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«La spesa per infrastrutture potrebbe far miracoli, dice S&P Global. In America»- Il Riformista, 19 maggio 2020

La spesa per le infrastrutture potrebbe tirarci fuori dalla situazione in cui ci ha gettati il Covid-19? Pare di sì. A pensarlo e a sollecitare un piano shock per rilanciare investimenti e infrastrutture stavolta non è Matteo Renzi. Lo sostiene S&P Global, uno dei principali fornitori al mondo di analisi e di ricerche.

I governi di tutto il mondo stanno cercando di reagire al Covid-19 e lo stimolo all’economia ha già raggiunto livelli record (proprio ieri Francia e Germania hanno lanciato il piano per «la ripresa dell’economia europea»), ma un nuovo report di S&P Global esorta gli Stati Uniti di stanziare 2,1 trilioni di dollari (la cifra si basa su un’iniziativa bipartisan che l’anno scorso non è andata in porto) per ricostruire le loro infrastrutture.

Gli Stati Uniti hanno perso l’occasione per avviare una grande ricostruzione con il pacchetto di stimolo economico del 2009, sostiene il report, ma ora ne hanno un’altra, e se si coglie la palla al balzo, i benefici economici, secondo il modello di S&P Global, sarebbero considerevoli. «L’economia potrebbe trarre ancora vantaggio dall’aumento della spesa per le infrastrutture. In effetti, nel nostro scenario, calcoliamo che se gli Stati Uniti aumentassero la spesa annuale del governo a vantaggio delle nostre infrastrutture fatiscenti di 2,1 trilioni di dollari su un orizzonte di 10 anni, aggiungerebbero nei prossimi 10 anni 5,7 trilioni di dollari al PIL», scrive S&P. Inoltre, «potrebbero creare 2,3 milioni di posti di lavoro entro il 2024».

Osservando che dal 2013 le infrastrutture americane ottengono dalla American Society of Civil Engineers a malapena un «D + grade» (un voto appena sufficiente) e che il Superstorm Sandy ha dimostrato la necessità di un loro ammodernamento anche per resistere al clima, la relazione chiede qualcosa di simile alla costruzione del sistema autostradale nazionale del 1959.

Gli economisti, si sa, considerano le infrastrutture un moltiplicatore economico globale e la relazione rileva che la crescita media del PIL statunitense è in ritardo rispetto ai livelli precedenti alla costruzione della rete autostradale. La crescita del Pil americano negli ultimi 10 anni è oscillata attorno al 2,25%: un terzo del tasso di crescita del 1959, quando fu costruito l’Eisenhower Interstate Highway System.

Alla luce degli insegnamenti del Covid-19, la relazione chiede tuttavia anche un altro tipo di spesa per le infrastrutture,  diretta ai sistemi sanitari, sottolineando che sarebbe meglio arrivare preparati alla prossima pandemia.

Va da sé che anche l’Italia avrebbe bisogno come il pane di un piano shock per sbloccare opere e investimenti. Il guaio è che, come ha scritto Piero Sansonetti, «esiste un legame indissolubile» tra la possibilità di mettere in moto la ripresa e «l’abbattimento della burocrazia», che nelle attuali condizioni, resta «un ostacolo insormontabile allo sviluppo». Il 54% del tempo di realizzazione di un’opera pubblica è occupato, si sa, dai cosiddetti «tempi di attraversamento»: procedure burocratiche legate a controlli, valutazioni, validazioni, autorizzazioni e altre attività amministrative.

Insomma, «sbloccare tutto», come vorrebbe Renzi, non sarà facile. Il fatto è che la nostra Repubblica è fondata sulla diffidenza e sul presupposto che siamo tutti disonesti. E se non si combatte questa mentalità, non se ne esce.

Finché si continuerà a ripetere ogni giorno sui giornali e in televisione che quanto a corruzione siamo peggio del Botswana («Corruzione, l’Italia peggio del Botswana» è il titolo del Corriere della Sera all’indomani della pubblicazione del rapporto annuale di Transparency International, che tuttavia non rileva la corruzione “reale” ma la corruzione “percepita”) e che «non esistono politici innocenti ma colpevoli su cui non sono state raccolte le prove», non è affatto strano che le norme siano pensate come una corsa ad ostacoli infinita. E non è strano che da questa situazione esca vincitore proprio Alfonso Bonafede, che, non per caso, è riuscito a varare una serie di riforme, una più forcaiola dell’altra. Sono decenni, del resto, che il nostro paese è pieno di Savonarola che tuonano dal pulpito con toni apocalittici e invocano la moralizzazione e il castigo dalle piazze virtuali. E se così stanno le cose, perché stupirsi se prima di mettere la firma sulla famosa autorizzazione, il malcapitato funzionario resista e si arrovelli? Sa che, più presto che tardi, i magistrati si faranno vivi.

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