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Biden nomina il team (e gli alleati dell’America tirano un sospiro di sollievo) – Il Riformista, 24 novembre 2020

Quello che si sente nelle capitali dei paesi alleati dell’America è un enorme sospiro di sollievo. Le scelte del presidente eletto Joe Biden per il suo national security team hanno mandato un segnale inequivocabile: il nazionalismo rancoroso dell’ «America first» è finito in soffitta, rottamato (almeno per ora).

Dal 20 gennaio, la Casa Bianca la pianterà con le rappresaglie e lavorerà invece per riprendersi il ruolo di leadership che aveva gettato alle ortiche. Saranno le democrazie e non i despoti a godere dell’amicizia, dell’affetto e delle attenzioni di Washington; ed è probabile che gli Stati Uniti portino un nuovo slancio anche alla lotta globale contro il cambiamento climatico.

Naturalmente, il «ritorno» dell’America non basterà, da solo, a risolvere problemi spinosi come l’ascesa della Cina, le armi dei nordcoreani e le manovre della Russia; e non sono ancora del tutto chiari i contorni della «dottrina Biden». Sappiamo, tuttavia, che le persone scelte da Biden considerano le alleanze degli Stati Uniti come il tramite essenziale della potenza globale americana; e dato il loro carattere sobrio e tranquillo e la loro visione globale, rimpiazzeranno la spacconeria impulsiva di Trump con la semplicità (rifuggendo da ogni forma di spocchia o sopraffazione) e con la strategia politica.

Il team di Biden è tutt’altro che appariscente: si tratta di centristi molto pragmatici. Ma sarà bene tenere a mente questi nomi.

Anthony Blinken è stato indicato come segretario di Stato (il più alto di grado nel gabinetto del presidente). Anche in America, la maggioranza delle persone non hanno la minima idea di chi sia Blinken. Ma tutti, a Washington e nei circoli che si occupano di politica estera a livello globale, lo conoscono bene. Blinken è stato con Biden vent’anni, al Senato e mentre era vicepresidente. È stato vice segretario di Stato sotto la presidenza Obama e ha detto che gli Stati Uniti devono affrontare le sfide poste dalla Cina rilanciando le alleanze degli Stati Uniti per influenzare il comportamento di Pechino. La scelta di Blinken, che conosce perfettamente il francese e, a differenza di Trump, ha parlato dell’Unione europea come di una istituzione fondamentale, sarà probabilmente molto apprezzata in Europa. All’inizio dell’anno aveva messo in guardia che l’«America first» era destinata a fallire di fronte alle minacce globali come il cambiamento climatico, la pandemia e la proliferazione nucleare: «Non c’è un muro abbastanza alto o spesso abbastanza da tenerle lontane», aveva detto. I diplomatici e i funzionari del Dipartimento di Stato, sotto assedio e sconvolti dopo quattro anni di continui insulti da parte di Trump, saranno entusiasti di avere a bordo uno dei loro.

Avril Haines è stata nominata Direttore della National Intelligence. Trump ha trasformato l’ufficio del DNI in una postazione per faccendieri politici che si occupava in larga misura della declassificazione e della circolazione di materiale utile politicamente al presidente. Anche i professionisti dell’intelligence accoglieranno di buon grado la nomina di Haines, ex vice direttore della CIA e vice consigliere per la sicurezza nazionale, dato che stanno cercando di tornare nell’ombra dopo quattro anni trascorsi in prima linea (politica). Haines sarà la prima donna ad assumere un tale incarico, che sovrintende alla comunità dell’intelligence americana.

John Kerry è il «climate czar». Eroe della guerra del Vietnam, ex senatore del Massachusetts, candidato democratico nelle elezioni presidenziali del 2004, ex segretario di Stato, Kerry è richiamato in servizio ancora una volta. Dopo aver lasciato Foggy Bottom, Kerry ha fatto del cambiamento climatico il suo tratto distintivo. È una personalità di spicco (con grandi ambizioni, inesauribile energia politica e un saldo enorme di miglia aeree, scrivono i giornali americani) ed è stato uno degli artefici dell’accordo di Parigi. Scegliendolo, Biden annuncia chiaramente al mondo che intende riportare gli Stati Uniti al centro della lotta per salvare il pianeta. Kerry farà parte anche del National Security Council.

Alejandro Mayorkas è stato scelto da Biden per guidare il Dipartimento della sicurezza interna. Nominando il primo latinoamericano alla testa del DHS, un dipartimento che ha un ruolo enorme per quel che riguarda l’immigrazione, Biden sta evidenziando un’altra netta antitesi con il duro approccio dell’amministrazione Trump. Ovviamente, avendo ricoperto l’incarico di vice segretario del Dipartimento sotto l’ex presidente Barack Obama, Mayorkas, cubano di nascita, si sentirà a casa al DHS.

Jake Sullivan è stato indicato come consigliere per la sicurezza nazionale (il principale consigliere del presidente). Sullivan è una stella nascente della politica estera da 15 anni a questa parte; ha studiato a Yale, è un veterano della amministrazione Obama e avrebbe probabilmente ricoperto lo stesso incarico se quattro anni fa avesse vinto Hillary Clinton, probabilmente la sua più grande fan. Sullivan è stato una figura centrale nella negoziazione dell’accordo nucleare iraniano ed è molto rispettato a Capitol Hill, anche tra i repubblicani che non condividono le sue idee politiche. E da quelle parti, non sarebbero sorpresi se il suo nuovo incarico dovesse rivelarsi un trampolino di lancio verso un futuro come segretario di Stato.

Linda Thomas-Greenfield è stata indicata da Biden come ambasciatore alle Nazioni Unite. Con alle spalle decenni di esperienza diplomatica, la nomina di Linda Thomas-Greenfield, sia nel gabinetto di Biden che alle Nazioni Unite, è un chiaro segnale che la diplomazia multilaterale sta ritornando al centro della politica estera americana. È probabile che Greenfield, che ha seguito le politiche verso continente africano come assistente segretario di Stato nell’amministrazione Obama, rilanci inoltre l’interesse americano per Africa, una regione largamente ignorata dall’amministrazione Trump.

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