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Informativa del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sulla situazione in Siria e conseguente discussione. Seduta del 12 aprile 2017

MARAN (PD). Signor Presidente, signor Ministro, per uno che ha fatto campagna elettorale su una piattaforma che voleva evitare coinvolgimenti e conflitti all’estero e che ha ripetutamente messo in guardia il suo predecessore contro le azioni militari in Siria, Trump ha fatto una capriola mozzafiato nello spazio di appena 63 ore dopo l’attacco chimico. Giorno dopo giorno, il nuovo presidente americano sta scoprendo quel che ogni populista anti establishment è destinato prima o poi a scoprire: che i problemi di solito sono spinosi e incredibilmente complessi; che, se ci fosse stata una soluzione facile e appropriata, l’avremmo già trovata; che spesso anche le soluzioni meno soddisfacenti costano di più di quanto siamo disposti a pagare o a tollerare.

La sua lezione di politica estera, Trump l’ha avuta tragicamente attraverso un attacco ignobile sui civili siriani, molti dei quali bambini, perpetrato, stando a quel che è stato riportato, con le armi chimiche dal regime criminale filorusso e filoiraniano di Bashar al-Assad. Il presidente Trump è entrato in carica con la convinzione un po’ ingenua che avrebbe potuto fare della lotta all’ISIS il pezzo forte della sua politica in Medio Oriente, e che bastasse sganciare qualche bomba in più e mandare più forze speciali del suo predecessore per mostrare la sua determinazione. Era ingenua, come capita a molti demagoghi, perché l’ISIS non cresce nel vuoto e non è neppure l’unico cattivo soggetto della Regione; l’ISIS, dopo i fallimenti di George Bush, è stato creato come una reazione alle incredibili forzature dell’Iran in Iraq, dove le milizie sostenute dall’Iran e le forze di governo di al-Maliki hanno cercato di distruggere ogni traccia del potere sunnita in quel Paese e di farne un vassallo dell’Iran.

Basta fare una ricerca su Internet sulle milizie sciite in Iraq per scoprire che non è l’ISIS che ha inventato la depravazione in quella parte del mondo. L’assalto furibondo degli sciiti iraniani contro i sunniti è andato di pari passo con quello del regime sciita-alawita di Assad in Siria, che ha trasformato, a forza di uccisioni e di massacri, i sogni democratici di quello che era cominciato come un movimento democratico, composto da molte correnti siriane, in una guerra settaria tra sciiti e sunniti che ormai coinvolgere tutta la regione. Una guerra ormai per procura.

Il regime ora si regge soltanto con l’aiuto della Russia, dell’Iran e della milizia iraniana degli hezbollah, ma non è in grado di ripristinare – è questo il punto – il controllo su tutto il Paese, perché non può uccidere tutti i sunniti del Paese, che costituiscono la maggioranza, l’80 per cento della popolazione. È per questo che la Russia da sola non è in grado di vincere la pace e solo questo avrebbe giustificato il suo intervento.

Certo, lo strike missilistico non rappresenta una strategia, anche perché sembra più politico che strategico; se è così, però, dovremmo porci molte domande, specie se si considera che la politica estera di Trump sembra cambiare, in particolare, dopo ogni riunione, dopo ogni evento, dopo ogni crisi. Ma non fare nulla sarebbe comunque un errore; lasciare semplicemente che Assad continui a cercare di ripristinare il controllo su tutta la Siria significa accettare massacri senza fine. Una soluzione basata sulla spartizione e sulla condivisione del potere è impossibile, perché non c’è abbastanza fiducia, anzi, non c’è la minima fiducia tra le parti. Il male minore sarà, probabilmente, la divisione della Siria e la creazione di un’area protetta da una forza internazionale, in primis per i sunniti. Ciò dovrebbe almeno fermare le uccisioni e i flussi di rifugiati che stanno alimentando, come sappiamo, un contraccolpo nazionalista e populista in tutta Europa e che – attenzione – la Russia utilizza come armi per destabilizzare l’Europa.

Spetta a noi, ovviamente, spetta all’Europa (che della crisi siriana è la prima a farne le spese) il compito di fare tutto il possibile per rilanciare le trattative e andare in questa direzione. L’Italia può avere un ruolo molto importante, signor Ministro, in omaggio alle sue tradizioni e alla sua capacità di mediazione, anche – certo – con la Russia; per questo, signor Ministro, la sosterremo, anche perché le occasioni non mancano, a partire dalla Presidenza del G7. Solo così l’intervento militare di Trump avrà  avuto un senso.

Naturalmente c’è un’altra questione: sarebbe ora che l’Europa battesse un colpo e che gli europei smettessero di eludere il problema delle politiche di difesa; sarebbe ora che gli europei provassero ad affrontare finalmente la transizione dei nostri 28 Stati a rango di unità regionale. Questa sembra un’altra storia, ma è forse la parte principale della storia che stiamo vivendo. (Applausi dal Gruppo PD).

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