GIORNALI2013

MessaggeroVeneto, 16 ottobre 2013 – «Mancano politiche attive per ricollocare i lavoratori»

Il senatore Maran illustra l’iniziativa sperimentale in capo alle Regioni per riqualificare chi è senza occupazione

 

 

di ALESSANDRO MARAN* Finora a chi perde il posto abbiamo offerto, nel migliore dei casi, soltanto un sostegno del reddito: nella forma appropriata di un trattamento di disoccupazione o in quella inappropriata della Cassa integrazione, ma sempre senza che il beneficio fosse condizionato per davvero alla disponibilità a un nuovo lavoro. Il risultato è che abbiamo praticato soltanto le cosiddette politiche del lavoro passive, per le quali dal 2010 abbiamo speso oltre 20 miliardi l’anno. Sono invece mancate le politiche attive, quelle volte alla ricollocazione del lavoratore. Il Senato, approvando un ordine del giorno (primo firmatario Pietro Ichino) proposto da un gruppo di senatori di Scelta Civica e del Pd, ha avviato un progetto che si propone di affrontare le crisi occupazionali in modo nuovo. Come? Lo Stato si limita a porre a disposizione delle Regioni la possibilità dell’esperimento: lo attiva solo la Regione che vuole utilizzarlo per riqualificare la propria spesa in questo settore. La Regione, a sua volta, con una delibera della Giunta, offre ai disoccupati la possibilità di stipulare il contratto di ricollocazione, mettendo sul piatto un voucher per la copertura del costo di un buon servizio di outplacement, cioè di assistenza intensiva nella ricerca del nuovo posto. Il voucher è suddiviso in una parte fissa e in una, assai maggiore, pagabile soltanto a ricollocazione avvenuta. Il lavoratore può scegliere liberamente l’agenzia di cui avvalersi tra quelle accreditate presso la Regione. Per neutralizzare il rischio che le agenzie accreditate si concentrino sulle persone più facilmente collocabili, lasciando perdere le altre, il progetto prevede che l’entità del voucher sia differenziata in relazione al grado di “collocabilità” di ciascuna persona, secondo i criteri che ciascuna Regione deciderà. La Lombardia ha già elaborato una “griglia di valutazione” della collocabilità delle persone interessate molto evoluta. Le agenzie accreditate sono comunque impegnate ad accettare tutti i lavoratori che si rivolgono loro. Il progetto, poi, prevede che al contratto di ricollocazione possa partecipare anche l’impresa che licenzia, la quale può impegnarsi a pagare un trattamento complementare di disoccupazione. Così, per esempio, il lavoratore licenziato che stipula il contratto, invece di ricevere soltanto il 75 per cento dell’ultima retribuzione erogato dall’ASpI, riceve il 90 per cento. Dov’è la condizionalità? Il contratto prevede l’affidamento della persona interessata a un tutor designato dall’agenzia, che ha il compito di assisterla giorno per giorno, ma anche di controllarne la disponibilità effettiva per tutto quanto è necessario ai fini della ricollocazione, compresi eventuali corsi di riqualificazione mirati. Nel caso di rifiuto ingiustificato di una iniziativa, o addirittura di un posto di lavoro, il tutor lo contesta al lavoratore. E alla contestazione consegue il dimezzamento dell’indennità; poi, la seconda volta, l’interruzione. È fatta salva la possibilità di impugnazione del lavoratore davanti a un arbitro (scelto di comune accordo dai sindacati maggiormente rappresentativi e dall’associazione delle agenzie) che decide entro due settimane, con una procedura semplicissima. Perché, si dirà, chi viene licenziato e ha un’indennità dovrebbe decidere di aderire al nuovo contratto, che prevede questa condizionalità? Semplice: per godere del servizio di outplacement pagato dalla Regione. Oggi le Regioni spendono fiumi di denaro per corsi di formazione professionale la cui utilità effettiva non viene quasi mai misurata. È urgente che esse incomincino a riqualificare questa spesa, anche spostandola in parte dalla formazione all’attività di placing. Poi ci sono i contributi del Fondo sociale europeo, di cui riusciamo a utilizzare mediamente soltanto il 40 per cento, per mancanza di progetti che abbiano i requisiti necessari; e questo esperimento soddisferebbe pienamente quei requisiti. Ci sono inoltre i fondi Ue per lo Youth Guarantee, il programma per l’aiuto intensivo all’inserimento nel tessuto produttivo dei giovani. Infine, occorre considerare che tenere i lavoratori in Cassa integrazione per anni, come facciamo ora diffusamente, costa molto di più che inserirli nel giro di sei mesi nel grande flusso delle assunzioni: perfino nel 2012, in Italia, nonostante la crisi nera, sono stati stipulati un milione e mezzo di contratti di lavoro a tempo indeterminato, abbastanza ben distribuiti fra nord, centro e sud. E il progetto può applicarsi anche ai giovani che si affacciano per la prima volta sul mercato del lavoro. Il contratto di ricollocazione può costituire una delle alternative da offrire loro entro il quarto mese, come previsto dallo Youth Guarantee. Sarebbe un ottimo modo di usare i fondi che per questo programma riceveremo dall’Unione Europea. Da qui l’idea di valorizzare l’autonomia legislativa e amministrativa delle Regioni in questo campo. Non tutte le Regioni sono pronte a mettere in pratica efficacemente questa sperimentazione. Alcune, come il Lazio e la Toscana, non aspettano altro; e, a ben vedere, potrebbero anche avviare questo progetto a legislazione invariata. Però una norma di legge statale può dettare le linee guida dell’esperimento. Le altre Regioni seguiranno, sfruttando l’esperienza delle prime e l’ampio spazio di discrezionalità nella determinazione delle modalità specifiche dell’esperimento: entità e modulazione del voucher. Certo, mettere la gente che perde il posto in Cassa integrazione, cioè in freezer, per qualche anno è la soluzione più comoda. Ma è una soluzione costosissima e che fa un danno grave proprio ai lavoratori interessati. D’altra parte, sindacati e imprenditori finora hanno considerato che questa dei servizi di assistenza intensiva per la ricollocazione, nel nostro Paese, sia una partita persa. Uno degli scopi principali del progetto di sperimentazione è, invece, proprio di mostrare che anche in Italia queste cose si possono fare, e si possono fare bene. Anche in Friuli. *senatore di Scelta Civica

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