Il Pd di Bersani ha eliminato un’intera area politico-culturale
The Report, 2 febbraio 2013
di Giacomo Lagona
Alessandro Maran è attualmente capogruppo del Partito Democratico in Commissione Esteri e Vice Presidente del gruppo parlamentare del Pd alla Camera. È stato eletto per la prima volta alla Camera dei Deputati per l’Ulivo con il sistema maggioritario nel collegio di Gorizia; una seconda volta col Porcellum nel 2006 ed una terza nel 2008. Lo scorso anno, alle primarie del centrosinistra, ha appoggiato la candidatura a premier della coalizione del sindaco di Firenze Matteo Renzi. Alle primarie per i parlamentari del 30 dicembre scorso non ha partecipato; dopo pochi giorni ha accettato la candidatura al Senato, per le politiche del 24 e 25 febbraio, come capolista in Friuli Venezia Giulia con la lista “Con Monti per l’Italia“. L’abbiamo incontrato a Gorizia e ci siamo soffermati sugli avvenimenti che hanno reso possibile il suo passaggio dal Pd a Monti.
Onorevole Maran, l’ultima volta che ci siamo incontrati è stato ad un evento per le primarie del centrosinistra nel quale eravamo entrambi relatori. Nel frattempo Bersani ha vinto quelle primarie, si sono fatte le Parlamentarie del Pd – dove tra l’altro lei non si è nemmeno candidato – e il successivo passaggio dai Democratici a Scelta Civica con Monti. È successo di tutto in questi pochi mesi, anzi: ci spiega cosa è successo?
– In poche parole, Bersani ha scelto di silenziare l’ala destra del partito. L’area politica che in questi mesi ha ininterrottamente sottolineato l’esigenza di porre l’Agenda Monti al centro della prossima legislatura. Il che, ovviamente, non significa ignorare gli errori e le lacune nell’operato del governo Monti nel corso di quest’anno. Il punto cruciale non è neppure il ruolo istituzionale che avrà Monti dal marzo prossimo, ma quell’Agenda, cioè la nostra strategia europea, le riforme necessarie per la piena integrazione dell’Italia nella nuova Europa. Questo è oggi il discrimine fondamentale della politica italiana. Abbiamo lavorato perché il Pd resti saldamente sul versante giusto rispetto a questo spartiacque. Ma ci hanno messo alla porta. Salvo Giorgio Tonini (ma solo perché in Trentino si vota con il Mattarellum), nessuno dei parlamentari democratici che hanno promosso l’appello e le assemblee nel luglio scorso e poi ancora a settembre è stato ricandidato. Ho preso atto che per i “montiani” non c’è più posto nel Pd.
Tra gli esclusi del Pd alle politiche di fine mese, in molti hanno appoggiato Matteo Renzi alle primarie. Se inizialmente si poteva pensare ad una sorta di vendetta postuma dell’establishment verso quel 5% scarso di parlamentari che avevano appoggiato il sindaco di Firenze, all’indomani della presentazione delle liste si è notato come il taglio sia stato trasversale e bipartisan. Perché Alessandro Maran non è in quella lista? È plausibile che il suo lavoro in commissione Esteri e come vice capogruppo alla Camera non sia stato apprezzato da qualcuno in grado di gestire profondamente le candidature? Insomma Maran, chi è il suo nemico?
– Non è un caso personale. C’è una volontà evidente di restringere i confini del Pd marcando una frontiera netta con Monti. Il Pd ha scelto di bandire una precisa area politico-culturale: non solo da una lista elettorale, ma dallo stesso progetto politico del partito. E mentre si libera di parlamentari competenti e preparati come Stefano Ceccanti o Lanfranco Tenaglia, candida Mario Tronti. Il fatto è che il Pd ha trovato consenso su una deriva identitaria. Lo slogan congressuale di Bersani («Trovare un senso a questa storia»), dove l’uso della storia è al singolare, era rivelatore. E’ prevalsa la logica di chi, per paura, sotterra i talenti, ripiega sulle tradizioni consolidate. Un tradimento.
Appena due giorni prima che annunciasse il passaggio con Monti, lei scrisse sul suo sito che le voci che circolavano su un suo presunto accasamento con il Presidente del Consiglio erano tutte baggianate giornalistiche. Due giorni dopo quellebaggianate sono risultate fondate. Pur considerando che Bersani, secondo alcuni detrattori, avrebbe giocato sporco non includendo nel suo listino quei parlamentari con competenze specifiche come potrebbero essere le sue; tra l’opinione pubblica serpeggia invece l’idea che il suo accasamento con Monti sia dovuto esclusivamente all’arte tutta politica di tenersi stretta la poltrona anche quando sarebbe il caso di mollarla. Cosa è successo di tanto importante in due giorni da farle cambiare idea?
– Ciascuno è libero di pensarla come crede, ma se avessi pensato unicamente alla “poltrona” in questi anni mi sarebbe bastato stare con la maggioranza e sostenere Bersani. Come hanno fatto in tanti. Anche quelli che si erano schierati dalla parte opposta, prima con Veltroni e poi con Franceschini. Sarebbe bastato che mi adeguassi alla maggioranza e tenessi la bocca chiusa anziché battermi apertamente con l’iniziativa per l’Agenda Monti e una grande quantità di interventi e prese di posizione che chiunque può trovare sul mio sito. Ora che per me non ci sia posto in lista può capitare. Che non ci sia posto per un’intera area politico culturale è inammissibile. E di questo ho preso atto solo dopo la riunione della Direzione nazionale. Il che spiega l’incoerenza tra le due dichiarazioni e rivela anche che non avevo architettato la fuga.
Lei ha deciso di sostenere Monti e di candidarsi come capolista al Senato nella circoscrizione Friuli Venezia Giulia. Che tipo di risultato personale si aspetta, e che tipo di risultato della lista in regione?
– Oggi la scelta che il Paese deve compiere è quella pro o contro la profonda trasformazione dell’Italia. E’ su questa scelta che dovrebbe concentrasi la campagna elettorale. Mi aspetto che gli italiani comprendano la posta in gioco e sostengano lo sforzo di Mario Monti. Sarebbe una novità “eversiva”, in grado di scompaginare in bipolarismo belluino del recente passato.
Tra le regioni che entro l’estate cambieranno amministrazione, ad aprile si voterà anche nel suo FVG. Tutti i sondaggi danno Debora Serracchiani (csx) e Renzo Tondo (cdx) praticamente a pari merito; considerando l’uscita del capogruppo regionale Pd Moretton – in procinto di creare una lista civica regionale per Monti – e tenendo ben presente che la legge elettorale regionale prevede l’elezione automatica solo per i due candidati governatori che si piazzeranno in testa, secondo lei come si posizionerà un’ipotetica lista Monti regionale, e quale sarà lo scenario politico nella sua regione dopo le elezioni di aprile?
– Oggi il vero discrimine della politica italiana non è quello tra la sinistra di Bersani-Vendola e la destra di Berlusconi-Maroni. Il vero discrimine è tra chi è convinto della strategia che abbiamo concordato con i nostri partner europei per uscire insieme dalla crisi, e quanti, (come Vendola, Berlusconi, Maroni e parecchi dirigenti del Pd) sono convinti che proprio quella strategia sia la causa dei nostri mali. Queste sono le due alternative tra cui gli italiani devono scegliere il 24 febbraio. La “salita in campo” di Mario Monti mira a creare un nuovo bipolarismo positivo, sulla linea di discrimine che conta davvero per il Paese. Vale anche per la nostra Regione, che dovremmo provare finalmente rivoltare come un calzino. Una nuova formazione concorrenziale con la vecchia destra e la vecchia sinistra potrebbe buttare all’aria i vecchi equilibri. Alle primarie, lo slogan di Renzi (e prima ancora quello di Franceschini) era “Adesso!”. Non “dopo” o “tra un’po’”. Adesso! E non ho cambiato idea.
Perché non ha partecipato alle primarie per i parlamentari?
– Le primarie sottintendono un confronto. E il confronto, tra Santo Stefano e l’ultimo dell’anno, non ci poteva essere. Il metodo prescelto presupponeva un consenso territorialmente molto concentrato e il sostegno della corrente di maggioranza del partito. Non è il mio caso. L’esito era già scritto: collegi provinciali con effetti localistici, tre giorni di campagna elettorale, limitata oltretutto solo all’elettorato di appartenenza, mobilitabile dagli eletti locali o dal principale sindacato di riferimento, ecc. La scelta della commissione nazionale di consentire a Brandolin (lettiano) di gareggiare, unico caso in regione, liberando così un posto in Consiglio regionale per il segretario provinciale ha poi chiuso la partita. L’appello al popolo ha rilegittimato il gruppo dirigente «centrale» (che si è garantito e resta intatto, tanto che si dice che D’Alema farà il Ministro) facendo rotolare le teste degli oppositori interni e di qualche dirigente periferico. Come in Cina, durante la Rivoluzione culturale. Non mi dirà che l’ordine delle liste del Pd tiene conto dell’esito delle primarie? E il capolista del Pd al Senato ha fatto le primarie?
Nessuna legge elettorale e nessuna elezione è perfetta, lo sappiamo tutti, figuriamoci quindi delle primarie organizzate appena un mese prima del voto…