GIORNALI2006

Il Piccolo, 5 giugno 2006 – Il Nord chiede più autonomia individuale

Alle elezioni politiche del 2006 sono stati raggiunti livelli di mobilitazione senza precedenti. Chi e che cosa ha mobilitato l’elettorato così nel profondo

Vorrei tornare, alla luce del voto amministrativo di domenica scorsa, sull’«escrutinio de enfarto» (El Mundo) del 10 aprile scorso e sull’affermazione risicatissima dell’Unione. Un dato salta agli occhi: alle elezioni politiche del 2006 sono stati raggiunti livelli di mobilitazione politico-elettorale (aumento dei votanti, un sostanziale azzeramento delle schede bianche e nulle) senza precedenti nella Seconda Repubblica. Che cosa e chi ha mobilitato così nel profondo l’elettorato? Sul chi non ci sono dubbi: nel bene e nel male, è stato Berlusconi. Su che cosa, io la penso così: quel mix di interessi e valori rappresentato dal binomio proprietà-famiglia.
L’errore del centrosinistra non è stato quello di aver «parlato» di tasse. Le tasse sono l’argomento clou, il più delicato in ogni democrazia. Ma di tasse si deve parlare con precisione, evidenziando il nesso tra carico fiscale e vantaggio sociale.
E se un leader del centrosinistra si fa pescare a dire – e non per estremismo, ma per impreparazione e ignoranza – che un patrimonio di 186.000 euro è un grande patrimonio, al di sopra del quale deve agire la tassa di successione, perché stupirsi se si fa strada nella gente il sospetto che il centrosinistra non
gliela stia raccontando giusta? Inoltre il taglio delle tasse ha un significato politico: enuncia una visione, diversa da quella corrente, del rapporto tra Stato e cittadino. «Nella visione a cui siamo abituati da 50 anni – ha scritto Franco Debenedetti – , chi governa si considera depositario della conoscenza di quali sono le necessità dei cittadini, di come vanno soddisfatte, e quindi autorizzato a prelevare quanto giudica adeguato allo scopo: sono le varie articolazioni della Pubblica amministrazione a scrivere esse stesse i propri obiettivi, gonfiando le richieste già sapendo di quanto saranno tagliate». Negli annunci di Berlusconi (purtroppo, solo negli annunci) invece, il punto di partenza diventano le risorse che restano dopo che si è ampliato il potere di scelta dei cittadini. Da qui al tema-valore famiglia il passo è stato breve. E non solo perché il centrodestra ha alimentato il sospetto che la sinistra minacciasse la famiglia nella proprietà e nei suoi caratteri giuridici. Ma perché famiglie e imprese
quando sono alle prese con dei problemi (l’azienda o l’anziano non autosufficiente) il più delle volte si devono arrangiare da sole, con stress e paure da gestire in solitudine (e con rabbia) e non come elementi di una sfida collettiva e «di sistema».
Per come la vedo io, la «questione settentrionale» è tutta qua. Il guaio è che la nostra discussione si è fin qui sviluppata come se si fosse trattato di un voto amministrativo, dettato da ragioni locali e «personali». C’è soltanto il territorio, o meglio, l’antagonismo territoriale. Sergio Cecotti, in un’intervista, ha perfino rispolverato «un aspetto di sociologia città-campagna: un triestino non riesce a capire una società fatta di tante piccole comunità sul territorio».
Eppure l’antagonismo territoriale non spiega nulla. Specie in un’area in cui la campagna è distretto industriale, la famiglia è impresa e lo spazio metropolitano (cioè il bacino di domanda e offerta per i servizi e le risorse rare) è (a malapena) l’intera Regione. Ed è proprio l’abuso di queste vecchie e inservibili categorie, che contribuisce ad appannare l’ampiezza e lo spessore di quella società friulana che ha decretato il successo di Strassoldo. Se fosse solo la protesta contro Illy a spiegare l’esito delle provinciali di Udine, perché la performance di Tonutti è, in buona sostanza, la stessa di Pressacco (quando Illy non c’era) e di Strizzolo (quando non c’era nemmeno Strassoldo)? Ho l’impressione che queste vecchie categorie aiutino a non interrogarsi davvero sulle realtà sociali che hanno portato a un esito distante dalle attese della vigilia. Da anni nella nostra Regione c’è una domanda di autonomia individuale (che gli americani chiamano «empowerement of individuals»). Ma la nostra ossessione per l’identità e le richieste di riequilibrio territoriale finiscono, come avveniva nella Jugoslavia di Tito, per prendere in considerazione solo i diritti collettivi (quelli del proprio «popolo», della propria «nazione») a scapito di quelli individuali che invece implicano una vera democratizzazione. E ciò è in contraddizione proprio con l’affermazione di Illy in provincia di Udine nel 2003 contro un’esponente della Lega Nord impegnata nella promozione di una idea etno-culturale delle diversità della Regione.
Il fatto è che per la maggior parte degli elettori desiderare di ritrovarsi in una «diversa» Regione non vuol dire restaurare il Patriarcato di Aquileia, ma implica anzitutto «rifare» l’amministrazione pubblica. La maggior parte degli elettori vuole maggiori libertà e meno regole per poter raggiungere i propri obiettivi personali. Da quanto è che chiediamo meno burocrazia? Ne ha parlato Luca Montezemolo qualche giorno fa rivolgendosi agli imprenditori: «C’è chi tra noi ha impiegato sette mesi per realizzare un nuovo impianto all’estero e 19 anni per poter fare una tettoia nel suo stabilimento in Italia». Da quanto è che andiamo dicendo che privatizzazioni e liberalizzazioni rappresentano la strada maestra per aprire alla concorrenza settori che in altri Paesi hanno generato imprese, occupazione, reddito e maggiore soddisfazione per i consumatori? Ma – insiste Montezemolo – «invece di liberalizzare e dismettere c’è chi opera in regimi protetti con i soldi dei cittadini» e c’è ormai «una corsa sfrenata da parte di enti locali di ogni dimensione e di ogni colore a creare aziende di qualunque tipo, a trasformare le municipalizzate in Spa mantenendo un controllo pubblico spesso totale». E sono solo esempi. Aggiungo che se il sostegno ai giovani in cerca di lavoro, la cura degli anziani, dei malati di mente, dei bambini sono compiti della famiglia (tanto per capirci, nel Regno Unito restano, dopo sedici anni di Thatcher, compiti dello Stato) che continua a funzionare come «ammortizzatore sociale» portandone per intero il fardello, i comportamenti e le aspettative della società friulana non possono cambiare. Sarebbe un errore, anche in vista delle regionali del 2008, non prendere sul serio i problemi e le aspettative a cui Berlusconi dà voce (sia pure strumentalizzandole) e le derive di lungo periodo di cui è forse inconsapevole interprete. Forse è più semplice (e più redditizio) parlare del territorio e delle identità, ma efficienza e meritocrazia sono i soli modi per non «declinare». Come ha detto Piero
Fassino rivolgendosi a Prodi in occasione del voto di fiducia, serve «il coraggio di osare», perché «solo osando saremo capaci di restituire agli italiani certezze, diritti, speranze». Aggiungo che il premio al merito dovrebbe essere un valore della sinistra: non è forse questo (a Udine come a Trieste) il motore
dell’«ascensore sociale»?

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