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Messaggero Veneto, 30 dicembre 2012 – Maran: «Non sarebbe male per i democratici collaborare con Monti»

Dunque, Mario Monti «sale» in politica, impegnandosi direttamente nella sfida delle urne. Ma, mi chiedo, che ragione c’è di temere la «salita in politica» di Monti? Accantoniamo, per un momento, alcune questioni fondamentali e le preoccupazioni personali su chi farebbe il premier. Che, con l’implosione del partito personale inventato e portato al successo da Berlusconi, la ristrutturazione del centrodestra italiano prenda (sul serio) a modello il Ppe e provi a gettare le basi, con Monti, di una formazione in qualche modo riconducibile al centrodestra europeo, ponendo un argine alle forze populiste e antieuropee e sanando l’anomalia rappresentata da Berlusconi, non è un processo che andrebbe incoraggiato nell’interesse del paese? E che l’area moderata abbia una figura capace di coagulare consenso, attraendo elettori e limitando le uscite in direzione dei partiti antisistema, verso quel che resta del Pdl o verso l’astensione, non dovrebbe interessare anche il Pd? Sbaglierò, ma non trovo «illogico» e neppure «moralmente discutibile» che il Professore scenda in campo per favorire questo processo. Ma non si era detto, lamentando un bipolarismo «forzoso e incivile», che il problema fondamentale dell’Italia era l’«emergenza democratica»? Possibile che in Italia dobbiamo rassegnarci all’alternativa tra «comunisti» e «farabutti»? Oltretutto, mi sembra che, anche dal punto di vista del Pd, poter contare su una formazione (europea) con la quale (se occorre) allearsi e, comunque, condividere gli sforzi nel corso dei mesi che verranno, non sarebbe poi male. Specie se si considera che, in ogni caso, Berlusconi e Lega potrebbero aggiudicarsi il premio regionale (al Senato) in Veneto e Lombardia e, dunque, non è affatto detto che ci sia una maggioranza in quella Camera. Tutto considerato, un Pd che potrebbe vincere le elezioni, e che dovrebbe preoccuparsi del buon funzionamento del sistema, ha interesse ad avere di fronte un centro solido e non frammentato, con cui poi collaborare. Specie se si considera che le indicazioni dell’«agenda per un impegno comune» presentata da Mario Monti sono certamente compatibili con gli orientamenti programmatici di un grande partito europeo di centrosinistra quale è il Pd. Non per caso, gli osservatori rilevano una più accentuata presenza di favorevoli alla possibile candidatura di Mario Monti non solo nell’elettorato dell’Udc, «ma anche in quello stesso del Pd: quasi metà (44%) dei votanti per il partito di Bersani dichiara di auspicare la candidatura del professore». Del resto, da tempo il presidente Napolitano non fa che ripetere che «l’Italia non può ritrovare la sua strada in un clima di guerra politica» e non perde occasione per ribadire che è indispensabile un riavvicinamento tra i campi politici contrapposti, il che non significa confondersi, non significa rinunciare alle rispettive identità, ma significa condividere gli sforzi che sono indispensabili per riaprire all’Italia una prospettiva di sviluppo e anche per ridare all’Italia il ruolo e il prestigio che le spetta nella comunità europea e internazionale.

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