Il capitalismo, si sa, è in crisi. Eppure nessuna nuova teoria, nessuna visione economica alternativa ha ancora modificato il suo attuale disegno neoliberale e la narrazione del centrodestra tiene banco dappertutto. Al punto che il governo spagnolo ha annunciato che tra i meccanismi che introdurrà per garantire il controllo del deficit pubblico ci sarà anche una riforma della Ley de Trasparencia del Gobierno.
La proposta avanzata dall’esecutivo di Mariano Rajoy è che i governanti spendaccioni debbano affrontare «responsabilità penali». Insomma, per la prima volta negli ultimi cent’anni, il centrosinistra è all’opposizione in tutti i principali paesi europei: Germania, Gran Bretagna, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Svezia.
Secondo il pensatoio britannico Policy Network, parte del problema sta proprio nel fatto che i partiti del centrosinistra sono impantanati dovunque sulla questione del debito e del deficit. Ma oggi affrontare gli inevitabili vincoli fiscali – come sottolinea il think-tank laburista in un recente pamphlet, intitolato In the Black Labour. Perché conservatorismo fiscale e giustizia sociale vanno a braccetto – è una precondizione necessaria proprio per contribuire a plasmare il prossimo stadio del capitalismo. Non a caso il leader del Labour Party, Ed Miliband, con un repentino cambio di strategia (che immancabilmente ha fatto infuriare il sindacato), ha collocato il suo progetto (per un paese più giusto e un capitalismo più responsabile) in un contesto in cui c’è meno denaro da spendere, sostenendo che «è responsabilità del Labour trovare un nuovo approccio per i momenti difficili».
Sono inglesi, si dirà. Noi confidiamo nel successo dei socialisti francesi e, più ancora, dei socialdemocratici tedeschi. Se dovessero vincere – sostengono in molti nel Pd – le cose si aggiusteranno. Incrociamo (ovviamente) le dita, ma le cose stanno davvero così? Secondo una recente indagine, la principale preoccupazione dei tedeschi è proprio il debito pubblico: il 63 per cento degli intervistati si dice preoccupato del livello di indebitamento. Poi viene il timore circa il destino delle future pensioni e (fatalmente, anche in Germania) la preoccupazione per i politici inetti.
In sintonia con la pubblica opinione, negli ultimi anni la Spd tedesca ha preso una posizione molto ferma sulla politica fiscale.
In termini generali, la linea del partito coincide con la filosofia delineata da Policy Network. I socialdemocratici tedeschi hanno, infatti, definito obiettivi precisi per la riduzione del deficit e stabilito chiare priorità di spesa. Può sembrare inconsueto che sia un partito di opposizione (di sinistra) a invocare una dura disciplina di bilancio, ma ciò deve essere visto alla luce dei livelli storici d’indebitamento della Germania fin dagli anni ’70.
Alla fine del 2010, il debito ha superato la barriera dei due trilioni di euro. Il che significa che ogni nuovo nato (anche lì) è in debito di 25mila euro. Senza contare che la pressione sui bilanci è destinata ad aumentare considerevolmente nei prossimi anni per effetto dell’andamento demografico: un “debito implicito”, come lo chiamano gli esperti, che eccede di gran lunga il “debito esplicito”. Non è stato sempre così. Nel 1970 il debito nazionale ammontava al 18 per cento del pil.Da allora, il debito è cresciuto al 40 per cento nel 1989, l’anno precedente l’unificazione. Nel periodo che precede la crisi finanziaria del 2008, era del 64 per cento. Oggi il debito ammonta all’82 per cento del prodotto nazionale, vale a dire 22 punti percentuali sopra il limite di Maastricht.
Secondo Michael Miebach, senior editor del Berliner Republik, l’espansione del debito ha a che fare in primo luogo con «i segni lasciati dall’unificazione tedesca (che si stima sia costata finora circa 1,5 trilioni di euro) e dalla crisi economica successiva al 2008, che ha condotto a misure di stabilizzazione del sistema bancario e dell’economia.
La seconda ragione è il modello di spesa pubblica degli ultimi quarant’anni. Spesso i governi tedeschi hanno aumentato la spesa allo scopo di stimolare l’economia, ma poi non hanno ridotto il deficit neppure nei periodi di boom. Anzi, hanno aumentato ulteriormente le spese, qualche volta assieme al taglio delle tasse».
In questo contesto, la Spd ha acconsentito a rendere operante un argine costituzionale al debito durante la grande coalizione nel 2009, nonostante la forte opposizione, nel partito, dei sostenitori di una politica di maggior «respiro» del bilancio. L’approvazione del vincolo all’indebitamento è stata una decisione storica che influenzerà la politica fiscale dell’Spd per il futuro prevedibile. Coerentemente, infatti, il piano finanziario che il partito ha adottato nella sua Conferenza nazionale del dicembre scorso si conforma completamente con gli obiettivi prestabiliti dal limite all’indebitamento. Il «Patto per l’educazione e la riduzione del debito» dei socialdemocratici comprende un piano dettagliato (che ha suscitato reazioni positive nei media) per eliminare il deficit federale entro il 2016 attraverso tagli di spesa e una crescita moderata delle tasse per i più ricchi.
Il Patto designa, inoltre, chiare priorità di spesa (soprattutto investimenti nella formazione e più soldi alle città cronicamente sotto finanziate) e stabilisce una cornice politica che avrà conseguenze restrittive per tutti gli altri campi nei quali i socialdemocratici potrebbero farsi venire in mente nuove idee, potenzialmente costose. Insomma, anche per la Spd, il «conservatorismo fiscale» è oggi un presupposto indispensabile per la politica socialdemocratica.