GIORNALI2012

qdR magazine settimanale di propaganda riformista, numero 72 del 31 luglio 2012 – Quella collaborazione necessaria

Sostiene Bersani che «l’Italia ha diritto ad una democrazia che funzioni con due polmoni, a uscire dall’eccezionalità». Giusto. Ma l’Italia ha anche diritto a rapporti tra i partiti più distesi, riformisti, costituenti. Diciamolo chiaramente: il nostro Paese non potrà ritrovare la propria strada in un clima di «guerra civile» permanente.  Con l’aria che tira, di fronte alle prove molto dure che l’Italia deve affrontare nel quadro della crisi che ha investito l’Europa, occorre una coesione sociale e nazionale straordinaria. Oltretutto, senza un’azione collettiva non possiamo sistemare quel che (da tempo) ha bisogno di essere aggiustato. Non per caso, da tempo il Presidente Napolitano ha sottolineato che «è indispensabile un riavvicinamento tra i campi politici contrapposti, il che non significa confondersi, non significa rinunciare alle rispettive identità, ma significa condividere gli sforzi che sono indispensabili per riaprire all’Italia una prospettiva di sviluppo e anche per ridare all’Italia il ruolo e il prestigio che le spetta nella comunità europea e nella comunità internazionale».

Ovviamente, la polarizzazione del sistema politico, lo scontro permanente, sono anche il prodotto di forze profonde (economiche, sociali, tecnologiche, ecc.) che hanno modellato la società per più di mezzo secolo. Ma un sistema così polarizzato non può fornire le risposte alle principali sfide di oggi di cui il Paese ha bisogno.

Non è un’esclusiva dell’Italia. In questi anni, ad esempio, la hyper-partisanship ha paralizzato Wahington e polarizzato l’America. Specie al giorno d’oggi, come ammoniva Thomas Jefferson, «le grandi innovazioni non dovrebbero essere imposte da una maggioranza esigua». Ma se anche fosse in grado di farlo, non sarebbe necessariamente un bene, poiché nessun partito, da solo, ha tutte le risposte per affrontare la globalizzazione, la rivoluzione tecnologica, il debito, il deficit, i problemi energetici, l’emergere di un ordine internazionale multipolare, ecc. Anzi, il più delle volte, avremmo bisogno di un cocktail, di una combinazione del meglio, sia della destra che della sinistra. Diversamente, andare avanti e indietro tra le due posizioni estreme dei partiti, disfando dopo ogni elezione quel che si è fatto la volta precedente, non risolverà nulla.

Ma c’è dell’altro. In questi anni, il rancore fazioso, la sfiducia reciproca e la conseguente paralisi sulle questioni più importanti per il futuro del Paese, hanno fatto (com’era prevedibile) una pessima impressione sugli elettori. Il che ha condotto ad una perdita di credibilità per tutti i leader politici. In Italia come in America. Thomans L. Friedman e Michael Mandelbaum (in un bel libro scritto a quattro mani: «That Used To Be Us: What Went Wrong with America – and How It Can Come Back») scrivono che la nonna materna di quest’ultimo (che emigrò negli Stati Uniti dall’Europa dell’Est nella prima parte del secolo scorso) una volta gli raccontò del dibattito a tre tra i candidati a sindaco nella città di New York. Dopo che il Repubblicano e il Democratico ebbero parlato, il candidato Socialista cominciò il suo discorso con queste parole:«Voglio dirvi che potete credere a quel che dicono i miei avversari. E’ vero. Sono qui per garantire della loro sincerità. Quando il Democratico vi dice che il Repubblicano non va bene, gli potete credere. E quando il Repubblicano vi dice che il Democratico non vale niente, potete credere anche a lui». Evidentemente, il popolo americano (non diversamente da quello italiano) ha finito per credere a quel che Repubblicani e Democratici hanno detto gli uni degli altri e, come risultato, la considerazione pubblica della politica è caduta al minimo storico.

E’ un costo enorme. Come ha osservato il columnist del Wall Street Journal, Gerlald Seib:«L’America e i suoi leader politici, dopo due decenni in cui non sono riusciti ad unirsi per risolvere i grandi problemi, sembra abbiano perduto fiducia nella loro capacità di poterlo fare. Un sistema politico che si aspetta l’insuccesso, non ci prova neppure a produrre qualcosa di diverso». In America la politica oggi è quasi come un parassita che si nutre dell’interesse nazionale per procurarsi un vantaggio temporaneo. Ma «se non salviamo il negozio – ha rilevato Mike Murphy, un veterano delle campagne repubblicane – le dispute tra destra e sinistra, tra mele e arance, saranno irrilevanti. Lavoreremo tutti al TGI Friday’s a Pechino».

Il fatto è che la pubblicità negativa funziona, ma bisogna fare attenzione. Perché McDonald non ha mai condotto una pubblicità negativa contro Burger King, dicendo, tanto per fare un esempio, che i loro burger sono pieni di vermi? Perché avrebbe potuto funzionare per un po’, ma poi nessuno avrebbe più voluto mangiare un altro hamburger. «Mai distruggere la categoria», dicono in America. Ora invece, proprio nel momento in cui avremmo bisogno che la politica fosse più credibile e più costruttiva, in grado, insomma, di delineare e perseguire il nostro interesse nazionale, abbiamo «distrutto la categoria».

In fondo, mentre la legislatura si avvia a concludersi e da più parti sembra cominciare l’operazione di sganciamento da Monti e dalla «strana» maggioranza, non sarebbe male tenere a mente che il governo Monti, e cioè l’attuale collaborazione tra diversi, si fonda sulla consapevolezza della gravità della crisi. Ed è probabile che entrambe (una crisi non transitoria e una collaborazione necessaria) siano destinate a durare.

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