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«Hong Kong è la nuova Berlino Ovest?» – Il Riformista, 29 maggio 2020

La Cina tira dritto. Malgrado le proteste di massa, l’Assemblea nazionale del popolo ha approvato la nuova contestata legge sulla sicurezza nazionale da applicare alla regione autonoma di Hong Kong.

I dettagli della misura volta a punire «sovversione, sedizione e terrorismo» oltre che la collusione con potenze straniere che – secondo Pechino – sarebbero responsabili delle proteste di massa dell’anno scorso, sono ancora oscuri. È probabile, tuttavia, che le proteste aumentino, che alle proteste seguano misure più severe e che il peggio debba ancora venire. Infatti, come ha scritto Minxin Pei su Project Syndicate, dato che la Cina «ha deciso di seguire questa strategia» e di sopprimere «sul serio» le libertà e la semi-autonomia di Hong Kong, «dobbiamo aspettarci che vada fino in fondo» e che adotti le misure delineate in un documento del Partito comunista dello scorso novembre. Oltre alla nuova legge, scrive il politologo che insegna al Claremont McKenna College, «Pechino intende cambiare le anche procedure per nominare il responsabile dell’esecutivo e gli alti funzionari di Hong Kong. Consoliderà le capacità di Hong Kong di mantenere l’ordine e lancerà una campagna per inculcare ‘la coscienza nazionale e lo spirito patriottico’ tra i dipendenti pubblici ed i giovani. L’obiettivo è quello di integrare l’economia della città più strettamente con quella della madrepatria».

Molto probabilmente anche le agenzie di sicurezza cinesi si installeranno ad Hong Kong con il mandato di stroncare ogni sovversione, scrive Pei. «Se la legge verrà applicata rigorosamente, è lecito prevedere che gli agenti cinesi della sicurezza saranno impegnati nella sorveglianza, nell’intimidazione, nell’incarcerazione non soltanto della popolazione di Hong Kong, ma anche dei cittadini stranieri che si ritiene possano rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale». Di conseguenza, gli Stati Uniti (e anche altri paesi) cesseranno di trattare la città in modo diverso dal resto della Cina per scopi commerciali e potremmo assistere alla fine di Hong Kong come principale hub commerciale e finanziario dell’Asia.

L’ultimo governatore inglese di Hong Kong, Chris Patten, che lasciò la città sullo yacht del principe Carlo dopo il suo passaggio dal dominio inglese alla sovranità cinese nel 1997, ha detto in un’intervista al Times di Londra: «Quello che vediamo all’opera è una nuovo regime dittatoriale cinese… Penso che la gente di Hong Kong sia stata tradita dalla Cina, che ha dimostrato una volta di più che non ci si può fidare». Secondo Patten, ora rettore dell’Università di Oxford, il Regno Unito ha la responsabilità morale e legale di criticare duramente la Cina per aver violato i principi della Dichiarazione congiunta del 1997, l’accordo tra la Gran Bretagna e la Cina che prometteva un sistema democratico capitalista ad Hong Kong per i prossimi cinquant’anni.

Patten se la prende anche con il recente (ed evidente) radicale mutamento avvenuto nella diplomazia cinese, dicendo al giornale: «La Cina bara, cerca di rigirare le cose a proprio vantaggio e se glielo fai notare, questi ‘lupi guerrieri’ – una definizione assunta dai media statali cinesi per  caratterizzare la nuova generazione di combattivi diplomatici – cercano di intimidirti e di piegarti ai loro voleri. Deve fermarsi, altrimenti il mondo diventerà un posto molto meno sicuro e la democrazia liberale in tutto il mondo verrà destabilizzata».

Il Regno Unito dovrebbe abbandonare ogni «illusione» che «alla fine di tutto questo prostrarsi ci sia un mucchio d’oro» in termini di commercio con la Cina, dice Patten. Ma il Regno Unito non è il solo paese europeo nel quale le mosse di Pechino nei confronti di Hong Kong hanno suscitato la reazione dei democratici. El País ha denunciato che l’offensiva di Xi Jinping punta ad avere il sopravvento sul Parlamento di Hong Kong prima delle elezioni legislative del prossimo settembre, nelle quali è facile prevedere un’ulteriore avanzata dell’opposizione democratica, visti i brillanti risultati ottenuti nelle elezioni locali del novembre scorso (gli avversari di Pechino hanno ottenuto il controllo di 17 dei 18 distretti locali), che hanno rappresentato un avallo delle proteste e una condanna del regime cinese. Sul giornale tedesco Die Welt, Klaus Geiger ha scritto che Hong Kong è la nuova Berlino ovest: una enclave democratica che rischia di essere ingoiata dalla potenza comunista autoritaria che la circonda. Il che sottintende che Hong Kong merita lo stesso status della celebre causa liberale dell’Occidente.

Secondo il presidente pentastellato Vito Petrocelli, invece, la Cina può fare quello che vuole. E di fronte alle immagini di maltrattamenti e abusi sulla popolazione da parte dell’amministrazione cinese durante il lockdown, Massimo D’Alema ha osservato che «in fondo, anche l’Italia ha fatto tante multe». Non c’è da sorprendersi. John Fitzgerald Kennedy lo ha spiegato magistralmente cinquantasette anni fa nel suo celebre discorso proprio a Berlino Ovest: «Ci sono molte persone al mondo che non capiscono, o che dicono di non capire, quale sia la grande differenza tra il mondo libero e il mondo comunista. Che vengano a Berlino. Ce ne sono alcune che dicono che il comunismo è l’onda del progresso. Che vengano a Berlino. Ce ne sono alcune che dicono, in Europa come altrove, che possiamo lavorare con i comunisti. Che vengano a Berlino. E ce ne sono anche certe che dicono che, sì, il comunismo è un sistema malvagio, ma permette progressi economici. Che vengano a Berlino».

Siamo sempre lì. E come cinquantasette anni fa a Berlino, oggi tutti gli uomini liberi, dovunque essi vivano, sono cittadini di Hong Kong, e «l’orgoglio più grande» è dire «Sono un cittadino di Hong Kong».

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