GIORNALI2015

Messaggero Veneto, 09 settembre 2015 – Senato, la Stalingrado del Pd

Il vice capogruppo Maran spiega lo scontro con la sinistra dem. Renzi: prendiamoci qualche giorno
Il vice capogruppo dem al Senato, Alessandro Maran, non usa mezzi termini nel definire la diaspora interna al Pd sulla riforma del Senato. «È una battaglia fondamentale, dirimente. Questa è come la battaglia di Stalingrado. Chi vince, vince la guerra». Ma guai a parlargli di rischio scissione. «No, non ci credo. Anche perché sono certo che prima o poi si capirà che se cambia modalità di voto al Senato si va verso una democrazia competitiva; se rimane la doppia Camera resteremo nelle democrazia consociativa». Eccolo, lo scontro vero tra la minoranza bersaniana e Renzi. Maran rilascia queste dichiarazioni prima del vertice di ieri sera del gruppo dei senatori del Pd alla presenza del premier, Matteo Renzi. «Prendiamoci gli ultimi giorni per favorire una soluzione», è stato il suggerimento di Renzi. «Siamo disponibili a ragionare e discutere, non ci sono prendere o lasciare ma la volontà di aprire un dialogo e discutere» Lo scontro interno fa parte – spiega Maran – di una guerra che dura ormai da un quarto di secolo, cioè dall’avvio dei referendum 91/93. Ovvero – insiste – la guerra fra il modello di democrazia competitiva e quello di democrazia consociativa. «A ciascuno di questi modelli – precisa – corrispondano diversi assetti delle istituzioni, diverse concezioni e pratiche della politica. E all’interno di ciascuno di questi due modelli si determinano coerenze fra modalità di decisione (governabilità) soggetti della politica (partiti) e forme della rappresentanza; sia la rappresentanza politica che quella degli interessi (sindacati, corpi intermedi ecc.)». Insomma, secondo il vicecapogruppo dem al Senato fino a quando non si verifica l’allineamento fra questi diversi livelli e funzioni, si ha un sistema sconnesso, a bassa produttività, esposto a rischi permanenti di collasso. Secondo Maran, insomma, Con Renzi ha preso corpo seriamente il tentativo di realizzare finalmente l’allineamento che rende possibile il funzionamento di una “democrazia competitiva”: «Prima la legge elettorale, poi la riforma costituzionale (Senato ecc). Siamo adesso arrivati alla battaglia cruciale; non il VietNam, come dicono, ma appunto Stalingrado; chi soccombe sulla modalità di elezione del Senato (con voto diretto e proporzionale o no) ha perso la guerra». Va da sè, per Maran, che un maggioritario ben strutturato (che, con il ballottaggio, consenta agli elettori di decidere con voto a chi affidare il compito di governare) e la liquidazione del bicameralismo perfetto, rende possibile la “democrazia competitiva”. E a chi gli fa notare che Bersani sostiene che «non si può chiamare alla disciplina di partito davanti alla Costituzione» e che «non si è mai fatto in nessun partito», Maran replica che normalmente le modifiche costituzionali fanno parte del governo. «Una Camera delle Regioni era già prevista dal programma dell’Ulivo». Secondo Maran, il tentativo «palese e disperato» degli oppositori nel Pd è di mantenere aperto un varco (una “falla”) che impedisca alla “democrazia competitiva” di acquisire completa coerenza. «Per loro, oggi come nei primi anni ’90 – puntualizza -, l’importante è mantenere in vita una zona franca, dove si voti in modo proporzionale per i singoli partiti; in modo che resti viva la sorgente della “democrazia consociativa”. «Allora – dice ancora – la zona franca fu individuata nel voto su scheda separata perla “quota proporzionale” alla Camera; oggi è l’elezione diretta del Senato». Il suo parere è dunque quello che la sinistra dem vuole salvaguardare il modello di “democrazia consociativa” «al quale è indissolubilmente legata la possibilità stessa di una sinistra ideologica e antagonistica, di una sinistra alla quale non interessa essere “sinistra di governo”.

 

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