Un recente fascicolo di poche pagine della Banca d’Italia ha sintetizzato molto efficacemente, con l’aiuto di grafici e cartine, i nostri «problemi di struttura». Tutte cose note e stranote, sia chiaro. Ma vederle messe in fila senza tanti complimenti, fa una certa impressione. L’opuscolo si apre con due grafici (fonte Oecd) che misurano l’andamento della produttività: il prodotto per ora lavorata e la produttività totale dei fattori. Tra i sei paesi messi a confronto (Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti) dal 1993 al 2010, l’Italia, manco a dirlo, è quello messo peggio. Cominciamo da qui: se non si assume l’aumento della produttività (del lavoro e dei fattori) come obiettivo principale, se non c’è uno «scatto» su questo fronte, non c’è politica redistributiva che tenga.
Il dépliant prosegue elencando i nostri problemi strutturali ed evidenziando in modo molto conciso (e perciò crudo e spiacevole) le storture. Scrive l’opuscolo della Banca d’Italia:
1) Istruzione. «Italia in ritardo. Capacità di apprendimento scendono con il grado di istruzione. Elevata dispersione fra studenti determinata da differenza fra scuole → le scuole amplificano i gaps. Circolo vizioso: basso capitale umano, bassa domanda, bassi rendimenti dell’istruzione, bassi incentivi all’accumulazione di capitale umano. Bassa attrattività delle università italiane.»
2) Mercato del lavoro. Dualismo. «Segmentazione: Effetti negativi sulla produttività del lavoro e su incentivi all’accumulazione di capitale umano. Particolarmente colpiti i giovani. Segmentazione accentuata dal sistema attuale di welfare». I grafici sui salari di ingresso e profili di carriera, sugli indici di protezione e sue componenti, sulla stringenza della protezione, sono eloquenti.
3) Imprese: Internazionalizzazione:«Italia paese esportatore ma pochi investimenti diretti in uscita. Grandi imprese esportatrici più efficienti e innovative. La propensione all’innovazione cresce significativamente con la dimensione, specialmente verso mercati lontani (Asia)». Dimensione delle imprese:«Media: 4 occupati, indipendentemente dalla specializzazione settoriale. Oggi piccola dimensione inadeguata per innovare. Imprese piccole hanno sofferto di più nella crisi. Le imprese italiane non crescono». Qualità del management: «Dimensione di impresa correlata con proprietà familiare e management tradizionale. Nella manifattura quasi il 60% appartiene a una famiglia con management familiare (25% in Germania, 20% in Francia, 8% in Regno Unito). Management familiare. Decisioni molto centralizzate, scarso uso di incentivi di performance, meno internazionalizzazione e innovazione, maggiore avversione al rischio».
4) Concorrenza. Regolazione dei servizi professionali e crescita:«Effetti indiretti della regolazione di input chiave (servizi professionali, trasporti e telecomunicazioni, energia) sulla performance dei settori manifatturieri. Riduzione della regolazione dagli alti livelli della Francia al basso livello del Canada aumenta di circa 1 p.p. la crescita della produttività di settori ad alta intensità di servizi (es. Carta e editoria) rispetto a settori a bassa intensità di servizi (prodotti in metallo)». Il grafico «Average regulation in professional services», 2008, fonte Oecd), mostra che, su 34 paesi, peggio di noi fanno solo Slovenia, Turchia e Lussemburgo. Barriere all’entrata nella distribuzione:«Prevalenza di piccola distribuzione tradizionale al dettaglio. Cambiamenti nella regolazione nel 1998: regolazione della grande distribuzione delegata alle autorità locali →differenze sostanziali nella regolazione locale. Effetti significativi sull’occupazione e sulla produttività».
5) Giustizia civile. «Tempi molto lunghi nel confronto internazionale, molto diversi nel Paese». Il grafico relativo alla durata dei procedimenti (giorni) mostra che l’Italia è 156° su 181 paesi e che la durata dei procedimenti italiani non è nemmeno lontanamente comparabile con quel che avviene nei principali paesi europei. Inoltre, la mappa che indica la durata, regione per regione, dei procedimenti di cognizione ordinaria (2006) mostra il crescente divario tra il nord e il sud del Paese. La durata dei procedimenti aumenta man mano che si procede verso sud: da 554 giorni a 1512 giorni. Se non si mette mano a questa condizione non c’è politica di sviluppo per il Mezzogiorno che tenga. Infatti, «inefficienze nel sistema creano incertezze e riducono i prestiti. Una riduzione nella lunghezza delle cause civili aumenterebbe la dimensione media delle imprese manifatturiere del 20%».
6) Oneri amministrativi. «In Italia è più oneroso ‘fare impresa’. Un esempio: i permessi di costruzione». Il grafico (fonte Banca Mondiale, Doing Business in 2011) mostra che rispetto a Francia, Germania, Regno Unito, Stati Uniti e anche Spagna i tempi sono fino a cinque volte più lunghi e i costi più onerosi. «Nel confronto internazionale le procedure amministrative che regolano l’entrata e l’attività di impresa sono lunghe e costose; gli oneri per le imprese derivanti da adempimenti amministrativi sono elevati (secondo stime CE 4,6% del Pil contro 3,5% medio)».
7) Infrastrutture: «La spesa è stata simile a quelle di Ger, Fr e Gb, ma le dotazioni fisiche sono inferiori». Insomma, il grafico mostra che spendiamo più o meno lo stesso e otteniamo molto meno. Come, del resto, per le forze dell’ordine, la giustizia, ecc.
Le conclusioni sono perentorie. Quali riforme? «Rimozione vincoli alla concorrenza e alla attività economica. Migliore contesto istituzionale per l’attività delle imprese. Più capitale fisico, più capitale umano. Completamento riforme mercato del lavoro». Difficile non essere d’accordo. La domanda è semplice e riguarda sia quel tale che ha promesso mari e monti e di problemi ha risolto solo qualcuno dei suoi, sia quelli che vorrebbero levarsi dai piedi proprio quel tale: che cosa aspettiamo?