GIORNALI2010

Europa, 8 aprile 2010 – Coraggio, presidenzialismo e federalismo

«Gli italiani – ha detto lapidario Bossi commentando alla radio l’esito delle elezioni – vogliono il cambiamento. E la Lega è il cambiamento». E, aggiungo io, il centrosinistra è l’immagine della conservazione.
Se così stanno le cose, stavolta dovremmo sfidare quella che è stata descritta da due esponenti del progressive liberalism americano come la “politics of evasion”, cioè la politica della scappatoia, dello sfuggire ai problemi. I due usarono questa frase per riassumere quello che ai loro occhi era stato il ripetuto rifiuto dei democratici negli Stati Uniti di guardare in faccia la drammatica perdita di fiducia nel partito tra gli elettori, seguita da una serie di sconfitte consecutive nelle elezioni presidenziali.
Troppi americani erano arrivati a vedere i democratici come disattenti ai loro interessi economici, indifferenti se non ostili ai loro sentimenti morali e inefficaci nella difesa della loro sicurezza nazionale. Invece di affrontare la realtà, parecchi democratici scelsero di abbracciare la «politica dell’evasione», ignorando i problemi fondamentali del loro partito.
Diedero la colpa della sconfitta a ogni genere di cose: alle scarse sottoscrizioni e alla tecnologia inadeguata, alla debole presenza nei media, alle personalità, alle leadership “sbagliate”, al fallimento nel mobilitare la “base tradizionale”, costruirono scuse allo scopo di evitare di confrontarsi i problemi e le domande di fondo per un progetto di cambiamento.
In questo siamo bravissimi anche noi, ma stavolta dovremmo resistere alla tentazione: i problemi sono senza dubbio difficili, ma è ora di affrontarli.
Tanto per capirci, sul Corriere della sera, Giovanni Sartori sostiene che «l’interesse prioritario di tutte le opposizioni» sia quello «di battersi per un sistema elettorale meno iniquo » e che il Pd dovrebbe puntare «sul sistema tedesco tenacemente chiesto da Casini». Ora, ammesso e non concesso che sia auspicabile il ritorno ai governi fatti e disfatti in parlamento, perché mai Berlusconi dovrebbe concedere quel proporzionale senza premi? Ma il punto è un altro: l’interesse prioritario del Pd devono essere gli italiani. Anzi, per salvare se stesso deve occuparsi dei problemi del paese. Detto altrimenti, il Pd deve porsi una domanda che viene prima dei marchingegni elettorali e delle alleanze: come mai (anche in condizioni dovunque molto difficili per chi governa, anche in una situazione di malcontento diffuso) gli elettori non riescono a vedere nel Pd e nel centrosinistra una alternativa credibile? Senza dubbio le tradizioni, le culture politiche, da cui è derivato il Pd hanno perso da tempo consistenza e presa sulla realtà e sono inadeguate a interpretare le domande del Paese.
Ma senza idee nuove non si andrà da nessuna parte. È dalla crisi degli anni Novanta che la questione aperta è quella di un profondo cambiamento della cultura e del modo di stare insieme degli italiani. E la persistente sottovalutazione della dimensione politica di Berlusconi (fino alla attribuzione consolatoria di un carattere antiberlusconiano al successo della Lega) è la prova del nostro smarrimento.
Eppure, a modo loro, sia la Lega che Berlusconi sono l’espressione di un grande rivolgimento iniziato nel secolo scorso: la sollevazione dei ceti produttivi (dipendenti, imprenditori, agricoltori, professionisti, commercianti, artigiani e altri lavoratori del settore privato) contro la truffa e lo sfruttamento di una classe politico-burocratica che, spacciandosi per paladina dell’interesse generale, si appropria da quasi cent’anni di una parte sempre più cospicua del loro reddito, riuscendo a vivere ed arricchirsi nell’ozio, nella sicurezza e nel privilegio, alle spalle di chi lavora nella fatica e nell’insicurezza tipiche di ogni attività di mercato.
Questa sollevazione antiburocratica e antistatalista, una vera e propria rivolta dei produttori, è il filo rosso che collega la svolta reaganiana in America, quella thatcheriana in Gran Bretagna, quella antisocialista in Germania, Belgio, Scandinavia e Francia e perfino (fatte salve le ovvie specificità) quella anticomunista all’Est. Con questa «cosa», nella versione di casa nostra, dobbiamo fare i conti. La maggioranza moderata non è un castello di carte destinato a cadere all’improvviso. E proprio l’illusione che una volta sparito il Caimano ritornerà l’età dell’oro, impedisce di vedere e di comprendere la domanda di cambiamento del paese.
Continuo a ritenere che anziché inseguire alleanze improbabili, il Pd debba scommettere sul fatto che possa avvenire, in futuro, un mutamento nelle propensioni degli elettori. Ma per conquistare nuovi elettori bisogna cambiare. E oggi quel che occorre non è il ritorno alle antiche certezze, ma il dichiarato superamento di vecchi atteggiamenti e vecchie posizioni. Proprio per stare dalla parte degli italiani. Il problema fondamentale del paese è quello di una modernizzazione mancata. Ed è proprio lo stato il nostro peggior problema. Cioè la gravissima crisi di efficienza e affidabilità del sistema politico-istituzionale.
E visto che la nostra repubblica è già cambiata (in modo magari imprevisto) e oggi risulta incompiuta, a metà; visto che da un pezzo la premiership è diventata la vera e fondamentale posta in gioco, perché allora non è il centrosinistra ad avanzare e precisare il tema del presidenzialismo come compimento necessario dell’Italia federale? Una volta tanto, come se Berlusconi non ci fosse e a starci a cuore fossero solo gli italiani.

You may also like
Europa, 28 aprile 2010 – Magari il modello Westminster
Il Foglio, 7 maggio 2010 – Un altro giovane capo del Pd interviene con libertà di tono sulla giustizia e sul caso Scaglia
Left – Avvenimenti n.12, 26 marzo 2010 – Carcere, basta coi fortini