GIORNALI2013

Il Piccolo, 11 gennaio 2013 – «Il Pd mi ha tradito. E ho detto sì a Ichino»

 

Assicura che «nulla è ancora definitivo». Ma, in serata, scioglie le riserve: «Ho accettato la proposta di Pietro Ichino di correre come capolista al Senato per “Scelta civica” di Mario Monti in Friuli Venezia Giulia». Alessandro Maran, deputato goriziano uscente del Pd, è la sorpresa maggiore delle liste in regione. E spiega perché, in due giorni, è cambiato tutto. Maran, aveva appena detto di credere nel progetto del Pd, e invece? Ho preso atto che mi hanno sbattuto fuori. Ma il partito non è oggetto di un atto di fede. Non è casa, chiesa e famiglia. Va con Monti, dunque, perché è stato escluso dalle liste del Pd? Non è un caso personale, ci hanno messo alla porta. Bersani ha scelto di «silenziare» l’ala destra del partito. C’è la volontà di restringere i confini del Pd marcando una frontiera netta con Monti. Rivelando oltretutto una concezione limitata del pluralismo interno. Per i «montiani» non c’è più posto nel Pd. Se n’è accorto in ritardo? È il fatto nuovo delle ultime ore. Intollerabile. Com’è arrivata la proposta della lista Monti? Da Ichino, un amico. Ci ho pensato e ho deciso di accettare. Perché non ha partecipato alle primarie? Il metodo presupponeva un consenso territorialmente molto concentrato e il sostegno della corrente di maggioranza. Non è il mio caso. Un esito già scritto? Collegi provinciali con effetti localistici, tre giorni di campagna elettorale, limitata solo all’elettorato di appartenenza, mobilitabile dagli eletti locali o dal principale sindacato di riferimento. La scelta della commissione nazionale di consentire al lettiano Brandolin di gareggiare, liberando così un posto in Consiglio regionale, ha poi chiuso la partita. Il partito le aveva prospettato una soluzione? Neppure una telefonata. Deluso? Ho avuto il privilegio di servire l’Italia in uno dei periodi più difficili. E mi sono battuto coerentemente per dar vita, con il Pd, a un grande partito riformista, capace di svolgere la stessa funzione politica che nei principali Paesi europei è dei partiti socialdemocratici. Sono orgoglioso e ringrazio gli elettori e i militanti per la fiducia che mi hanno accordato. Giusto rinnovare? Certo che bisogna rinnovare. Ma non abbiamo bisogno di nuovi interpreti delle vecchie idee. Abbiamo bisogno di idee nuove. Di teste nuove, non di facce nuove. Il modo è un imbroglio. L’appello al popolo ha rilegittimato il gruppo dirigente «centrale», che si è garantito e resta intatto, tanto che si dice che D’Alema sarà ministro, facendo rotolare le teste degli oppositori interni e di qualche dirigente periferico. Come in Cina. Come ha agito Debora Serracchiani? Ha fatto quel che poteva. E le correnti sono accontentate. Perché Monti ha fatto bene a scendere in campo?Vogliamo mettere una argine alla destra antieuropea, sì o no? Vogliamo mettere in mora il conservatorismo che si nasconde sia a destra che a sinistra? Sono le condizioni per far ripartire il Paese. Che cosa auspica dal punto di vista elettorale? Comunque vada, non si potrà prescindere da un rapporto positivo tra le uniche due realtà dotate di cultura di governo, il Pd e Monti, di fronte alle tre proposte populiste di Ingroia, Grillo e Berlusconi. Il futuro del Pd? Il Pd è distante dal partito aperto e plurale che si era immaginato all’inizio. Ha trovato consenso su una deriva identitaria. Lo slogan congressuale di Bersani («Trovare un senso a questa storia»), dove l’uso della storia è al singolare, era rivelatore. È prevalsa la logica di chi, per paura, sotterra i talenti, ripiega sulle tradizioni consolidate. Un tradimento.

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