino contro il Covid-19 di AstraZeneca provochi trombosi, una serie di paesi europei (compreso il nostro) hanno sospeso temporaneamente le vaccinazioni, dopo che si sono registrati alcuni casi di decesso dopo la somministrazione del vaccino. E la lista dei paesi che sospendono l’uso del vaccino continua a crescere: ieri si sono aggiunti Cipro, il Lussemburgo, la Lettonia e la Svezia.