Intervista.
Attesta che per natura gli schieramenti sono permeabili, che vincere la Regione nel 2013 è possibile. Ma non con Riccardo Illy, che considera un film già visto e senza lieto fine, bensì con la segretaria regionale del Pd Debora Serracchiani, che ormai impersona «una candidatura obbligata».
Alessandro Maran, eletto a Gorizia, vicecapogruppo dei Democratici alla Camera e intellettuale della famiglia Pd, ha appena finito una partitella di calcio sul campo della Casa Faidutti a Bagni di Lusnizza, nelle Alpi Giulie. È l’epilogo dell’ormai collaudato seminario di geopolitica organizzato ogni anno dagli amici dell’Università di Trieste, dove ti insegnano a guardare la storia della frontiera sul campo eanche dall’altra parte. Ha una caviglia gonfia, s’è fatto male all’ultimo minuto. Come tutti gli anni. Lo fasciano con l’ossido di zinco, ma appena gli parli di politica il dolore non esiste più.
Onorevole Maran, lei dice Serracchiani e non Illy. Ma pare che nel Centrodestra temano più Illy.
«Se Debora non si candidasse – e credo lo annuncerà a breve – dovremmo ammainare definitivamente la bandiera di referenti del Centrosinistra, posto che quello sia ancora il nostro progetto».
D’accordo: Serracchiani. Ma con quale cartello elettorale?
«Esistono due opzioni. La prima: assemblare un’alleanza “da Bertinotti a Mastella”, come si diceva una volta, con l’esclusivo denominatore comune dell’avversario da battere: Renzo Tondo».
Oppure?
«Condividere le idee “per” e non “contro”. Occorrono tre cose: consenso, programma, leader».
Nobili parole. Ma fra la ragion pura e la ragion pratica il guado è profondo.
«La questione non è conquistare il Centrosinistra, non è lì che si vince. È imprescindibile fare breccia nelle coscienze e nella testa di chi ha votato per il Centrodestra».
E Sergio Bolzonello, lo ha archiviato tout court?
«Tutt’altro. Lui impersona la dimensione civica, penso a una grande lista civica da lui guidata, o meglio a più liste civiche locali».
Per poi fare tandem Serracchiani presidente e Bolzonello suo vice plenipotenziario?
«Non mi pare una cattiva idea».
Ma sia sincero: perché non Illy? Non è in politica, è un bel nome. La rivincita – ma lui non vuole chiamarla così – sarebbe una finale da Champions League.
«La verità è che appartiene a una stagione passata. Nel 2003 partimmo da una Lista Illy e tutti lavorarono attorno . Ma noi esercitammo allora un passivo servizio alla leadership . In realtà Illy, al di là di quanto ha detto al Gazzettino , non accetta il Pd ma piuttosto l’idea di un contenitore dove si riproduca la logica dell’Unione».
E perché non andrebbe bene?
«Perché allora la scelta di Illy fu dettata soprattutto dalla necessità di depotenziare il conflitto destra-sinistra: niente cosacchi alla fontana di San Pietro. Questo era il messaggio, per intenderci».
Oggi invece di “rosso” nel Pd non c’è più nessuno, dice lei.
«Oggi il Pd ha senso per conquistare il voto degli altri reggendo la guida della coalizione, niente servizi ad altri. Ma abbiamo stentato ad adeguare l’offerta – cioè le cose da fare per i cittadini – all’evoluzione della società».
Se è per questo, il nodo resta irrisolto. Massimo Cacciari afferma in questi giorni che il Pd non riesce a rispondere alle istanze del Nord nemmeno dopo la grande crisi di Pdl e Lega.
«Siamo in forte ritardo. Il Pd non è riuscito ad adeguarsi, ripeto. Non ha fatto come i New Labour in Gran Bretagna, la Spd in Germania. Obama con i Dem».
Cronache di una nuova Caporetto elettorale?
«Non necessariamente. Certo, c’è Grillo con cui fare i conti. E vale 10 punti percentuali se va bene. Ma non si tradiscono gli operai se si mettono in campo misure contro la burocrazia (e la corruzione). Se si punta a tagliare le troppe tasse del Nord».
Quasi quasi parla da Centrodestra.
«Ecco il punto: dobbiamo essere noi il nuovo Centro, certo non con i valori degli altri ma con i nostri. Il Centro non è soltanto cattolico: il vero Centro è la parte innovativa del Paese, quella che continua la conoscenza».
Già, ma come convincerete un elettore moderato a votarvi?
«Aggredendo i problemi reali con la testa al futuro e al mondo reale, cementando i programmi nella figura del leader. Più competenze regionali sul lavoro, più integrazione fra università, scuola gestita in Friuli Venezia Giulia. E meno carte. È vero: possiamo fare da apripista nazionale. Se invece assembleremo ancora entità troppo eterogenee, magari vinciamo anche. Ma non governeremo affatto: l’alleanza imploderà».