Il deputato isontino del Pd avrebbe voluto le primarie: «Ha vinto la paura del salto nel buio»
UDINE «Obama ha vinto grazie all’audacia e con l’audacia della speranza ha indotto gli americani a spendersi per il cambiamento. All’assemblea del Pd è mancato invece il coraggio. Ha prevalso la paura del salto nel buio». Alessandro Maran, deputato isontino, capogruppo del Partito democratico nella commissione Esteri, avrebbe voluto le primarie, il cambiamento subito, una leadership non preordinata a tavolino. Non è andata così. Ma adesso, se il Pd vuole davvero riemergere, «servono politiche nuove».
Maran, il Pd esce più forte o più debole dopo la nomina a segretario di Franceschini?
Non cambia nulla. La crisi del partito è il frutto di un cambiamento molte volte promesso e molte volte rinviato e contraddetto. Per affrontare la crisi del Pd non serve un patto tra dirigenti, ma la trasparenza di una battaglia politica tra linee e leadership alternative.
Le primarie?
Sarebbero state un atto di coraggio, un modo per dire ai cittadini: il Pd non appartiene a una oligarchia ma ai cittadini; ci fidiamo della vostro giudizio e vi chiediamo fiducia.
Meno della metà dei delegati attesi in assemblea, un segnale di disaffezione?
Stupisce che in queste condizioni qualcuno abbia pensato che partecipare non servisse granché?
È stata la vittoria della nomenclatura?
È stata la vittoria della paura di un vuoto di direzione e di un confronto politico lacerante. Ma chi vuole governare il processo di cambiamento del Paese avrebbe invece bisogno dell’audacia che ha consentito a Obama di vincere. Per radicare il partito servono identità e politiche nuove.
Paura anche che qualche volto nuovo spazzasse via il vecchio?
Non credo. Il poco tempo avrebbe anzi favorito i soliti noti. Da qui a ottobre, speriamo, potranno emergere linee politiche nuove. Perché è certo: il vecchio gruppo dirigente ha terminato il suo compito.
Ma Franceschini è vecchio o nuovo?
Sarebbe sbagliato collocarlo nel passato. Il punto è mantenere le parole che abbiamo detto in campagna elettorale e batterci perché le riforme si facciano e non per bloccarle.
Ci sono vittoriosi e sconfitti post-assemblea?
No. Spetta a tutto il partito ricostruire un rapporto di fiducia tra classe dirigente ed elettori che sembra sfaldarsi.
Visto dal punto di vista del vostro elettore: dopo Veltroni, il suo vice. Che cosa cambia?
Veltroni ha creduto di compiere un gesto che fosse utile a salvare il Pd. Se avessimo svolto il congresso subito dopo le elezioni, non saremmo arrivati al logoramento del segretario. Il problema oggi come allora non è rompere il partito, il problema è scegliere. Tocca a Franceschini.
La rinuncia alla conta di Bersani?
Sorprende che chi si era candidato a guidare il partito abbia poi evitato di farlo alla prima occasione. A ottobre, credo, ci sarà. E, in ogni caso, più candidati ci saranno, meglio sarà.
Franceschini ha garantito che lavorerà in autonomia. Ce la farà?
È la condizione per avviare un confronto esplicito.
Ha anche detto che il suo sarà un ruolo di servizio. Servizio per perdere europee e amministrative?
Mi auguro che in questi mesi si lavori tutti insieme per evitare una nuova sconfitta elettorale. Del resto, l’argomento di chi non ha voluto le primarie era proprio questo.
Il discorso del nuovo segretario?
Molto netto sulla collocazione internazionale del partito, sulla laicità dello Stato, sulla libertà di scelta.
Non è mancata la solita «filippica» anti – Berlusconi.
Il vero problema è che è mancata un’analisi più profonda della società italiana. Berlusconi non è il pifferaio magico, il manipolatore, non è nemmeno la causa del cambiamento ma, piuttosto, il suo sintomo più vistoso. Il collasso del sistema educativo italiano, la stagnazione degli investimenti, i problemi delle reti infrastrutturali non nascono con Berlusconi ma precedono la sua discesa in campo. Alle volte diamo l’impressione di sapere benissimo come deve essere la società italiana ma di non sapere com’è.
Ottimista?
Mi sono battuto per le primarie, ma adesso si tratta di unire le forze per tornare a parlare al Paese.
Cacciari, Chiamparino, Franceschini. Chi a ottobre?
Sbagliato ripartire dai nomi. Ci siamo sin qui aggrappati attorno a un leader carismatico e ci è andata male. Partiamo piuttosto da un confronto politico trasparente. Da quel confronto emergeranno nuovi gruppi dirigenti, nuove personalità.
Un Obama non si vede però all’orizzonte.
Per molto tempo non lo hanno visto nemmeno gli americani. Sono servite le primarie e un anno di scontro durissimo per farlo conoscere.
Se aspettate troppo, qualcuno entrerà nell’Udc…
Non credo. Il bipolarismo è assestato, non c’è spazio per un centro che possa incidere da solo. A meno che Berlusconi non vada alle Bahamas, il quadro non cambierà.
Marco Ballico