Non sono elezioni come le altre. Lo ha scandito Barack Obama nel suo discorso alla Convenzione democratica di Philadelphia. Trump non è un avversario come gli altri, non rientra nella dialettica tra Repubblicani e Democratici che ha fatto crescere l’America. È, invece, un candidato cinico che vuole speculare sulle paure. Lo ha ribadito anche l’Economist: le convenzioni hanno messo in luce un una nuova frattura politica, non tra sinistra e destra, ma tra apertura e chiusura. E anche per Thomas L. Friedman, lo scontro non è tra Democratici e Repubblicani, ma tra «Wall People» e «Web People», tra costruttori di muri e costruttori di reti (cioè di legami).
Non si fonda la Terza Repubblica senza rifondare il Pd, si sa. O meglio, dovremmo saperlo. Martedì scorso Antonio Funiciello, Consigliere alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ha scritto un lungo articolo sul Foglio (Manifesto per un nuovo Pd) nel quale illustra, dal referendum al modello Milano, il metodo americano sognato a Palazzo Chigi per rivoluzionare i democratici italiani. Va detto che non è la prima volta che Matteo Renzi preannuncia la riorganizzazione del partito per poi lasciar cadere la questione. Dopo le elezioni amministrative sembrava che fosse arrivata la volta buona, ma siamo giunti ad agosto e anche stavolta non è successo niente. Vedremo se, dopo l’estate, ci sarà una svolta. Intanto, vale la pena di leggere il manifesto di Antonio Funiciello. Anche sotto l’ombrellone.
Se le elezioni presidenziali del prossimo 6 novembre negli Stati Uniti sono probabilmente le elezioni più attese e seguite del mondo, non é solo perché, come direbbe Nando Mericoni, «l’americani so forti! … ammazza gli americani, aoh!». Il fatto è che la lunga corsa alla Casa Bianca, pur essendo un affare tutto americano, è l’evento politico che più di ogni altro influenza le sorti economiche e politiche del resto del mondo. Inoltre, le campagne elettorali americane sono eventi di grande teatro, forte emotività e laboratori di strategia mediatica senza paragoni. In aggiunta, questa volta c’è una ragione in più: non sono elezioni come le altre. Lo ha scandito Barack Obama nel suo (bellissimo) discorso alla Convenzione democratica di Philadelphia (Full Speech Obama at DNC. July 27, 2016. Democratic National Convention 2016. Philadelphia. – …)
Martedì 26 luglio, alle ore 15.30, presso la Sala Nassiriya del Senato della Repubblica avrà luogo la presentazione del libro del giornalista friulano Mauro Nalato dal titolo «IL CASO SAUVIGNON IN FRIULI. QUANDO LA GIUSTIZIA FA PAURA».
Diverse cose non tornano, ma una cosa è chiara: 35 anni dopo l’ultimo colpo di stato, e quasi due decenni dopo l’intervento militare del 1997, i turchi non vogliono tornare al brusco avvicendarsi di governi civili e militari che ha caratterizzato il paese tra il 1960 e 1980. Al contrario, restano attaccati alle loro istituzioni democratiche e all’ordine costituzionale. L’esercito, una colonna portante del cosiddetto “ordine kemalista”, l’impronta laica data al paese dal fondatore della Turchia, Kemal Atatürk, è più debole. Tutti i principali partiti politici hanno condannato il tentato colpo di stato. Insomma, malgrado l’irritazione nei confronti del presidente Erdogan, i turchi non vogliono tornare indietro.
Ad ottobre ci saranno in agenda tre appuntamenti da brivido: si ripetono le elezioni presidenziali in Austria e ci saranno il referendum sull’immigrazione in Ungheria e il referendum costituzionale in Italia. L’appuntamento in Italia rischia di diventare uno tsunami per l’Eurozona. «Europe’s fault line runs through Italy», è l’incipit dell’articolo di Tony Barber sul Financial Times di qualche giorno fa intitolato «Italy’s referendum holds key to survival of currency union».