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Notizie Novice, N. 2 – febbraio 2004 – Perché la “Giornata del Ricordo”

La sola tragedia delle foibe non può spiegare cosa precedette e come si concluse il secondo conflitto mondiale nella Venezia Giulia.

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Messaggero Veneto, 29 febbraio 2004 – Una svolta riformista

con Carlo Pegorer Lo sviluppo della società regionale. Riformare la burocrazia regionale, i suoi strumenti e le modalità di intervento nella società.

UNA SVOLTA RIFORMISTA

Il deputato Maran e il segretario della Quercia Pegorer intervengono su Illy e il governo di centro-sinistra.

La vittoria di Illy è stata la vittoria del centro-sinistra. Ma di un centro-sinistra un po’ anomalo, che per vincere ha scelto un candidato diverso dai politici tradizionali ed estraneo ai cliché del politico di centro-sinistra.BRE’ evidente che nel ‘modello” Illy, la personalizzazione è una caratteristica strutturale. La leadership non è un semplice elemento, è l’essenza stessa del messaggio del presidente. E rappresenta una sfida al modello dominante di organizzazione politica che si caratterizza anzitutto per le nuove modalità di esercizio della leadership e della responsabilità politica, quella che gli inglesi chiamano accountability. In Inghilterra, la praticabilità della accountability è infatti collegata non solo agli elementi istituzionali ed elettorali che costituiscono la forma e la sostanza della democrazia di Westminster, ma anche, come ricorda Gianfranco Pasquino, a precisi stili di fare politica e a precisi freni e contrappesi culturali e sociali, prodotti dall’opinione pubblica e dai mass media.BRQuella di Illy è, dunque, una sfida che potrebbe contribuire a ridefinire il carattere dei due schieramenti e di un bipolarismo insidiato soprattutto dalla debolezza dei soggetti politici. La maggior parte dei discorsi populisti (che esprimono un malessere e una forma di mobilitazione ambivalente: a volte pericolosa per la democrazia, ma al tempo stesso stimolante per capire le esigenze dei cittadini e riformare la politica) si alimenta attraverso la denuncia della frattura che si è creata tra élite e popolo. E il leader è colui che esprime attraverso la sua persona i valori di cui il popolo è portatore. A modo suo, Illy esprime, proprio attraverso la sua diversità dai politici tradizionali, la legittimità (del popolo) che è stata calpestata e il bisogno di una rigenerazione.BRSi tratta di una sfida che potrebbe contribuire a una ripresa riformista, se nel centro-sinistra riusciranno a prevalere il coraggio e l’innovazione. In primo luogo, per quel che riguarda il contenitore. Perché il soggetto è parte essenziale del programma. E l’unità di uno schieramento plurale e composito si può costruire solo attorno a un soggetto politico effettivamente nuovo che ne costituisca l’asse e raggruppi gli sparsi riformismi italiani in un’unica formazione politica. BRMa il coraggio e l’innovazione devono prevalere anche per i contenuti. Ogni anno che passa appare sempre più chiaro che la moneta unica costituisce per gli italiani una rivoluzione copernicana. Per diventare europei (e cioè un paese moderno) saremo costretti a rivoluzionare tutto il sistema paese: non c’è alcun aspetto della società e dell’economia che può sfuggire al processo di re-engineering. È ovviamente assurdo parlare di de-sovietizzazione della società e dell’economia regionale, ma è un’assurdità che esaspera un aspetto reale del processo di transizione. Basta pensare a due specifiche caratteristiche regionali dell’amministrazione dell’economia: l’affermazione di un modello ministeriale di organizzazione degli uffici e il processo di vera e propria ‘entificazione”, cioè quel processo di costruzione di enti strumentali, istituti, aziende autonome, che ha segnato in particolare i comparti economici. Come nel modello statale, il governo per enti è servito a creare strutture operative più agili, con caratteristiche innovative rispetto all’organizzazione per ministeri. È servito anche a collegare l’amministrazione alla società civile, a radicare gli interessi delle categorie economiche nell’amministrazione e, in particolare, a collegare l’assessorato alle rappresentanze degli interessi organizzati. Si tratta di un collegamento corporativo, che crea osmosi tra amministrazione e interessi di settore. Tanto che alla fine non si sa se il presidente o il direttore dell’ente rappresentino l’amministrazione regionale o gli interessi rappresentati nell’ente. BRÈ in queste condizioni che l’azione politica regionale ha finito per assestarsi (come ha evidenziato il rapporto per gli stati generali elaborato dal consorzio Aaster per la giunta regionale solo qualche anno fa) nella duplice configurazione di rivendicazione di provvidenze e benefici dal centro e come intreccio e composizione di interessi economici organizzati. Ma oggi viene al pettine proprio l’irrimediabile usura della vecchia politica di accompagnamento allo sviluppo. Per questo le vecchie forme dell’intervento diretto della Regione in economia (e le vecchie abitudini) vanno consapevolmente abbandonate, individuando strumenti alternativi per quello che è stato definito ‘accompagnamento selettivo”.BRIl banco di prova per la trasformazione e la modernizzazione della nostra Regione è quello della riforma dell’apparato regionale, dismettendo ogni funzione che altri soggetti pubblici o privati possono organizzare meglio. E poi la riforma del governo locale, perché bisogna riorganizzare il territorio in due direzioni: l’apertura ai circuiti globali e l’integrazione tra più città e più sistemi locali. Lo sviluppo di canali cooperativi e comunicativi è infatti una necessità per rendere possibile la crescita dei servizi di qualità e gli investimenti in infrastrutture e conoscenza. C’è bisogno anche di costruire un sistema di ammortizzatori sociali che impedisca a chiunque di avere un reddito al disotto di una soglia di povertà prestabilita, come avviene in tutti i paesi dell’Unione europea a eccezione di Grecia e Italia. E il reddito di cittadinanza approvato dal consiglio regionale della Campania su proposta della giunta rappresenta, per esempio, una vera e propria svolta nelle politiche del welfare. Naturalmente non ce l’ha ordinato il dottore di presentarci uniti, con un programma che pretende di contrastare le forze di declino che minacciano la nostra regione. Si può tirare a campare, con un grado tollerabile di divisione e scommettere che il centro-destra si affossi da solo. Ma per vincere la sfida dello sviluppo e della competitività serve quella svolta culturale di cui ha parlato Bruno Tellia. Del resto, esercitare la leadership significa impegnarsi in azioni impopolari, convincere, rischiare di persona. E qualsiasi adattamento che vada nel senso di aumentare la responsabilità dei governanti nei confronti dei governati avvicinerebbe il sistema politico italiano al più importante dei meccanismi delle democrazie contemporanee. Com’è stato detto, uno statista supera il test cruciale della leadership (il criterio di Mosè) quando sposta la sua società da un ambiente che le è familiare a un mondo che non ha mai conosciuto. BRQuello che fin qui si è visto può forse aiutare Illy e il centro-sinistra a conservare il potere, ma certo non soddisfa il criterio di Mosè. Solo riforme serie possono aiutare la nostra gente a superare le incertezze e le reazioni contraddittorie legate alla scoperta di una nuova terra: l’Europa che ci aspetta. Segretario regionale Ds parlamentare Ds

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Messaggero Veneto, 23 marzo 2004 – Il nostro passato

Le vicende storiche al confine orientale. Ricostruire senza reticenze e con completezza i travagli che hanno segnato l’identità della regione.

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Messaggero Veneto, 1 giugno 2004 – Il falso federalismo

IL FALSO FEDERALISMO

Nessuno sa esattamente quale sarà il destino dell’ennesima proposta di riforma costituzionale in questi giorni in discussione alla Camera. Tuttavia, la legge di riforma approvata al Senato rappresenta, a suo modo, una risposta (per molti aspetti sbagliata e contraddittoria) a esigenze reali. La nostra repubblica non è più quella di prima. E’ già cambiata (in modo magari involontario e imprevisto; al punto che Ilvo Diamanti la definisce argutamente una repubblica preterintenzionale) e oggi risulta incompiuta, a metà. La modifica del sistema elettorale, da proporzionale a maggioritario, richiede infatti di ripensare tutto il sistema dei checks and balances tra poteri e istituzioni dello Stato. E il nuovo titolo V ha imposto una modifica nei rapporti politici e finanziari tra livelli di governo che il nostro attuale sistema istituzionale non è in grado di gestire efficacemente. La precedente riforma risultava carente su un punto: l’assenza di una Camera parlamentare rappresentativa delle autonomie territoriali.BRIl nuovo testo risponde dunque all’esigenza di completare la riforma costituzionale prevedendo un Senato federale. Ma il modo in cui lo fa suscita serie perplessità.BRUn assetto federalista della repubblica rende necessario il coinvolgimento degli enti del governo territoriale nella determinazione delle politiche (sia nella disciplina delle singole materie di competenza che nelle scelte circa la distribuzione e la programmazione delle risorse). Soltanto attraverso questo coinvolgimento, infatti, decisioni di rilevanza nazionale possono essere condivise dai governi regionali, evitando il contenzioso istituzionale e politico, oggi diffuso e adeguando quelle scelte alle esigenze proprie di un governo federale. È questa esigenza che rende necessaria la trasformazione di una delle due Camere da Camera rappresentativa del popolo italiano, eletta a suffragio universale diretto, a Camera rappresentativa delle Regioni e degli enti territoriali, composta cioè di rappresentanze rapportabili (direttamente o indirettamente) agli enti territoriali. La soluzione più chiara ed efficace è rappresentata da una seconda Camera che sia composta da membri degli esecutivi regionali, come in Germania. Ma, ovviamente, le forme e le modalità tecniche di questa rappresentanza possono essere diverse.BRIl guaio è che il testo in discussione costruisce il Senato federale come una Camera eletta a suffragio universale e diretto da tutto il popolo italiano (il che lascia pensare che anche le elezioni senatoriali saranno controllate dai partiti politici nazionali) senza alcun rapporto di rappresentanza né alcuna connessione strutturale e funzionale con le Regioni e con gli altri enti territoriali. La debolezza del collegamento fra Senato e Regioni è confermata dalla presenza dei rappresentanti degli italiani all’estero (mentre restano completamente prive di rappresentanza le autonomie locali: Comuni e Province) e dal fatto che i delegati regionali continuano a partecipare all’elezione del presidente della repubblica, quasi a sottolineare che in quel momento della vita repubblicana i senatori comunque non bastano a rappresentare le Regioni. La mera contestualità dell’elezione dei membri del Senato con l’elezione dei consigli regionali non è del resto sufficiente. Infatti, anche a parità di sistema elettorale, non c’è alcuna ragione per cui i cittadini debbano votare allo stesso modo per il Senato e per i governi regionali. E se proprio si vuole andare in questa direzione, l’elezione dei senatori non dovrebbe essere soltanto contestuale ma anche, come suggerisce Salvatore Vassallo, esplicitamente collegata all’elezione dei presidenti regionali, in modo tale che i senatori siano espressione in una quota maggioritaria della coalizione di governo al livello regionale e, solo in una quota minoritaria, dell’opposizione.BRInsomma, di federale, questo nuovo modello di Senato ha soltanto il nome. Senza contare che la separazione di competenze tra le due Camere, così com’è congegnata, può dare luogo a serissimi problemi di coordinamento e può quindi minare il funzionamento del nostro futuro sistema federale. Il rischio, in altre parole, è che il nuovo modello invece di mediare il conflitto tra Stato e Regioni e tra le stesse Regioni, finisca per introdurne altri, questa volta all’interno dello stesso Stato. D’altra parte la presenza di una seconda Camera, inserita nell’attività legislativa ma sottratta al circuito della fiducia, rende l’azione di governo molto più pesante e in alcuni casi di difficile gestione. Non solo perché le leggi di competenza delle due Camere devono essere negoziate con i membri della Camera delle Regioni (ciò che nel modello tedesco significa invece negoziare con i governi regionali), ma anche perché il governo nella seconda Camera è privo dello strumento fondamentale della mozione di fiducia. Di nuovo, la presenza di una seconda Camera con queste caratteristiche si giustifica solo in quanto essa sia effettivamente rappresentativa degli enti del governo territoriale e perciò risolva il problema della condivisione delle grandi scelte tra centro e periferia. Altrimenti, tanto varrebbe rafforzare, anche attraverso la disciplina costituzionale, la conferenza Stato-Regioni. BRNaturalmente, in tutto questo pasticcio non si parla mai di risorse da decentrare, senza le quali tutta la discussione è pura retorica. Infatti, come e più di altre disposizioni del nuovo titolo V, l’articolo 119 della Costituzione (che prevede il federalismo fiscale) è rimasto finora sulla carta. Rimarrebbe da osservare, inoltre, che la disciplina dello scioglimento della Camera prevista nel nuovo testo farebbe fuoriuscire il nostro sistema di governo dal modello del sistema parlamentare, senza tuttavia collocarlo in nessuno dei sistemi conosciuti, almeno nei paesi maggiori. I sistemi presidenziali hanno infatti tutt’altri caratteri. E la posizione costituzionale garantita al presidente, ma supportata dall’elezione popolare diretta, è bilanciata da fortissimi poteri del Parlamento. Non c’è dubbio che occorra puntare su riforme che accrescano stabilità ed efficacia del governo. Ma lo slogan ‘un re per una terra” poteva andar bene all’epoca di Excalibur e dei cavalieri della tavola rotonda o nella fase di costruzione degli Stati nazione, oggi è troppo semplicistico. Oggi le politiche di sviluppo non sono più alla portata di un unico decisore. E qualsiasi pretesa di imporre comportamenti virtuosi e un modello gerarchico in una logica ‘dall’alto al basso” in cui si incastrano a matrioska le istituzioni dal locale al globale non corrisponde più alla realtà. In un’epoca di trasformazione è necessario assicurare il massimo possibile di flessibilità e di pluralismo, se non altro perché è l’unico modo per assicurare il massimo di innovazione. Prima ancora che un valore, l’autonomia è una necessità.BRViceresponsabile nazionale enti locali dei Ds

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Messaggero Veneto, 21 luglio 2004 – Un nuovo welfare

Nuove povertà si affacciano nella Regione. Ripensare il welfare per assorbire disagio e marginalità offrendo nuove prospettive ai giovani.

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Messaggero Veneto, 12 settembre 2004 – Welfare, la scommessa di Illy

Un primo bilancio della giunta Illy a un anno dal suo insediamento. Immettere nel programma idee inedite per il welfare regionale.

«Welfare, la scommessa di Illy»

di DOMENICO PECILE.

GORIZIA. Fu uno dei primi nel Pci a essere recalcitrante di fronte all’ingessatura delle alleanze, quando il pentapartito imponeva l’omologazione come una camicia di forza. La dimensione degli enti locali palesava la crisi di un intero sistema politico. Gli andava stretta anche il Pci, perché sognava una collocazione del sua partito nella socialdemocrazia europea.BR/I/BCome si definisce allora politicamente Alessandro Maran?BRUn socialdemocratico. Considerato che oggi la socialdemocrazia è già, e da molto tempo, un compromesso liberal-socialista.BRVale a dire?BRChe i programmi dei partiti socialdemocratici europei contemporanei sono tutti compromessi, leggermente diversi fra loro, tra principi socialisti e quelli liberali.BRBene, e chi sono i partiti socialdemocratici in Italia?Due, entrambi percepiti come ex di ciò che furono nel secolo scorso (i Ds e lo Sdi), fanno parte dell’Internazionale Socialista e del Pse. Ma, in Italia, il campo di forze sociali di cui nei principali paesi europei sono espressione e interpreti le grandi forze del socialismo democratico, è lo stesso che si riconosce nell’Ulivo.BRDue partiti soltanto, ma un campo di forze molto più vasto. Quindi, ritiene l’Ulivo la vera scommessa socialdemocratica?In Italia solo la costruzione del soggetto politico Ulivo può dar luogo ad una forza che svolga la stessa funzione politica che in Europa svolgono i grandi partiti del Pse. Per questo l’Ulivo va consolidato e strutturato in una vera e propria federazione dei diversi riformismi italiani.BRAntonaz, Bertinotti e Cossutta, allora…?BRUn’area esplicitamente comunista in Europa non esiste o è inglobata in grandi partiti socialdemocratici pluralisti. Ma se l’Ulivo è solido e strutturato come soggetto portatore della vocazione maggioritaria, allora può contrarre le alleanze politiche di cui ha bisogno (e ovviamente quella con Rifondazione) per prevalere sul centrodestra./I/BBRL’esperimento del triciclo è da ripetere?BR/I/BLa direzione è quella giusta. Se battiamo moneta europea dobbiamo battere anche politica europea. Del resto,l’Ulivo può affermare pienamente la propria funzione solo se tutte le sue componenti conoscono una profonda innovazione di cultura politica, di piattaforma programmatica e di struttura organizzativa.BRA quale innovazione politica si riferisce?BR/I/BQuella stessa innovazione che ha caratterizzato negli ultimi dieci anni tutti i grandi partiti socialdemocratici d’Europa, rendendoli capaci di vincere (anche per la seconda volta, come nel caso del New Labour di Blair) e di governare. Basta pensare che per il riformismo della sinistra di oggi sono centrali tanto l’attenzione all’individuo che viene dalla tradizione liberale, quanto l’attenzione alle persone e alle comunità della tradizione cristiana e cattolica.BRDi recente Fassino ha affermato che è giunto il momento di scrollarsi di dosso i leader imprestati al centro sinistra. Si riferiva anche a Illy?BR/I/BNon credo. Penso che mirassero a sottolineare il recuperato ruolo dei partiti, dopo anni in cui non si poteva nemmeno parlarne.BRQuindi se si votasse domani Illy sarebbe ancora il vostro candidato?BR/I/BResto dell’opinione che Riccardo Illy sia la persona giusta e abbia le qualità necessarie, a partire dalla tenacia, per accompagnare la nostra Regione nel passaggio da un’epoca ad un’altra. BRDa spettatore lontano, ma privilegiato qual è il suo giudizio sul primo anno di Illy?BR/I/BVa da sé che bisogna mettere in conto il noviziato, il rodaggio. Guardando le cose da Roma, poi, non dimentico che a Palazzo Chigi c’è un tale che ha promesso mari e monti, in questi tre anni ha badato solo agli affari suoi e, dopo tre anni, continua a ripetere che è sceso in campo per salvare l’Italia dai comunisti e che il governo sta lavorando.BRQuesto è Berlusconi, ma torniamo a Illy…BR/I/BIlly deve affrontare un situazione difficile. Siamo una regione piena di energie e di persone di talento, capaci di competere con chiunque nel mondo.BRTuttavia?BR/I/BIl guaio è che quando si è alle prese con un problema, il più delle volte dobbiamo affrontarlo in solitudine e non come una sfida collettiva e di sistema. Vale per le imprese (formazione, successione, ecc.) e vale per le famiglie, basta avere in casa un anziano non autosufficiente. Però l’Europa implica una vera e propria “rivoluzione” e non c’è nessun aspetto della società e dell’economia che può sfuggire al processo di reengineering.BRVa bene, ma proviamo a fare un esempio sul versante del welfareBR/I/BAd esempio, mandare un bambino al nido costa più che mandarlo all’università e per fare il notaio, bisogna essere figli di notaio. E dopo vent’anni di Thatcher nel Regno Unito l’assistenza agli anziani, ai bambini, ai malati di mente, ai giovani in cerca di lavoro è compito dello Stato. In Italia della famiglia. Come stupirsi allora se la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è tra le più basse in Europa? Non si può andare avanti così.BRRicette anche per Illy e la sua maggioranza?BR/I/BSi sta formando una società più aperta, più mobile e non dobbiamo temerla, dobbiamo incoraggiarla. Ma c’è bisogno di quel welfare, diverso da pensioni e ospedali, che ci manca tanto. Per mettere in condizioni ciascuno di formarsi, di aggiornarsi, di lavorare. Spero che Illy abbia affilato l’ascia…BRC’è un’interessante statistica di Eurostar che riguarda da vicino anche la scommessa-Illy.BR/I/BQuel che più colpisce nei dati forniti da Eurostat relativi al Pil procapite delle oltre 200 regioni dell’Unione europea non è solo che nelle prime dieci posizioni non c’è nessuna regione dell’Europa del Sud, ma è soprattutto che ancora una volta le ricette del successo si assomigliano tutte.BRE qual è il collante di questi successi?BR/I/BDa Vienna a Darmstrad, ricorrono alcuni vantaggi competitivi: un’alta qualità delle risorse umane (che si spiega anche con la presenza di università di eccellenza); un orientamento alla ricerca scientifica e tecnologica più avanzata; un elevato potenziale di attrazione per l’insediamento di imprese (determinato anche da infrastrutture sofisticate e funzionanti, da grande flessibilità del fattore lavoro, sistemi di welfare e sistemi fiscali più efficienti).BRMolti di questi punti sono presenti nel programma di Intesa democratica?BR/I/BSì, ma quello che voglio sottolineare è che in Europa vincono quelle regioni che hanno potuto godere della maggiore libertà e flessibilità dei fattori produttivi, sapendo reagire in modo rapido alle sollecitazioni del nuovo quadro competitivo. Ciascun territorio deve perciò costruire la propria geoeconomia, rafforzando i fattori di competizione. Un problema che non è solo delle imprese, ma dei territori nel loro complesso.BRGià, il territorio, ma anche gli investimenti…BR/I/BIl punto è che un territorio se non agisce su una certa scala non ha più la capacità di dotarsi delle risorse “rare” che riguardano la ricerca, l’università, la sanità, i servizi, il terziario avanzato. Perché tutti questi dell’intelligenza hanno bisogno di una scala adeguata e non è un mistero per nessuno che attorno al milione di abitanti si deve gravitare attorno ad un unico spazio metropolitano, cioè ad un unico bacino di domanda e offerta per questo tipo di servizi.BRD’accordo, e allora perchè in F-Vg anche nel centro sinistra ci si attarda sullo scontro localistico territoriale?BR/I/BNon c’è dubbio che il rapporto col territorio vada ripensato.BRE come?BR/I/BMolte delle riforme proposte (a partire da quelle invocate da Fontanini e da Saro)sono accomunate dallo stesso difetto di impostazione: scrivono e riscrivono il quadro dei rapporti tra i diversi livelli di governo territoriale come se il nostro problema fosse davvero quello di separare i territori e le sfere di competenza e non invece quello di individuare le istituzioni della cooperazione tra gli enti.BRIn questo contesto la riforma delle Autonomie locali cade a fagiolo.BR/I/BUn sistema finora molto frammentato si deve organizzare in direzione dell’apertura al vasto mondo e dell’integrazione fra più città e più sistemi locali. Solo questa soluzione permette di sostenere i costi necessari a sviluppare i servizi di qualità necessari alla produzione e ad una vita ricca e solidale.BRCi dice anche un suo parere sulla riscritttura dello statuto?/I/BBRMi sembra difficile che i partiti possano pervenire davvero consensualmente ad una riforma dello Statuto e ciò a causa della inevitabile inconciliabilità delle loro convenienze e strategie. Senza contare che la procedura è ancora interamente affidata agli esiti della discussione parlamentare, il che implica, vista l’aria che tira, qualche rischio. Comunque sia, la discussione in corso ci può consentire di mettere meglio a fuoco le alternative che abbiamo di fronte, sulle quali, se necessario, dividerci.BRCome vede il rapporto-querelle Udine-Trieste?BR/I/BL’idea dell’autonomia “separata” nasce da un’idea sbagliata: l’idea che per costruire uno spazio metropolitano si debba costruire una gerarchia. Ma nessuno può pensare di tornare alla vecchia gerarchia che assegnava a Trieste (o a Venezia) un ruolo preminente sul territorio regionale in funzione della tradizione storica o del suo ruolo internazionale. Gli esperimenti in tutta Europa ci dicono che bisogna mettere mano a qualcosa di più flessibile e di più importante: un insieme di reti relazioni e di alleanze territoriali.

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Messaggero Veneto, 13 ottobre 2004 – Un’alleanza riformista

La lista “Uniti nell’Ulivo”. Servono altri e decisivi passi per la nascita di un partito riformatore.

UN’ALLEANZA RIFORMISTA

Di nuovo, alle europee, gli elettori la loro parte l’hanno fatta: quasi uno su tre ha mostrato di credere nel progetto di unità e innovazione promesso dalla Lista Uniti nell’Ulivo. Ma quando si è trattato di tradurre, coerentemente, quella spinta e quella volontà politica nella costruzione di un nuovo soggetto politico riformista, tutto è diventato complicatissimo. Perché? Che cos’è che ha provocato nel centro-sinistra questa lunga fase di incertezza e uno scontro interno tanto aspro e plateale quanto incomprensibile nelle sue motivazioni?BRContinuo a pensare che le ragioni di fondo delle difficoltà non riguardino le divisioni programmatiche (che pure si sono riproposte sulle questioni principali: dalla politica internazionale alle riforme istituzionali), ma la prospettiva politica: i caratteri, l’assetto, il profilo politico-programmatico del centro-sinistra. Il conflitto nei due poli per ridefinirne i caratteri, le politiche e la leadership resta, infatti, al centro della battaglia politica in corso in Italia. Proprio perché la nuova stagione democratica, dopo l’esperienza della prima repubblica che si fondò sui partiti popolari, non ha ancora trovato i suoi soggetti stabili.BROvviamente, non tutti hanno considerato la scelta della lista Uniti nell’Ulivo come il primo passo per la costruzione di un partito di centro-sinistra a vocazione maggioritaria, capace di svolgere in Italia la stessa funzione politica che nei grandi paesi europei svolgono i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti; un partito che in Italia può nascere solo dal concorso e dalla fusione di quelle esperienze, tradizioni e culture politiche di cui sono espressione i partiti di Uniti nell’Ulivo. Eppure, tutti coloro che hanno voluto la lista le hanno affidato un compito che andava molto al di là dell’appuntamento elettorale: aggregare le forze più coerentemente riformiste e, in questo modo, realizzare una profonda ristrutturazione dell’intero centro-sinistra. La lista Uniti nell’Ulivo era infatti la premessa di un assetto diverso: non più l’accordo di desistenza tra l’Ulivo (mera somma dei partiti) e Rifondazione comunista, ma uno schieramento reso credibile dalla presenza, al suo interno, di un soggetto politico riformista, dotato di una leadership individuale e collettiva, di un profilo culturale e di un consenso elettorale tale da farne il garante della stabilità e dell’omogeneità dell’intera coalizione.BRDopo le elezioni, invece, nonostante il successo della lista sia stato straordinario (specie se si considerano le enormi difficoltà con cui la lista ha dovuto fare i conti: simbolo sconosciuto, pochi soldi e poco tempo per farlo conoscere, l’attenzione dei militanti concentrata sulle amministrative e, quindi, sulle liste di partito, ecc.), il campo è stato stabilmente occupato dall’iniziativa di chi resiste alla prospettiva della federazione: di chi pensa che, in fondo, il centro-sinistra va benissimo così com’è perché, tanto, a farlo vincere ci pensa Berlusconi e di chi pensa che il miglior assetto del centro-sinistra sia quello fondato sulla divisione del lavoro tra il centro e la sinistra.BRA quanti confidano solo nell’antiberlusconismo basta chiedere: ammesso e non concesso che per vincere le elezioni sia sufficiente l’unità dei partiti del centro-sinistra così come sono, come faremo poi a governare? Quel che bisogna apertamente combattere è invece l’idea dell’autosufficienza dei partiti espressione delle vecchie tradizioni politiche (e delle vecchie identità partitiche: quella del Pci, del Psi, della Dc). Perché il più delle volte si tratta di una sincera presunzione di autosufficienza, che è ancora tanto forte da contrastare la prospettiva della Federazione riformista. L’idea è semplice: se ciascuno fa il suo mestiere (e cioè la sinistra si preoccupa delle esigenze del suo popolo e il partito del centro presidia il confine che ci separa dallo schieramento avversario) ci sarà più facile attrarre nel centro-sinistra gli elettori in fuga da Forza Italia e dal centro-destra. Ma il guaio è che le cose non stanno così. La divisione del lavoro tra centro e sinistra non funziona per sei fondamentali ragioni: 1) perché gli elettori della sinistra e del centro riformisti sono sociologicamente identici, come dimostrano tutti gli studi in proposito, e una quota crescente si considera semplicemente di centro-sinistra; 2) perché la forza delle antiche identità si stempera a mano a mano che ci si allontana dall’89: milioni di votanti non hanno mai visto sulla scheda il simbolo del Pci, della Dc e del Psi; 3) perché i partiti, nella loro attuale configurazione politico-organizzativa, non possono essere strumento di effettiva partecipazione democratica alla direzione politica del paese, cioè alla formazione dell’offerta politica (programmi, leader); 4) perché proprio l’elaborazione di programmi adeguati alle novità presenti nella realtà di oggi reclama il superamento di ogni presunzione di autosufficienza delle diverse culture riformiste (in Italia, peraltro, indebolite dalla lunga lotta in partiti nei quali sono risultato spesso minoritarie); 5) perché non esiste, nel centro-sinistra italiano, una sola rilevante questione di programma che dia luogo a una dialettica che ripercorra fedelmente gli attuali confini dei partiti; 6) perché gli elettori in fuga dal centro-destra, da Forza Italia in particolare, si rifugiano nell’astensione o, quando scelgono il passaggio di campo, rivolgono le loro attenzioni alla forza egemone del centro-sinistra, non certo al partito traghetto collocato ai margini dello schieramento.BRPer queste ragioni, se davvero si vuole la ristrutturazione del centro-sinistra, bisogna ripartire dalla scelta che resta prioritaria: la costituente della Federazione riformista, cioè di un partito di tipo nuovo, di qualcosa che non ha finora fatto parte della nostra esperienza. È del tutto ovvio che il processo di costruzione della federazione e quello della costruzione di una più ampia alleanza democratica di centro-sinistra (la Grande alleanza democratica che, per intenderci, va da Mastella a Bertinotti) sono entrambi necessari. Ma dovrebbe essere altrettanto ovvio che se la coalizione larga non ha al suo centro la federazione, il centro-sinistra non è qualitativamente diverso da quello che ha vinto nel ’96 (perdendo poi la prova del governo) né da quello del 2001. Le garanzie, che giustamente pretende Prodi, contro il rischio che si ripeta il ’98, non stanno nei buoni propositi di oggi e neanche in primarie che lascino inalterata la forma attuale del centro-sinistra: la vera scelta che può ristrutturarlo qualitativamente è la costruzione della federazione (con un effettivo trasferimento di poteri dagli attuali partiti agli organismi della federazione), primo passo verso quel partito nuovo, adeguato ai tempi, di cui in Italia (e nella nostra Regione) c’è tanto bisogno. BRDeputato Ds-L’Ulivo

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Notizie Novice, N. 5 – Dicembre 2004 – Il futuro della Regione non ha bisogno di antistoriche separazioni etniche

Nella riscrittura dello statuto di autonomia riaffiora il tentativo di caratterizzare la regione sulla base di appartenenze etniche.
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Messaggero Veneto, 2 dicembre 2004 – L’occasione perduta

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