Maran: il Pd è cambiato
Ora posso tornare a casa
Il senatore: mi isolarono perché stavo con Renzi, oggi sono tutti schierati con lui
«Io ho votato la legge elettorale, a differenza dei colleghi Sonego e Pegorer»
di Domenico Pecile – UDINE «Sono uno dei fondatori del Pd. Del resto, sono sempre stato un riformista, un socialista liberale. Per questo posso dire che tutto ciò che oggi sta accadendo nel Partito democratico è in perfetta linea con quello che ho sempre pensato». Parola di Alessandro Maran, il senatore Fvg di Scelta civica che ha deciso di chiudere quell’esperienza per tornare nel Pd. Non è un semplice ritorno all’ovile, ma un processo pressochè ineludibile? «Sono andato via dal Pd di Bersani e Vendola e siamo tornati nel Pd che sognavamo all’inizio come ci ha detto Renzi». E cosa vi ha detto Renzi? «Riferendosi a Scelta civica ci ha chiesto “cosa ci fate ancora lì? Voi dovete tornare qui perché siete di un’altra pasta”». Lei concorda di essere di un’altra pasta? «Io ero semplicemente distante dal Pd, anzi, da quel Pd che perse le elezioni del 2013. L’anno precedente c’erano state le primarie e io ero già decisamente filo-renziano. Ma eravamo davvero in pochi». In quanti? Quella volta tra Camera e Senato eravamo in otto. Sì, soltanto in otto. Oggi, a distanza di un anno e mezzo sono tutti renziani». Lo dice con un po’ di acredine o sbaglio? «No, assolutamente nessun rancore. Però sono piccole soddisfazioni». Lei dunque lasciò il Pd proprio alla vigilia delle elezioni del 2013. Perché? «Perché tutta la corrente riformista era stata espulsa, cacciata. Posta ai margini. La linea politica era quella di un partito identitario vecchio». E Scelta civica? «Serviva per affermare la nostra identità. E da lì guardavo con un certo orgoglio all’ascesa di Renzi». Per quale motivo si sentiva orgoglioso? «Per avere anticipato proprio in Scelta civica la parte più innovativa del Governo Renzi». Ad esempio? «Su lavoro, riforme istituzionali e della pubblica amministrazione. Le nostre idee sono diventate le idee del Pd. Credo sia vero che abbiamo fornito un contributo decisivo alle riforme. Dopodiché…». Dopodichè? «Siamo anche consapevoli che nessun passo avanti sarebbe stato possibile se non ci fosse stato Renzi. Senza Renzi non ci sarebbero riforme. E questo dev’essere ben chiaro a tutti». Ritiene davvero che Renzi sia così essenziale per le riforme? «Prendiamo il Job act. Tutti sanno che si chiama di fatto Pietro Ichino. Ma tutti sanno anche che senza Renzi quella riforma non avrebbe fatto un solo passo avanti. Oggi la nostra agenda di allora è quella del Pd. Anche di quelli che ci avevano messo ai margini del partito». Ed è per questo che adesso stare in Scelta civica non ha più senso? «Sì, ora tutto si è rimesso a posto. Renzi è finalmente saldo in sella». Come la vedono quelli del Pd adesso che è rientrato? «Non lo so e non è un mio problema. Mi batto per le mie idee». E chi ripete che lei se ne andò dai democratici per essere sicuro di avere un seggio “garantito” che cosa si sente di rispondere? «Che se quello era l’obiettivo sarebbe bastato stare con Bersani. Per essere candidati era sufficiente fare i bravi». Dei colleghi regionali del Pd con chi ha buoni rapporti? «Con tutti. La mia priorità, lo ripeto, sono le battaglie politiche. E su questo mi confronto». Certamente, ma i bersaniani nel Pd del Fvg ci sono ancora, eccome… «Un paio di settimane fa Scelta civica ha votato la legge elettorale di Renzi, mentre una parte della minoranza del Pd, tra cui Sonego e Pegorer, non l’ha votata. Anche in quella circostanza ho preso atto che la politica del Pd era la mia». Quando in questi giorni la Serracchiani ha tuonato contro il patto del Nazareno, a suo avviso lo ha fatto forte della consapevolezza del vostro imminente arrivo? «Non lo so. Non credo. Noi ci siamo preoccupati soltanto di consolidare la prospettiva delle riforme». Ma lei su questo aveva sentito Serracchiani? «No, avevo parlato con Renzi e alcuni senatori». Quando pensa di incontrare Serracchiani? «In qualsiasi occasione utile. La incontravo anche quando ero in Scelta civica. Erano rapporti formali, o meglio, istituzionali. Ma non c’è mai stato del rancore». Come vede il Partito democratico del Fvg? «Con l’avvento di Renzi il Pd dovrà fare una cosa molto semplice». Quale? «Scegliere di competere al centro e di non confermare l’identità del passato. Dovrà poi convincere gli elettori degli avversari e dunque dovrà cambiare. Ovvio che anche in Fvg il Pd ha capacità espansive e di consolidamento. E può contendere ad altre forze politiche gli elettori centristi e quelli più interessati al cambiamento perché è il Pd che è cambiato». Ci sarà lo strappo a sinistra? «C’è già stato. Il Pd ha già scelto di collocarsi al centro». Ci saranno uscite dal Pd? «Non credo perché non si torna al passato. La sinistra non può ricostruire la sinistra del ’900». Tsipras in poche righe? «È il prodotto di una crisi che io vorrei l’Italia potesse evitare. Tsipras è anche il prodotto di un fallimento e della disperata voglia di uscirne. Noi possiamo evitare tutto questo facendo le riforme necessarie. Infine, Tsipras si allea con la destra per governare perchè la frattura politica non è tra destra e sinistra ma chi tra vuole andare avanti con l’Europa e chi vuole uscirne». Come chi? «Come Salvini, ad esempio». ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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Da riformista nel Pci
allo strappo del 2013
Alessandro Maran si definisce ferreo riformista da sempre. Anche quando si iscrisse al Pci di Grado, poi consigliere comunale e vice sindaco e assessore dal 1989 al 1994. Anche quando dal 1993 al 1997 è segretario della Federazione isontina del Pds e nel 1998 segretario regionale dei Ds del Fvg. Anche quando è eletto deputato nel 2001 e nel 2006 e diventa capogruppo dell’Ulivo nella Commissione giustizia. Eletto nel 2008, Maran fa parte della Direzione nazionale del Pd di cui diventa vicepresidente del gruppo parlamentare alla Camera. È segretario della commissione Affari esteri. L’11 gennaio 2013 annuncia di lasciare il Pd per aderire al progetto della lista Con Monti per l’Italia. Dice di non condividere la lnea bersaniana ancorata a un partito vecchio e ideologico. Da subito schierato con Renzi, nel 2012 quando il futuro premier contava su appena otto parlamentari, Maran scriveva così: “Voterò per Matteo Renzi. Sono dell’opinione che il centrosinistra abbia bisogno di una rigenerazione, sia pure al prezzo di qualche scossa. Fare una campagna elettorale di opposizione dopo un anno in maggioranza è schizoide. Il Pd deve rivendicare con orgoglio di aver partecipato (da protagonista) allo sforzo per salvare l’Italia, non vergognarsene; e deve prendersi il merito della popolarità di Monti in Europa, non accreditarsi come quello che non vede l’ora di toglierselo dai piedi. Si può pensare quello che si vuole di Matteo Renzi, ma non c’è dubbio che nei suoi discorsi (e nel suo programma) abbia ripreso quasi tutte le idee-chiave della sinistra liberale; e non c’è dubbio che è con queste idee che prova a sfidare la maggioranza del Pd”». (d.pe.)